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Corsera Story - Giornali. L’irresistibile moltiplicazione degli articoli sui politici

L'opinione del Corrierista

Aldo Airoldi, chi è costui? Anzi chi era? Gaetano Afeltra lo descrisse così in un elzeviro sul Corriere della Sera del 1993, nel quale cercò di spiegare che cosa era stata e la funzione che aveva svolto, nei primi decenni del secondo dopoguerra, la Redazione romana del giornale: «Uno dei punti di forza era costituito dalla nota quotidiana di Aldo Airoldi, il cosiddetto ‘pastone’. L’articolo informava il lettore di ciò che era accaduto ma serviva agli stessi politici per intravvedere quello che sarebbe avvenuto a breve termine. Era scritto in maniera esemplare, senza indulgere a nessuna dietrologia, allora non ancora di moda».
E così continuava: «Con scrupolosa obiettività il pastone, che appariva siglato semplicemente A. A., riusciva a convogliare, insieme con le notizie, una loro discreta interpretazione. Airoldi è rimasto leggendario anche per non aver mai ricevuto smentite. Non mancavano, ovviamente, né le pressioni morbide né le intimidazioni da parte dei politici. Tentativi di questo genere non riuscirono mai a intaccare l’integrità morale di Airoldi, la serietà e il rigore del suo lavoro».
Ho lavorato vari anni nella Redazione romana del Corriere della Sera, insieme ad Airoldi. La descrizione fatta da Afeltra della Redazione romana è verosimile ma non è veritiera; infatti un conto era raffigurarsela, come faceva Afeltra, a 600 chilometri di distanza, un conto era viverci, come facevo io. In quell’articolo Afeltra lodava, ad esempio, un redattore entrato al Corriere dietro raccomandazione di un ministro socialdemocratico; redattore che, divenuto poi con gli stessi metodi capo dell’Ufficio romano, aveva fatto licenziare, tra gli altri, un giornalista professionista per assumere un giovane aspirante, che aveva subito nominato inviato speciale nel mondo e poi corrispondente da una grande capitale estera, con la prospettiva di averlo come genero, di fargli sposare cioè sua figlia. Raggiunta la meta, però, l’ingrato inviato piantò quella pseudo fidanzata e sposò un’altra.
Ma il mio scopo oggi è parlare non degli infiltrati dei partiti, impossessatisi anche del Corriere, ma del giornalismo politico di ieri e di oggi. Quando entrai al Corriere negli anni 50 veniva pubblicato un solo articolo chiamato «nota politica» e scritto dal cosiddetto «notista politico». C’erano inoltre altri tre giornalisti: un resocontista dei lavori della Camera dei deputati, un resocontista dei lavori del Senato, un informatore dal Viminale, che allora era sede del Ministero dell’Interno ma anche della Presidenza del Consiglio dei Ministri, ossia del Governo. Quest’ultimo infatti si trasferì solo nel 1958 a Palazzo Chigi, allora sede del Ministero degli Esteri il quale, a sua volta, si spostò nel nuovo edificio della Farnesina, appena finito di costruire.
Ovviamente quando Camera e Senato non tenevano seduta, i resocontisti non scrivevano dedicandosi volontariamente magari ad altri settori, ad esempio lo spettacolo o la storia. Dopo la lapidaria descrizione di Afeltra, poco occorre per spiegare che cosa era la nota politica: l’autore, nel caso particolare Airoldi, ogni giorno aveva contatti personali con esponenti politici, «faceva il giro», come si dice in gergo, dei vari partiti, anche solo telefonicamente, e condensava il risultato solitamente in una colonna o una colonna e mezza di giornale di allora.
Oggi le dimensioni di una pagina come pure il numero delle colonne è stato ridotto, le tecnologie e i grafici lasciano righe e spazi bianchi, eppure sul mondo politico, governativo, parlamentare e partitico si scrive infinitamente di più, nonostante la certezza che si legge molto di meno. Si scrive di più per vari motivi, ma soprattutto per la parcellizzazione di ogni comparto del giornalismo, per il desiderio di ogni redattore di occuparsi in esclusiva di uno specifico argomento, per la tutela di fatto assicurata, a questi pseudo diritti acquisiti, dai sindacati di categoria, ossia dai Comitati di redazione.
C’è chi si occupa dei lavori delle Assemblee parlamentari e chi delle Commissioni parlamentari; chi dell’attività del Governo, chi dei singoli Ministeri; chi dei partiti, chi delle maggioranze e chi delle minoranze; chi di singoli esponenti politici, chi ovviamente dei retroscena relativi ad ognuno di questi. Poi ci sono i «vice», che possono intervenire in caso di assenza dei titolari o come rinforzo in casi particolari. Il risultato è che, anche in un giorno in cui non è accaduto nulla di eccezionale in campo politico, cioè parlamentare, governativo, partitico, i maggiori e più accreditati quotidiani dedicano tre, quattro, cinque intere pagine alla politica nei suoi molteplici aspetti, ai gossip oltreché ai retroscena, ai pettegolezzi, alle polemiche strumentali, alle battute da bar dello sport.
Se si considera che l’affermazione delle pari opportunità ha provocato un consistente afflusso di donne nei giornali e ancor più nelle televisioni, si assiste talvolta ad una duplicazione di presenze in quanto dove opera un uomo deve operare almeno una donna. Di fronte a una valanga di articoli dedicati al mondo politico c’è da porsi una domanda: tutto ciò amplia la curiosità, il desiderio di sapere e di conoscere dei lettori? Fa aumentare il numero dei lettori o dei telespettatori?
Dei lettori sicuramente no, come dimostra il drastico calo delle vendite di stampa cartacea lamentato dagli editori a causa della crisi economica e dell’avanzata delle tecnologie digitali. Quanto ai telespettatori, non si può dire nulla ma si può supporre che, se le trasmissioni di approfondimento politico diffuse dalle tv sono i cosiddetti talk show, è da presumere che dopo qualche anno di loro invadenza e di interesse della gente, a causa della loro ripetitività, monotonia, volgarità, superficialità, stanchino anche i telespettatori meno colti, meno esigenti, meno provveduti.
Anzi, pare giunto il momento di approfondire il tema e di domandarsi se proprio i talk show televisivi, i battibecchi, i gossip e pseudo gossip, la parcellizzazione dei settori nelle redazioni e sui giornali siano una causa determinante della crisi di vendite che sta registrando proprio la carta stampata. E se i lettori, preoccupati dalla crisi e impegnati a risolvere i quotidiani crescenti problemi da questa imposti, al posto di tanti articoli e retroscena, non preferiscano leggere, invece, una nota politica di dimensioni e soprattutto di contenuti nello stesso stile di quelle, ora rimpiante, del leggendario Aldo Airoldi.
          Victor Ciuffa

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