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GIOVANNI BARDELLI: IDS, L’INGEGNERIA DEL PASSATO, DEL PRESENTE E DEL FUTURO

L’ing. Giovanni Bardelli, amministratore delegato della IDS, Ingegneria dei Sistemi:  «Nessuno si rende conto che l’Italiaè il secondo Paese industriale d’Europa dopo la Germania. Abbiamo una capacità industriale e produttiva che non viene percepita dalla società italiana. Siamo tra i più grandi produttori di motori, di macchine, di qualsiasi cosa, e all’estero abbiamo anche un discreto successo»
Intervista al presidente di Ingegneria dei Sistemi

Nessuno si rende conto che, dopo la Germania, l’Italia è il secondo Paese industriale d’Europa. Abbiamo una capacità industriale e produttiva che non viene percepita dalla società italiana. Siamo tra i più grandi produttori di motori, di macchine, di qualsiasi cosa, e all’estero abbiamo anche un discreto successo». Chi è in grado, nell’attuale crisi economica mondiale, e in particolare nella situazione in cui si trova l’Italia, di fare queste affermazioni? Sembrano tramontati i tempi in cui gli italiani si ritenevano tra i primi nel mondo se non altro per il «made in Italy», prevalentemente per i settori della moda e della gastronomia. Invece esistono frequenti esempi di imprenditori, artigiani, lavoratori, in grado di eccellere nelle attività che intraprendono autonomamente in base alla loro preparazione ma soprattutto al loro intuito e ai loro sacrifici, che creano aziende, stabilimenti, prodotti che non solo sono richiesti all’estero, ma che figurano ai primi posti nel mondo nonostante la forte concorrenza.

