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La «Maddalena penitente» del Caravaggio, restaurata ed ora visibile a Roma, nella Galleria di Palazzo Doria Pamphilj

Ridare la luce ad un’opera di Michelangelo Merisi da Caravaggio è il sogno di ogni restauratore. Qualche mese fa si è concluso il recupero conservativo sulla «Maddalena penitente» conservata nella Galleria Doria Pamphilj al centro di Roma. Nella stessa occasione è stata restaurata un’altra opera della collezione Pamphilj, la «Deposizione» dipinta su tavola di Giorgio Vasari. Ho avuto l’onore di condurre e coordinare tutte le fasi operative realizzate dal team dell’associazione che presiedo da due anni, «Verderame progetto cultura». Il recupero ha previsto l’allestimento di un’area di cantiere, visibile al pubblico attraverso un divisorio trasparente in plexiglass, aperto una volta al mese per momenti di incontro con gli interessati. Il progetto è stato finanziato con fondi privati trovati dall’associazione, intenta a creare una rete tra opere pubbliche e finanze private. «Verderame progetto cultura» promuove l’opera d’arte nella sua complessità, pienezza e fisicità dei processi creativi che l’hanno generata, e interviene nella conservazione con l’obiettivo di riportare in luce il passaggio nel tempo, la relazione con la vita reale, mediante il lavoro di un’équipe di esperti e della copertura economica di sostenitori e partner privati.
Michelangelo Merisi da Caravaggio aveva circa 20 anni quando dipinse la Maddalena penitente. Bellori, il biografo dei pittori del seicento romano, scrive: «Dipinse una fanciulla a sedere sopra una seggiola, con le mani in seno in atto di asciugarsi li capelli, la ritrasse in una camera, ed aggiungendovi in terra un vasello di unguenti, con monili e gemme, la finse per Maddalena». La «finse» nel senso che la elevò a Maddalena. Perché la fanciulla ritratta era in realtà la senese Anna Bianchini, una prostituta «familiare» a Caravaggio che si prestò a fare da modella non solo per questo dipinto della collezione Pamphilj. Le indagini diagnostiche, eseguite durante l’ultimo restauro, hanno fornito elementi molto interessanti in relazione a quanto scritto dal Bellori. Caravaggio era infatti partito da una realizzazione molto più semplice: la veste della donna era più ampia e ricopriva interamente la gamba sinistra della seggiola. Per far posto alle gioie e al vasetto di unguento e caratterizzare la sua donna coma una «Maddalena», il Merisi modificò l’andamento della gonna.
Dolcissima e sfortunata, dai lunghi capelli rossi, Anna era figlia di una prostituta. Sappiamo dai documenti d’archivio che aveva un carattere impetuoso, che finiva spesso nei guai e veniva definita, nei rapporti di polizia, come una «frequentatrice di pittori». La sua sventurata vita durò solo 25 anni. Nella Roma di quei tempi per sopravvivere era necessario un carattere determinato. La popolazione contava 110 mila abitanti di cui 34 mila considerati poveri. Era la Roma di Caravaggio, con tutta la vita vera dentro: delinquenza e bordelli, giovanotti arroganti e veloci di spada, cortigiane seduttrici e donne di strada disposte a tutto per un bicchiere di vino, un soldo e un pezzo di pane. Una Roma buia di notte, chiassosa, osti litigiosi, bande di ragazzotti allegri e tanto vino: corso, greco, e garzoni urlanti con i cesti di sedani e frutta. C’è tutto questo a Campo Marzio, il quartiere che accoglie Michelangelo Merisi.
