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L'opinione del Corrierista

A rovinare Via Veneto e tutto il mito culturale ed economico della vera Dolce Vita, ossia del grande fenomeno di costume che vi nacque e vi si sviluppò negli anni 50, sono state prima le Amministrazioni comunali di Roma e le Soprintendenze artistiche e culturali, poi alcuni giornalisti e fotografi disinformati ma vanitosi, quindi affaristi impegnati nel riciclaggio di capitali illeciti. Infine, ma non certo per colpa sua, a dare il colpo di grazia alla bella favola cui ha creduto e sperato, e a cui tuttora crede e spera tutto il mondo, è stata la Magistratura, costretta ripetutamente ad intervenire per stroncare, appunto, la trasformazione della strada in un centro di illegalità e illegittimità, quando non di attività criminose. Infatti, se destinati a protrarsi nel tempo - e la prospettiva di tempi lunghi o lunghissimi non è infondata - i provvedimenti giudiziari stanno rovinando fisicamente e notevolmente l’immagine della più famosa strada d’Italia, e forse d’Europa e del mondo. Se l’ordinanza di chiusura del celebre Cafè de Paris, emessa dall’Autorità giudiziaria, avesse riguardato ambienti interni, sia pure molto estesi ma non visibili all’esterno, si sarebbe ugualmente verificato un vulnus all’immagine offerta a cittadini, stranieri e turisti. Ma non si assisterebbe, come avviene invece attualmente, allo squallore cui sono ridotte, a causa dei sia pure necessari provvedimenti giudiziari, quelle strutture esterne che, dotate di ampie vetrate, furono fatte costruire dalle Amministrazioni comunali di Roma e dalle Sovrintendenze ai Beni culturali nei decenni trascorsi, per favorire alcuni esercizi pubblici, cioè bar, in cambio di pochi voti o di molto altro. Negli ultimi dieci anni del secolo scorso fu consentito loro di ampliare gli spazi commerciali, il numero e la capacità dei tavoli, con la realizzazione di enormi «gazebo» sui marciapiedi antistanti quei bar. Oggi, attraverso le grandi pareti vetrate di cui sono dotate quelle enormi simil-cappelle funerarie di cemento, marmo e ferro, si offre a tutti una visione spaventosa di come è ridotta quella bellissima strada tuttora meta di folte comitive di turisti, ritardatari ma comunque a conoscenza dell’ormai lontana ma splendida stagione della Dolce Vita romana. Sedie rovesciate ammucchiate sui tavoli, polvere, sporcizia, abbandono, disordine in cui sicuramente scorazzano abitanti del sottosuolo in escursione gastronomica di superficie, provenienti dalle rare, superstiti caditoie. Dove invece gli ampliamenti hanno riguardato le preesistenti edicole per la rivendita di giornali, dotate anche esse di ampie vetrate, anziché giornali, riviste, libri e supporti tecnologici sono visibili grandi e confusionari annunci pubblicitari che contribuiscono a creare la sensazione di precarietà, sporcizia, disordine in cui le Amministrazioni pubbliche competenti - Comune, Regione, Sovrintendenze - lasciano questa ex bellissima strada. Tutto il degrado viene riassunto ed anzi ampliato dalle scarsissime o addirittura inesistenti attenzioni e cure verso una realtà che potrebbe ancora attrarre turisti e visitatori, considerato anche il maggior interesse suscitato dai recenti lavori eseguiti nel restauro delle antiche Mura di Belisario che dividono la strada dalla stupenda Villa Borghese. Ma perché politici, amministratori e dirigenti pubblici dovrebbero intervenire? Che cosa sanno e che cosa importa loro del grande fenomeno spontaneo e incontenibile della Dolce Vita romana degli anni 50 e 60 del secolo scorso, impegnati come sono a trarre da ogni iniziativa ed intervento solo possibilità di carriera o più materialmente di guadagni finanziari personali? Tra l’altro, tra i più recenti interventi pubblici eseguiti a sproposito e a danno di Via Veneto, figura in primo luogo l’ampliamento dei marciapiedi per favorire non i pedoni ma i bar i quali, con la costruzione di quei gazebo, avevano ridotto grandemente la superficie transitabile per la clientela; e, in secondo luogo, la divisione della restante superficie stradale in quattro corsie, due per ogni senso di marcia, riservate una ai mezzi pubblici e l’altra al traffico privato ma che, in alcuni tratti, è ulteriormente ridotta in quanto definita ZTL, cioè zona a traffico limitato, accessibile solo ai residenti, ai mezzi pubblici e ai soliti privilegiati. Il fine ultimo voluto e surrettiziamente ottenuto è stato quello di accelerare il week end degli inquilini del Palazzo, ossia di politici impegnati tre o quattro giorni a settimana nei lavori parlamentari, governativi, ministeriali e di altre supremi organi, i quali in tal modo, cioè grazie al degrado e all’inaccessibilità per il popolo di Via Veneto, dai suddetti Palazzi del potere possono rapidamente raggiungere la Tangenziale, il Grande raccordo anulare, le strade cosiddette consolari e le autostrade, insomma tutte le località di residenza o di vacanza. Nei primi anni 60 del secolo scorso, quando, in seguito alla presentazione al pubblico e al grande successo riportato dal film intitolato «La Dolce Vita» di Federico Fellini, maree di borgatari romani e di turisti continuavano a riversarsi in Via Veneto credendo o sperando di trovarvi chissà quali peccaminose dolcezze, per salvare dal degrado la bella strada costituii l’Associazione Giornalisti Amici di Via Veneto, avente principalmente due fini: organizzare dibattiti nell’allora Caffè Rosati e istituire il Premio letterario Via Veneto nel prestigioso Caffè Doney. Organizzai vari dibattiti con l’intervento di giornalisti, di intellettuali ma soprattutto di politici e di esponenti dei Governi dell’epoca, ad esempio del ministro Riccardo Misasi, molto attento al decoro della strada. Per il Premio Via Veneto feci venire da Città del Capo in Sud-Africa addirittura il cardiochirurgo Christiaan Barnard, all’apice all’epoca di una grandissima fama mondiale per aver compiuto, il 3 dicembre 1967, il primo intervento nel mondo di trapianto di cuore. Proprio per il Premio Via Veneto il pittore Renato Guttuso, anch’egli al massimo della celebrità, volle realizzare e regalarmi un disegno riproducente una delle edicole esistenti in Via Veneto, quella che si trovava all’angolo con Via Ludovisi; sullo sfondo del disegno Guttuso riprodusse una delle solenni, antichissime arcate delle Mura di Belisario. Da quell’edicola si vede propendere verso Via Veneto una parata di giornali. Sostituiti oggi da squallore e tristezza.  


         Victor Ciuffa

Tags: Luglio Agosto 2014 Roma Corsera story Victor Ciuffa Corriere della Sera Corrierista Dolce Vita via Veneto Guttuso

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