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le professioni per l’italia: LE MODALITÀ DELLA CORRUZIONE E IL RUOLO SVOLTO DALLE SOCIETÀ DI CONSULENZA

Anna Maria Ciuffa e Maurizio De Tilla

Come hanno acutamente scritto Roger Abravanel e Luca D’Agnese, nel libro «Italia, cresci o esci!», questo Paese è preda di un vero e proprio circolo vizioso causato dalla cronica incapacità di cittadini e imprese di rispettare regole e l’etica negli affari e nell’economia. Evasione fiscale al top, uso spregiudicato del territorio, scarsa tutela dell’ambiente, crimini ecologici, abusivismo edilizio sono piaghe che conosciamo. Ma non sono le sole. Ne aggiungiamo altre: corruzione dilagante, ruberie, uso spregiudicato e appropriazione personale del bene comune, disinvolta gestione delle aziende pubbliche e delle risorse destinate ai servizi comuni. Ed infine: un capitalismo finanziario che determina ingiustizie e disuguaglianze.
Nelle modalità della corruzione che dilaga nelle transazioni nazionali e internazionali è frequente l’intervento di società di consulenza che usano quantificare il loro compenso in misura proporzionale al valore dell’operazione e fare da tramite per il versamento di tangenti a politici e funzionari corrotti. Ciò si aggrava con il rilievo che la vischiosità del sistema politico, che trae vantaggio dagli atti di corruzione, rende più agevole la permanenza, nella gestione della cosa pubblica, di soggetti moralmente squalificati.
L’assurdo è che talvolta gli stessi soggetti pubblici, in uno stato di doppiezza psicologica e di contraddizione morale, concludono accordi di corruzione, ne raccolgono i frutti e parallelamente, continuando a rivestire un ruolo pubblico, mostrano (solo in apparenza) di credere alle regole del gioco e di farle rispettare. I comportamenti di coloro che traggono vantaggi economici ed elettorali dalla corruzione tendono a rivestirsi di un perfetto «legalese» e talvolta, nei luoghi più elevati del potere, salgono in cattedra evocando con protervia la questione morale e il benessere della collettività.
È stato osservato da Vito Marino Caferra, nel suo libro «Il sistema della corruzione», che il potente, che non voglia rendere facilmente accertabile la propria posizione, non deve agire in modo diretto, ma cercare un intermediario sul quale possano ricadere i fulmini dell’errore. Bisogna precostituire le condizioni per salvare un’immagine di innocenza. È questa la funzione del collaboratore, del segretario o del faccendiere, che sono insieme il trait d’union e lo schermo tra il potente e il corruttore. Non c’è operazione di rilievo che non abbia la presenza di soggetti formalmente privi di potere, che però hanno un peso determinante in quanto godono della fiducia del potente e gli offrono la necessaria copertura.
Non può poi escludersi che, come talvolta accade, il segretario approfitti del proprio ruolo e tenti di arricchirsi spendendo il nome del principale. Claudio Magris, sul Corriere della Sera, in uno scritto «L’esplosiva violenza delle tangenti, attentato alla dolcezza del vivere», denuncia che le tangenti, quando coinvolgono l’amministrazione pubblica, costituiscono un gravissimo attentato alla vita del Paese.
Se ad esempio l’amministratore di un ospedale che deve acquistare apparecchiature necessarie per le analisi e la cura dei malati - ossia strumenti fondamentali per la vita dei pazienti - si lascia corrompere per una tangente ed acquista materiale più scadente e inadeguato, il guaio non è tanto che egli, come ogni ladro, si mette in tasca soldi che non gli spettano. Il guaio è che egli danneggia gravemente la tutela della salute dei malati i quali, in seguito alla sua corruzione, saranno curati peggio e dei quali forse alcuni, a causa di quelle dolorose carenze tecniche, andranno all’altro mondo.
In questo contesto concludiamo l’esame dell’argomento in discussione con un’espressione altissima di Papa Jorge Mario Bergoglio, contenuta nel suo volume «Guarire dalla corruzione»: «Ogni corruzione cresce e nello stesso tempo si esprime in un’atmosfera di trionfalismo. Il trionfalismo è il brodo di cultura ideale per gli atteggiamenti corrotti, poiché l’esperienza dice che questi atteggiamenti danno buoni risultati. Il corrotto si conferma e contemporaneamente avanza in questo ambiente normale. Una persona corrotta non permette di crescere in libertà. Il corrotto non conosce la fraternità e l’amicizia, ma la complicità».
Un libro molto significativo da leggere è «Il prezzo della disuguaglianza», scritto dal premio Nobel Joseph E. Stiglitz. La disuguaglianza, scrive l’autore, è causa nonché conseguenza del fallimento del sistema politico, e contribuisce all’instabilità del nostro sistema politico, il quale a sua volta contribuisce ad aumentare la disuguaglianza. Viviamo in un mondo in cui enormi bisogni rimangono insoddisfatti: mancano investimenti produttivi che facciano uscire i poveri dalla povertà, che promuovano lo sviluppo nei Paesi meno sviluppati.
Contemporaneamente abbiamo ampie risorse inutilizzate come lavoratori e macchinari improduttivi o impiegati al di sotto delle loro possibilità. E la disoccupazione è il fallimento peggiore, la fonte di inefficienza più grave, oltre che una delle cause principali della disuguaglianza. Stiamo pagando cara la nostra disuguaglianza e il prezzo è un sistema economico meno stabile e meno efficiente, che cerca utili e guadagni anche in sedi non proprie. Con meno crescita e con una democrazia che è messa in pericolo.
Il problema non è se la globalizzazione sia buona o cattiva, ma che i Governi la stanno gestendo molto male, per lo più a beneficio di interessi particolari. In questo contesto di crisi economica quasi endemica è del tutto iniquo che alcuni protagonisti del settore finanziario se ne siano tornati a casa con l’impunità e con «bonus» smisurati, mentre tanti cittadini inermi hanno subito gli effetti della crisi provocata da quegli stessi banchieri e sono rimasti senza lavoro. Così il premio Nobel per l’economia Paul Krugman: «Gran parte della finanza è diventato un racket, un gioco in cui un pugno di persone vengono pagate con somme sontuose perché ingannino e sfruttino utenti e investitori». Il racket non si fermerà se non si metterà un freno al boom di queste pratiche.
Il teologo, sacerdote e scrittore svizzero Hans Küng, nel libro «Onestà. Perché l’economia ha bisogno di un’etica», parlando di finanza si chiede: «Dov’è qui la trasparenza, dove l’efficienza economica e il controllo democratico? Finisce per governare un mercato globale senza confini, senza scrupoli, senza regole».  

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