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Corsera Story. L’altra metà di Montanelli. Anzi la prima

L’opinione del Corrierista


A metà dello scorso luglio l’università on line eCampus con sede nella centralissima Via del Tritone di Roma, in occasione del tredicesimo anniversario della  scomparsa, ha dedicato ad Indro Montanelli un convegno sul tema «Serata Montanelli. Uomo libero, tenace, appassionato». Una commossa rievocazione del grande giornalista abbinata alla presentazione del libro «Tutte le speranze, Montanelli raccontato da chi non c’era». Autore è Paolo Di Paolo, finalista del Premio Strega 2013. Il libro è stato illustrato e commentato da insigni firme che lavorarono con Montanelli: Paolo Mazzanti, direttore dell’agenzia di stampa TM News, Giancarlo Mazzuca, direttore del Giorno,  Marco Travaglio, condirettore del Fatto Quotidiano. Moderatrice la giornalista Annamaria Greco, che ancora lavora nel cosiddetto «Giornale di Montanelli». Quattro persone che vivevano, a fianco di Montanelli, le nuove esperienze giornalistiche da lui intraprese dopo essersi dimesso spontaneamente dal Corriere della Sera.
Ha fatto benissimo l’autore del libro a dichiarare, già sulla copertina, che le vicende montanelliane contenutevi sono raccontate da chi non c’era; a Paolo Di Paolo si può rimproverare solo di essere troppo giovane. Ma quanto è emerso, quanto è stato detto dai quattro stretti collaboratori di Montanelli, basta e avanza per decretare il successo dell’iniziativa il cui scopo è stato quello di far conoscere anche ai più giovani, che prediligono i giornali on line, le opere, le azioni, il carattere e il pensiero di colui che molti ritengono il maggiore giornalista italiano della seconda metà del secolo scorso.
Ottime le divulgazioni dell’autore e dei quattro maggiori collaboratori di Montanelli nella seconda fase della sua vita e del suo successo professionale. E dell’intraprendente staff dirigente dell’università eCampus. Ma la commemorazione ha offerto l’occasione per porre una domanda: chi e quando racconterà, testimonierà l’opera, le azioni, i pensieri e il carattere del cosiddetto maggiore giornalista italiano del secondo ‘900, per tutto il periodo in cui egli lavorò nel Corriere della Sera, dal quale uscì solo nel 1972?
Un po’ ci ha pensato Di Paolo, ma poiché non c’era, riporta storie di seconda mano o non le riporta per niente, pur nella sua bravura nel descrivere, un po’ proprio secondo lo stile e il «mestiere» di Montanelli, fatti e personaggi che non si conoscono o di cui si è  sentito parlare approssimativamente e comunque di terza mano.
Ho trascorso 36 anni al Corriere della Sera e di questi ben 16 contemporaneamente a Montanelli; vi entrai nel 1956. Indro se ne andò nel 1972. Ho trascorso settimane, mesi, anni in cui tutte le mattine, tranne quando era in viaggio, dalla sua casa di Piazza Navona verso le 10,30 veniva nella redazione romana in Via della Mercede 37 per partecipare alla «fissa», ossia alla «erre», la telefonata con la direzione milanese nella quale si delineava il programma degli articoli per il Corriere dell’indomani. «Erre» significava «rovesciata», cioè telefonata in partenza da Roma ma pagata da Milano.
Maurizio Costanzo, che lavorava nel secondo piano del palazzo per il Corriere Mercantile, aveva studiato gli orari di Indro; alle 10 si affacciava alla finestra storcendo il collo e lo sguardo verso Piazza San Silvestro. Quando scorgeva Montanelli imboccare con il cane Via della Mercede, scendeva le scale in modo da incrociarlo e conoscerlo. In attesa della «fissa», Indro sedeva in una poltroncina di un modesto salottino in similpelle verde con tavolinetto di vetro in fondo al corridoio; non avevamo una sala d’aspetto. Leggeva i giornali ma appena li abbassava, Costanzo, che a sua insaputa gli si sedeva davanti, velocissimo si offriva di andargli a prendere al bar un caffè o altro. Era già voluminoso, Indro lo guardava con curiosità e come solo lui poteva guardare certe cortigianerie.
Sul suo servizio in Ungheria durante l’invasione dei carri armati sovietici, su cui tanto Montanelli scrisse e tanti altri scrissero e scrivono, tra i big del Corriere si raccontava che Indro non era riuscito ad entrare a Budapest, comunque le sue corrispondenze erano inimitabili. Sugli elzeviri intitolati «Incontri» in cui descriveva magistralmente i personaggi in vista dell’epoca, esordiva con la frase: «Io non lo conosco ma di lui posso dire che...»; e giù due colonne di piombo del giornale le cui pagine all’epoca erano molto più larghe. Io gli chiedevo: «Ma come fai a scrivere tanto se dici che non lo conosci»? Mi rispondeva: «Ti risulta che qualcuno di loro mi abbia smentito?».
Quando l’esodo dalle campagne diventò massiccio, scrisse che le ragazze emiliane non volevano più sposare i giovani agricoltori conterranei. «Hai fatto un'inchiesta in tutti i Comuni della Regione?», gli chiesi. «L’hai fatta tu e ti risulta che non è vero?», mi rispose. Non mi dilungo a descrivere i vari aspetti di Montanelli, che andavo a trovare anche a Cinecittà quando dirigeva il film «I sogni muoiono all’alba» tratto da un suo soggetto. E mi invitava a pranzo a casa sua a Piazza Navona.
Nel 1961 quando gli editori Crespi, impressionati dall’annuncio di Angelo Rizzoli di pubblicare «Oggi Quotidiano» diretto dal giovane Gianni Granzotto, decisero di assumere Giovanni Spadolini che il vecchio direttore Mario Missiroli aveva sempre descritto loro come il maggior giornalista italiano, gli 8 Grandi del Corriere annunciarono in una lettera le loro dimissioni. I Crespi allora assunsero Alfio Russo; in 7 firmarono la lettera, Montanelli aderì alla minaccia ma a voce. Spadolini fu poi assunto nel 1968, ma quando nel 1972 Giulia Maria Crespi, erede dell’ultimo vivente dei tre fratelli Crespi, d’accordo con Mario Capanna licenziò Spadolini e assunse Piero Ottone, Montanelli se ne andò.
Non per la sterzata a sinistra che Ottone dette al Corriere, ma perché lui non era stato consultato. Non voleva fare il direttore, compito cui non aveva mai  aspirato  perché era stato sempre e si riteneva un superdirettore, il consigliere numero uno degli editori Crespi. Una volta mi chiese: «Come hai fatto, tu solo in tutto il Corriere, a prevedere che la Dc avrebbe ancora vinto le elezioni ed evitato il sorpasso del Pci che tutti davamo per scontato?». «Non ti sei accorto che un mese prima del voto la Dc ha aumentato le pensioni?», risposi. Fu la mia grande soddisfazione per tutte le paradossali risposte che mi aveva rifilato in quei 16 anni.

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