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Corsera Story. Carta stampata ovvero sbandata. Colpevole essa stessa

L’opinione del Corrierista


Alla fine dello scorso mese di settembre il Corriere della Sera si è presentato ai lettori in una nuova veste grafica il cui principale aspetto è costituito dalle ridotte dimensioni delle pagine. In tal modo, pur essendo, da oltre un secolo, il primo giornale d’Italia in tutto, è giunto per ultimo a quella che dovrebbe essere una riforma diretta al miglioramento della lettura e, ovviamente, dei contenuti. Dovrebbe essere un merito del Corriere essere il primo anche nella leggibilità, praticità e comodità dei lettori, ma purtroppo così non sembra, per due motivi.
Perché non è detto che il giornale in ridotte dimensioni sia migliore e più gradevole di quello di dimensioni tradizionali; e, in secondo luogo, perché non è affatto vero che tale scelta sia fatta per venire incontro ai lettori, desiderosi di uno strumento più maneggevole. La riduzione della dimensione delle pagine è dovuta solo a un’errata interpretazione, da parte degli addetti ai lavori e in particolare degli editori e dei loro consulenti finanziari, dei tempi e dei fenomeni nuovi, e dell’utilità degli strumenti più moderni ultimamente forniti dai progressi della scienza e della tecnica.
La crisi economica generale ha causato una riduzione di tutti i consumi, cioè delle somme spese dai consumatori ovviamente anche nell’acquisto della cosiddetta carta stampata. Ma, invece di migliorarne i contenuti, che vanno anzi sempre peggiorando anche perché proprio la crisi spinge gli editori a risparmiare sulla qualità, il brain trust dell’editoria e del giornalismo italiano è rimasto spaventato, terrorizzato, e, riunitosi a consulto, ha scelto la ricetta grossolanamente ritenuta più efficace: risparmiare al massimo sulla carta stampata, puntando invece ad investire nella comunicazione in rete.
E cioè in un sistema sviluppatosi spontaneamente perché, dal punto di vista tecnico della produzione di contenuti e nella loro distribuzione e trasmissione abbatte, se non proprio annulla del tutto, i costi, ma i cui risultati non sono affatto scontati. Bisogna attendere anni per conoscere se il grande pubblico dei lettori di giornali stampati, dopo la grande abbuffata di online forzato somministratogli, resterà felice e contento e non comincerà invece a rimpiangere la carta. Fenomeno che del resto già si sta manifestando, anche se nessun editore ha il coraggio di ammetterlo, di smentire se stesso, di andare contro corrente.
Ma questo comincia ad avvertirsi nonostante il fatto che, per difendersi, per svilupparsi e acquisire maggiori quote di spazio online, ossia per aumentare il numero dei lettori e visitatori dei loro siti, gli editori, assecondati da ossequienti direttori di giornali, non abbiano esitato a trasformare i giornali online, corrispondenti a quelli stampati, in giornalismo «rosa», in quotidiani che sono anche periodici di evasione, e in periodici di evasione che sono anche quotidiani, e addirittura in pubblicazioni semipornografiche.
Per rendersene conto basta uno sguardo allo stesso Corriere della Sera che, tuttora paludato e imparruccato sulla carta, si denuda online, o meglio denuda le star, pubblica sequenze di immagini sexy e molto osé se non proprio scandalose e offensive non solo della morale, il che è scontato, ma di un minimo di decenza.
In uno dei primissimi numeri di questo Corriere cartaceo così ridotto e strumentale alle finanze della proprietà, esattamente nel numero di domenica 29 settembre, in una delle prime pagine ad una velocissima «scorsa» appaiono tre «svarioni» dovuti ai redattori e ai correttori di bozze. Esistono ancora i correttori di bozze? Esistono ancora i maestri elementari? Certo non si direbbe, vista la rarefazione dei bravi alunni di una volta. I tre svarioni: «Ad ogni modo, sia lo Statuto che la legge di bilancio non saranno approvate...»; «Potrebbe anche dire che vanno dettagliati meglio tutti i casi di discriminazione nel quale...»; «Dopo una prima fase di 3-4 anni dall’assunzione, dove il licenziamento verrebbe indennizzato...».
Quisquilie, direbbe Totò, ma se le moltiplichiamo per le 56 pagine di quel giornale ammonterebbero a 168 svarioni dovuti, diciamo pure bonariamente, non alla poca cultura e allo scarso rigore, ma alla fretta o alla disattenzione. Il risultato di immagine però non cambia, anzi cambia moltissimo: questo sarebbe l’italiano usato e diffuso dal Corriere della Sera? Che direbbero i due Barzini, Emilio Cecchi, Salvator Gotta, Giuseppe Prezzolini, Dino Buzzati, Giovanni Mosca e tanti altri grandissimi ma purtroppo irripetibili maestri del Corriere della Sera? Non parliamo poi ovviamente del Corriere online proprio per amor di Corriere.
Non basta saper smanettare al computer, né ideare schermi d’impaginazione ripetitivi, sempre più facili nel ristretto spazio di una nuova ridotta pagina di carta. Ma la crisi ha indotto gli azionisti del Corsera a licenziare anche i correttori di bozze? Per quello in rete si dia almeno la possibilità a volontari amanti della lingua italiana di entrarvi e apportarvi le dovute correzioni; insomma di realizzare una specie di «Corsera fai da te». Non ospita già esso una serie di gratuiti e melensi commenti su ogni articolo e argomento, usati poi come materiale per la redazione di altri articoli pubblicati anche su carta? Con il che l’informazione sta diventando il riassunto della disinformazione e dell’ignoranza.
Altro tratto della carta stampata, o meglio dire «sbandata» perché non si sa più che contiene, come è fatta, chi la crea, è la ridotta pubblicazione delle notizie, tranne di quelle che consentono di tornarvi sopra per settimane risparmiando costi, come è ormai abitudine delle tv che, anziché programmi intelligenti ma costosi, preferiscono trasformare ogni delitto in un «tormentone» di durata pluriennale. E invece di notizie sulla carta stampata, si pubblicano intere pagine di foto corredate da articoletti su argomenti peregrini, ottime però per riempire le borse contraffatte vendute per strada a poco prezzo dagli immigrati.
È ridotto a questo il giornalismo e in particolare quello della carta stampata? Certo, a questo ma non solo a questo, occorrerebbero libri, anziché giornali, per contenere una seria inchiesta sullo sbandamento in atto non tanto della carta stampata ma di chi stampa la carta stampata, cioè degli editori abbacinati dall’informatica.    

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