Fu lì che il pittore, appena giunto da Milano, cominciò a mettere in pratica le proprie conoscenze artistiche nordiche fondate sull’importanza del ritrarre dal naturale da ricercare nelle situazioni del quartiere. È tipico del Caravaggio usare modelle di varia estrazione con l’intenzione di portare sull’altare un’immagine femminile procace, avvenente, sensuale, andando spesso consapevolmente contro i dettami della Controriforma che vietavano di fare ritratti alle cortigiane. Ma Caravaggio non ne può fare a meno e con la sua vena artistica ritrae «dal naturale» i personaggi del quartiere, la vita che ha intorno. In totale violazione dei bandi che stabilivano una serie di divieti tipici della Controriforma, Campo Marzio diventa il centro brulicante del lavoro e della trasgressione di Caravaggio che si aggira per il quartiere in compagnia di altri giovani. I momenti di relazione sociale si legano strettamente ai momenti del suo lavoro e alla pratica del mestiere.
Caravaggio cercava i modelli per strada e ponendosi in opposizione rispetto all’accademia dove si praticava il disegno come filtro mentale o sintesi concettuale. I contrasti con Giovanni Baglione, artista fortemente convinto degli insegnamenti accademici, sono noti. Caravaggio se la prendeva non solo con Baglione ma con tutti coloro che criticavano la sua arte. La sua irascibilità fu la sua rovina portandolo a ferire a morte, durante una lite, Ranuccio Tomassoni, esponente di una famiglia ternana solidale e propensa al nepotismo. Con quel drammatico gesto si chiude il soggiorno romano del Merisi, costretto a scappare nella campagna laziale per rifugiarsi prima a Napoli e poi a Malta.
La Maddalena dipinta da Caravaggio trovò quasi subito spazio nella collezione Pamphilj. Camillo Pamphilj, che per sposare Olimpia Aldobrandini nel 1647 aveva rinunciato alla porpora cardinalizia, aveva ben tre opere giovanili di Caravaggio: la stessa «Maddalena pentita», il «Riposo durante la fuga» e la «Buona ventura». Quest’ultima donata dallo stesso Camillo a Luigi XIV, oggi si trova al Louvre. Come questi tre dipinti siano entrati in possesso del principe Camillo è un argomento che ha fatto molto discutere; negli ultimi anni, grazie agli studi di Andrea De Marchi, la questione sembra essere risolta. Le informazioni erano nei testi antichi: Giulio Mancini nell’opera «Considerazioni sulla pittura» edita nel 1620 aveva fatto menzione di alcune opere giovanili del Merisi presenti nelle collezioni private del cardinal Del Monte e della famiglia Vittrici. Proprio per questa famiglia Caravaggio aveva dipinto la Deposizione per la loro cappella nella Chiesa Nuova, e che oggi è in Vaticano.
Il cardinale Alessandro Vittrici doveva inoltre la carica di governatore di Roma ai Pamphilj. Vittrici e Pamphilj erano famiglie legate tra loro: tanto si evince dall’inventario di morte del cardinale del 7 ottobre 1650, in cui compaiono tre ritratti di membri della famiglia Pampihlj, Olimpia, il principe Camillo e papa Innocenzo X. Caterina Vittrici, morto il fratello Alessandro, ne eredita il patrimonio e il 30 ottobre vende a Camillo Pamphilj un lotto costituito da «due horologij e diversi quadri di pittura» per 90 scudi. Certo la somma non era molto significativa, soprattutto se tra quei beni venduti vi erano tre quadri di Caravaggio, ma Camillo era noto per essere parsimonioso nelle trattative.
Da quel momento la Maddalena compare negli inventari della famiglia e comincia la sua storia conservativa che i recenti studi, in unione con l’ultimo restauro, sono stati in grado di ricostruire. Dalle tracce che ho trovato sull’opera e da alcuni documenti d’archivio, ho potuto dedurre che nel suo passaggio attraverso il tempo il quadro subì un primo intervento di restauro nel 1713 ad opera del restauratore Domenico Michelini, che lo foderò, ripulì, stuccò e ne curò la presentazione estetica ritoccandolo. Un secondo intervento fu eseguito dal restauratore Frattini nel 1926, per fare aderire dal retro una nuova tela di supporto alla tela originale.
