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STRAGE DI LAMPEDUSA DEFICIENZE ITALIANE DEFICIENZE INTERNAZIONALI

di GIUSTO SCIACCHITANO procuratore nazionale antimafia aggiunto

La strage avvenuta a Lampedusa lo scorso 3 ottobre offre lo spunto per alcune riflessioni sulle deficienze nazionali e internazionali in ordine alla questione di migranti e della tratta di persone. Il contrabbando di migranti e la tratta di esseri umani sono oggi universalmente ritenuti una delle maggiori attività lucrative del crimine organizzato transnazionale. La questione della migrazione non è, però, un problema sussidiario, legato solo alla sicurezza o all’emergenza umanitaria; l’immigrazione e l’integrazione ad essa correlata sono diventati i temi di attualità centrale che influenzano in maniera significativa le scelte politiche dell’Occidente e dell’Europa in particolare.
Dare risposte ai problemi reali che la migrazione pone significa partire dal principio generale di agire a monte delle cause della migrazione stessa, piuttosto che contrastarla a valle mettendo in atto solo misure di sicurezza verso i suoi effetti. I migranti rimasti vittime a Lampedusa erano tutti, o almeno la maggior parte, provenienti da Paesi in guerra o infestati da conflitti interni, e questa situazione politica li costringeva a fuggire alla ricerca di una loro sicurezza personale.
Tutti costoro, o coloro che si trovano in questa particolare situazione, possono godere dei diritti loro riservati dalla legislazione nazionale ed europea sui «richiedenti asilo» che prevede, in particolari condizioni soggettive e oggettive, l’accoglienza degli stessi. Tutti siamo ben consapevoli che con questi Paesi è attualmente molto difficile, se non impossibile, aprire un vero e concreto dialogo in materia di diritti umani, che invece sono calpestati proprio dalle loro autorità.
Il tema del traffico di clandestini non si esaurisce però con il riferimento ai richiedenti asilo, i quali risultano numericamente abbastanza limitati, essendo esso ben più ampio e includendo due altre diverse tipologie di persone che entrano illegalmente nel nostro Paese: coloro che vi entrano, volontariamente, per trovare un lavoro in Italia o per poi trasferirsi in altri Paesi quasi sempre del Nord Europa, e coloro che vi entrano costretti a farlo da un’organizzazione criminale che li sfrutta per avviarli alla prostituzione o al lavoro forzato in agricoltura, in edilizia, nell’accattonaggio; a questa categoria di persone fanno riferimento i due protocolli Smuggling e Traffiking annessi alla Convenzione dell’ONU contro la criminalità organizzata firmata a Palermo nel 2000.
Ognuno dei casi menzionati, molto diversi tra loro, ha una normativa particolare e una motivazione particolare all’origine; certamente per tutti vanno posti, anzitutto, l’attenzione e ogni impegno per la personale salvezza durante il tragitto via mare dai porti di imbarco fino alle nostre coste. Ma se questo è l’impegno principale, va purtroppo subito detto che non è di facile soluzione.
Dopo la tragedia di Lampedusa i maggiori interventi, nazionali ed internazionali, hanno focalizzato l’attenzione sull’accoglienza dei migranti, sulla richiesta di abolizione del reato di introduzione clandestina nello Stato, sulla modifica della normativa europea relativa ai richiedenti asilo, ritenuta oggi afflittiva nei confronti dei Paesi di primo approdo come appunto l’Italia.
Per dare l’idea della difficoltà di rendere operativi questi soli punti di carattere umanitario, basta ricordare come nessun Paese europeo, e men che mai quelli del Nord Europa, hanno previsto una norma simile a quella attuata dall’Italia, con l’articolo 18 del Testo Unico sugli stranieri, che consente l’attribuzione del permesso di soggiorno alla vittima che voglia allontanarsi dal gruppo criminale che la tiene in suo potere o che voglia collaborare con la giustizia.