«La nostra è, tutto sommato–afferma l’ing. Giovanni Bardelli, amministratore delegato dell’IDS, ovvero Ingegneria dei Sistemi–un’azienda abbastanza piccola, contiamo nel totale in Italia e all’estero circa 480 unità lavorative e registriamo un fatturato consolidato annuo, in Italia e all’estero, vicino ai 60 milioni di euro. Ma è un’azienda che da sempre ha cercato di realizzare i migliori prodotti possibili e di allargare il proprio mercato soprattutto all’estero; io la definisco ‘azienda globale bonsai’, nel senso che ha una presenza fortissima all’estero, dove ha cinque società di cui la più anziana, che ha quasi 12 anni, si trova in Inghilterra; in Canada ne abbiamo due e le altre due in Brasile e in Australia. Siamo presenti in oltre 60 Paesi con contratti di agenzia o di distribuzione o di partnership».
L’IDS ha una storia esemplare che si rinnova dopo la scomparsa, nel 2010, del suo illustre fondatore, l’ing. Franco Bardelli, padre di Giovanni e uno dei nomi di spicco della travolgente ripresa postbellica e dello sviluppo dell’industria italiana, pubblica e privata. Franco Bardelli, ha scritto Enrico Fovanna nella sua biografia «L’inventore dell’invisibile», «ha trasformato centinaia di neolaureati in ingegneri, tecnici e ricercatori di livello internazionale, ha attraversato la storia dell’industria italiana e ha messo in piedi la sua creatura finale, la IDS, oggi la prima industria italiana nel settore della prospezione non invasiva Georadar, e una delle prime quattro di nicchia nel mondo».
A capo oggi della IDS, il figlio Giovanni Bardelli spiega il perché: «Circa 20 anni fa abbiamo cominciato uno sforzo di internazionalizzazione che sta dando risultati eccellenti. Ci consentono di affrontare anche la crisi economica attuale con una certa serenità; per dare un’idea, nel 2011, nonostante il mondo fosse già in crisi, abbiamo aumentato il fatturato del 27 per cento».
Domanda. Da che cosa in particolare dipende questo vostro successo?
Risposta. Dall’alta specializzazione e dal fatto che ormai il mercato apprezza i nostri prodotti e ci considera particolarmente affidabili nell’andare verso nuove soluzioni in settori di nicchia, che sono l’aeronavigazione, la prospezione non invasiva con tecniche georadar e tutto quello che è più vicino alla difesa. In particolare nello studio di soluzioni basate sulle «stealth technology», per garantire la protezione di navi ed aeri. Una attività più che trentennale ci permette di avere rapporti diretti con il cliente finale, di intuirne le necessità e di trovare le soluzioni più idonee grazie a un’organizzazione costituita per circa il 50 per cento dai laboratori di ricerca.
D. Come è strutturata l’azienda?
R. L’IDS ha 11 laboratori di ricerca interni che spaziano nelle varie tecnologie, e 4 Divisioni che hanno il compito di vendere i prodotti. Questa struttura ci permette di compiere investimenti nella ricerca, nella quale spendiamo circa il 22 per cento del fatturato. È difficile trovare importi simili non solo in Italia ma nel mondo; però è l’unico modo per noi per rimanere all’avanguardia ed essere apprezzati dai clienti. Ciò esige uno sforzo continuo di tutti i collaboratori. Un grande impegno che è sostenuto da forti motivazioni personali a conseguire obiettivi scientifici il più delle volte oltre lo stato dell’arte.
D. Nelle aziende, sia pubbliche sia private, si lamenta disaffezione e assenteismo; siete un’eccezione?
R. In questo credo che gli italiani abbiano un vantaggio rispetto agli altri Paesi, in quanto attuano un’anarchia che costituisce una limitazione se riferita al campo sociale, ma costituisce un grande vantaggio se applicata alla capacità di ricerca e di innovazione. Una situazione simile si trova di meno all’estero; sono molto più organizzati e strutturati, ma è difficile trovare qualcuno in ufficio dopo l’orario di lavoro. Da noi la sera capita di dover sollecitare i dipendenti a tornarsene a casa; molti sono talmente appassionati che indugiano, e questo è esaltante. E avviene non solo nella IDS; è una realtà comune a molte imprese e costituisce la grande forza di tutta l’industria italiana, che dimostra sentimenti di appartenenza, di impegno e di partecipazione che difficilmente si trovano all’estero.
D. Ma al di fuori di questo impegno personale?
R. Abbiamo invece un sistema-paese che non sempre si comporta nel modo migliore. Oltre alla tassazione, che ha raggiunto ormai livelli altissimi, non c’è nessun rispetto, per esempio, del diritto delle imprese ad essere pagate entro il tempo debito; all’estero difficilmente trascorrono più di 30 giorni, e normalmente i committenti pagano anche prima. In Italia, se un’azienda decidesse di ricorrere alla giustizia, avverrebbe di peggio, farebbe soltanto un favore a chi deve pagarla.
D. In un certo senso per la predisposizione al lavoro, alla ricerca, al risultato, per la motivazione e per l’entusiasmo che vi caratterizza, l’IDS sembra un’impresa degli anni 50-60, simile a quelle del dopoguerra. È così?
R. Io mi trovo a gestire un’eredità estremamente difficile, quella di mio padre. Lo spirito che l’animava era proprio quello: uscito dall’immediato dopoguerra, si rimboccò le maniche, cominciò a lavorare e mantenne sempre quello spirito. Quando terminò il suo ventennale rapporto di lavoro con la Selenia, da lui posta in grado di raggiungere una posizione di assoluta eccellenza tecnologica e applicativa nel settore dei sistemi per la Difesa, nel settembre 1980 mio padre creò la prima società di ingegneria dei sistemi in Italia, diretta ad aiutare la Marina nell’impostazione di progetti per aumentare la sicurezza delle navi dinanzi alla crescente minaccia missilistica a guida radar. Per primo puntò alla riduzione della superficie radar della nave modificandone le forme e i materiali, e si avvalse di personale dotato di elevatissima competenza scientifica.
D. In quegli anni i giovani erano disposti al sacrificio, al lavoro. Che manca oggi per motivarli?