Quando l’abbiamo preso in esame per il restauro, il dipinto appariva «invecchiato», ossia velato da uno strato ingiallito. Essendo un quadro degli esordi romani del Caravaggio e dunque ancora «chiaro», realizzato con una certa accuratezza che il Merisi tenderà a perdere negli anni, e soprattutto nelle realizzazioni dopo la fuga da Roma, l’aspetto ingiallito non permetteva più la giusta lettura cromatica. La tecnica e l’uso di materiali pregiati, la preparazione chiara, luminosa, hanno contribuito alla sua conservazione ottimale. I pochi interventi di restauro hanno preservato la Maddalena da eccessive aggressioni con solventi non idonei, conservando una meravigliosa qualità pittorica.
L’intervento sulla Maddalena si era dunque reso necessario per il forte ingiallimento che oscurava la visione dell’insieme, dovuto all’invecchiamento di più strati di vernice applicati nei precedenti restauri i quali, ossidatisi, si rendevano ben visibili come una patina giallo-bruna soprattutto sulle parti più chiare. La camicia della Maddalena evidenziava bene l’entità del viraggio cromatico. Alcune piccole abrasioni di colore erano evidenti nella parte alta della capigliatura del fondo e dei gioielli. Un’area ritoccata pesantemente era visibile al di sopra della testa, altri ritocchi erano evidenti in alcune piccole e limitate zone del fondo. Mediante una pulitura differenziata a seconda dei pigmenti sottostanti, è stata eliminata la vernice alterata e ingiallita.
Differentemente sulla camicia si è operato un assottigliamento più graduale dello strato superficiale ingiallito. Grazie alla campagna diagnostica che ha preceduto e accompagnato le varie fasi del restauro, si era venuti a conoscenza dell’aggiunta del ricamo nero e del merletto nella parte alta della camicia. La scollatura della Maddalena era stata dunque «coperta» in un tempo successivo alla realizzazione del Merisi. L’esecuzione dei «moraleggiamenti» era una pratica comune nelle collezioni private.
Nella Galleria Doria Pamphilj sono state ritrovate numerose testimonianze sia documentarie sia in pittura di ridipinture che hanno «vestito» figure succinte o addirittura coperto completamente nudità troppo in vista. Ad eseguire queste moralizzazioni erano chiamati spesso artisti di chiara fama, come Pier Francesco Mola, Salvator Rosa e Marco Benefial. Proprio quest’ultimo si trovava spesso a collaborare con un noto restauratore dell’epoca, Michelini, curando l’aspetto estetico del lavoro più materiale. Alla luce di tutto ciò e pur non essendoci documenti che l’attestano, potrebbe essere plausibile attribuire l’aggiunta operata sulla Maddalena alla mano di Benefial per la qualità e l’accuratezza della resa pittorica.
L’aggiunta della camicia in fase di pulitura ha creato non pochi problemi. Questa aggiunta contiene un pigmento, il Giallo di Napoli, che le dà quindi un colorito più simile ad un bianco «burro», rispetto al resto della camicia che, invece, non contenendo questo pigmento, risulta bianca. La questione fondamentale era trovare un accordo cromatico tra la parte aggiunta e il resto della camicia. Si è lavorato con molta cautela nell’assottigliare le vernici sopramesse. Alla fine si è scelto di lasciare uno strato in più di patina sulle maniche della camicia. L’intervento si è concluso realizzando quella che forse nel nostro lavoro è la parte di maggiore responsabilità: la reintegrazione delle lacune e delle diverse abrasioni della pellicola pittorica. La stesura della vernice protettiva reversibile, come tutti i materiali usati nell’intervento di recupero, ha concluso il lavoro. L’opera del Caravaggio, restituita così al suo antico fascino, è visibile alla Galleria Doria Pamphilj, a Roma.

Tags: Novembre 2014

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