Vi è poi un secondo aspetto da considerare quando si affronta il fenomeno dei clandestini, ma sul quale pochi si sono soffermati anche dopo i fatti di Lampedusa, ossia il contrasto ai trafficanti che svolgono il business del trasporto di qualunque tipo di clandestino che voglia raggiungere, per qualsiasi motivo, l’Italia. Oggi il traffico di clandestini comporta tutti vantaggi e nessun rischio per i trafficanti, mentre dovrebbe, al contrario, rappresentare per loro molti rischi e pochi vantaggi.
Questo avviene per carenze nazionali ma soprattutto internazionali. La Procura Nazionale Antimafia svolge un costante monitoraggio su tutti i procedimenti penali in materia di tratta di persone e di contrabbando aggravato di migranti, reati previsti dai ricordati Atti internazionali. Da questi dati emerge anzitutto che il traffico di clandestini è gestito quasi esclusivamente da gruppi criminali stranieri, e non dalle mafie italiane; da organizzazioni, cioè, i cui vertici rimangono sempre all’estero, nei Paesi d’origine o di transito, e che operano in Italia attraverso loro associati i quali si occupano dello sfruttamento in loco delle vittime, oppure di gestire il loro passaggio in Italia e il successivo trasferimento in altri Paesi.
Da ciò consegue che in Italia è possibile processare solo l’ultimo anello della catena del traffico, ossia l’autore dei fatti commessi da noi, ma non l’organizzatore e comunque non gli anelli intermedi del traffico che operano fuori confine, dove reimpiegano anche i lauti guadagni estorti alle vittime. Per aggredire costoro è condizione essenziale la collaborazione giudiziaria con i Paesi d’origine e di transito, condizione questa che attualmente manca del tutto. Le principali rotte dei clandestini sono quelle che provengono dall’Europa balcanica e orientale via terra, dall’Estremo Oriente attraverso la Turchia e la Grecia e giungono via mare in Italia, e quella che proviene dal Medio Oriente o dall’Africa sub-sahariana, che passa per l’Egitto e la Libia e giunge in Sicilia.
Soprattutto questa terza rotta è la più pericolosa per la vita delle persone trasportate, a causa del maggior tratto di mare da attraversare. Il passaggio avviene con imbarcazioni piccole o grandi obsolete, spesso con navi maggiori che si fermano fuori dalle acque nazionali e, lì rimanendo, lasciano partire più piccole imbarcazioni per raggiungere la costa: il pericolo è sempre imminente. Di fronte a tutto questo, non si riesce ad ottenere nessuna concreta collaborazione internazionale; e non soltanto da Paesi oggi in situazioni politiche difficili, ma da tanti Paesi che sarebbero in condizione di assicurarla, come Grecia e Turchia, o Nigeria e Paesi di quell’area, da cui pure proviene la maggior parte delle vittime.
In questo senso vi è una grande responsabilità politica internazionale e, ricordando le forti espressioni del Papa e del presidente della Repubblica che bollavano come una vergogna quanto era accaduto a Lampedusa, si può a ragione ritenere che grande responsabilità vada attribuita: a molti Paesi europei che vedono nel traffico di clandestini una forza lavoro a buon mercato e, salvo alcune poche eccezioni, non hanno assunto concrete iniziative per l’assistenza delle vittime; ai Paesi di provenienza e di transito delle vittime stesse che, per loro problemi politici, economici, culturali e per le forti corruzioni, non hanno mai varato legislazioni adeguate; alle organizzazioni internazionali - Onu, Osce, Ue - le quali si limitano ad emanare continue Risoluzioni e Piani d’azione che restano sempre inattuate, senza che vi sia alcuna possibilità di verificare se questi documenti vengono poi realmente adottati dai Paesi membri.
Così stando le cose, il traffico di migranti non viene scalfito e le tragedie possono sempre avvenire. Noi tutti viviamo certamente in uno dei cambiamenti epocali, nei quali occorre verificare se le strutture ordinamentali disegnate nel passato siano ancora adeguate ad affrontare nuove realtà sociali e giuridiche che si impongono con forza ineludibile. 

Giusto Sciacchitano

(già procuratore nazionale antimafia)

Tags: Dicembre 2013 contrasto alla mafia immigrazione

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