R. Adesso sembra che tutto sia dovuto, mentre prima tutto andava conquistato. Questa è la differenza. Tra i principi con cui mio padre fondò l’azienda e che poi abbiamo trasmesso a tutti coloro che vi sono entrati, i primi erano la frugalità, l’onestà verso se stessi e verso gli altri, la professionalità, la concentrazione sugli obiettivi da raggiungere. Quattro principi che tuttora chiediamo vengano osservati. Le aziende italiane devono ritrovare un’etica di lavoro e soprattutto un’etica sociale; quanto a noi, cerchiamo di mantenere più vivo nell’azienda questo insegnamento di mio padre.
D. Qual è il futuro nel vostro settore dato che, con la ricerca, puntate sempre all’innovazione?
R. La nostra attività si basa su progetti diretti a migliorare il traffico aereo e navale, a rendere gli aerei e le navi meno visibili ai sistemi radar dotati di capacità di riconoscimento automatico degli obiettivi. In questo campo stiamo sviluppando una nuova famiglia di sensori radar che dovrebbero potenziare il settore della difesa. Negli ultimi anni questo mondo è estremamente cambiato; oggi si combatte sul terreno con soldati esperti, ma contro un nemico invisibile che allestisce trappole in continuazione, per cui occorre avere la capacità di analizzare le situazioni, conoscere la sua ubicazione e trovare le sue «trappole» prima che operino. È uno dei punti fondamentali sul quale stiamo concentrando il nostro sviluppo. Stiamo lavorando su radar che possono riconoscere dispositivi esplosivi improvvisati (IED) e su radar anti-cecchino e anti-colpi di mortaio. Puntiamo a realizzare un sistema di «automatic target recognition» in modo che la differenza tra quello che il sensore «vede» e quello che può essere percepito dall’operatore sia il più possibile vicina allo zero.
D. E che fare per quanto riguarda il traffico aereo?
R. Mentre finora gli aerei hanno volato lungo rotte simili ad autostrade, oggi si va verso un cielo libero in quanto, grazie alla navigazione satellitare, l’aereo può percorrere strade scelte dal pilota. Questo è consentito dal grado di libertà che egli ha, ma che deve essere comunque commisurato alla sicurezza assicurata in passato dalle «autostrade», cioè dalle rotte che sono state sempre sotto controllo. Con il nuovo sistema i piloti devono essere capaci di gestire le informazioni e soprattutto di simulare in anticipo quello che sarà il traffico aereo in un determinato momento; devono avere gli strumenti che permettono di pilotare gli aerei lungo itinerari sicuri e quindi di evitare incidenti.
D. Quali sono i vantaggi di questo nuovo sistema?
R. L’obiettivo che vogliamo raggiungere è una riduzione di costi del volo del 10-20 per cento, incrementando però il livello di sicurezza. È normale che con questo sistema i piloti di aerei si facciano carico in parte di quella responsabilità che prima avevano solo nel traffico aereo terrestre, per cui alcune responsabilità vengono trasferite a bordo dell’aereo. A tal fine abbiamo costruito un simulatore di volo e un simulatore di torre di controllo nei quali tutto questo viene simulato per studiare come interviene il fattore umano. Abbiamo dei piloti che sperimentano le nostre teorie.
D. Quale preparazione hanno i vostri dipendenti?
R. Il 75 per cento del nostro personale è composto da laureati in Ingegneria, Matematica e Fisica, con un’ottima preparazione di base alla quale i nostri progetti hanno conferito una grande specializzazione. Questa specializzazione la dobbiamo anche ai progetti effettuati in collaborazione con l’ENAV, l’ente nazionale di assistenza al volo. Una capacità, che ci ha permesso di farci apprezzare dall’ente dell’aeronavigazione del Canada, che oggi è uno dei nostri maggiori clienti. L’Air Service Australia ha adottato tutti i nostri sistemi, così la Royal Australian Air Force; e inoltre la Germania, la Polonia, la Spagna, quasi tutti i Paesi nordafricani e gran parte dei Paesi asiatici. Siamo uno dei tre leader mondiali del settore, gli altri due sono la francese Thales e l’austro-belga Frequentis. Il successo ci inorgoglisce e ci spinge ad andare avanti.
D. Con quali risorse finanziarie realizzate tutto?
R. Mio padre fondò questa società nel 1980 con un capitale di soli 20 milioni di lire, ma non ha mai percepito uno stipendio e non è stato mai distribuito un dividendo; abbiamo sempre investito nell’azienda, ponendone i profitti a riserva. Via via questa è aumentata ed è diventata un capitale ammontante oggi a 7 milioni e mezzo di euro. Siamo passati pertanto da piccola a media azienda esclusivamente con le nostre forze. Oggi mi ritrovo non solo un’eredità difficile, ma anche un nuovo impegno, quello di passare da media a grande azienda perché il mercato ci chiede comunque di crescere. Infatti gli ordini arrivano anche senza partecipare a gare, in quanto veniamo scelti direttamente dai committenti. Quindi la crescita della società è obbligata e, nel passaggio da media a grande, si rende necessaria anche una ristrutturazione finanziaria che ci permetta di avere le risorse finanziarie per affrontarla con tranquillità.
D. L’IDS ha avuto sostegni da parte della classe politica?
R. Non ne ho conosciuto neppure uno, abbiamo fatto sempre tutto da soli e devo dire che è stata anche una fortuna. La politica, infatti, dovrebbe intervenire con un sistema efficiente di aiuti, e con i servizi necessari e di qualità; dovrebbe emanare leggi dirette per esempio a favorire le aggregazioni di industrie verso quelle più grandi. Questo ci si aspetta dalla politica, e soprattutto meno burocrazia inutile. In altri Paesi per realizzare un progetto basta soltanto la mia firma, senza pastoie inutili e costi ingiustificati. Alla politica italiana manca una visione industriale.

Tags: Settembre 2012 ingegneria ricerca italia ricerca Giovanni Bardelli IDS - Ingegneria Dei Sistemi

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