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Anche banche e finanza devono aiutare le imprese ad uscire dalle loro crisi

Nel numero di novembre 2013 di Specchio Economico ho tratteggiato il quadro emerso dalla prima conferenza annuale della Global Restructuring Organization svoltasi nella camera di commercio di Modena, e dalle relazioni che gli esperti americani presenti hanno dedicato alla ristrutturazione delle imprese in crisi negli Usa realizzata secondo il chapter 11 della legge fallimentare americana. Tali autorevoli esperti erano i giudici James Peck che si è occupato del fallimento di Lehman Brothers, Cecilia Morris presidente della Bankruptcy Court di New York, e Charles Case del tribunale di Phoenix in Arizona.
Hanno concluso la prima parte della conferenza John Davison responsabile del gruppo Ristrutturazioni di Royal Bank of Scotland, e Rick Morris responsabile per la Finanza dedicata ad investimenti anche in aree critiche di Goldman Sachs, che hanno analizzato temi economico-finanziari legati alla ristrutturazione delle imprese in crisi. La seconda parte è stata coordinata dai due relatori Luciano Panzani, presidente del tribunale di Torino, e Antonio Tullio, docente di diritto privato nell’università di Modena e Reggio Emilia.
Al tavolo delle ristrutturazioni concorsuali questa volta secondo la legge italiana, illustri relatori come Magda Bianco, titolare della Divisione economica e di diritto della Banca d’Italia, Laura Zaccaria, responsabile della Direzione norme e tributi dell’Abi, Margherita Bianchini, vicedirettore generale Assonime e Paola Corbulotto di Signum International Italy hanno descritto i nuovi strumenti giuridici e quanto era stato realizzato in questi ultimi anni dal legislatore italiano in materia concorsuale per offrire certezze e flessibilità di regole all’impresa in crisi per farle superare le difficoltà.
Le norme introdotte sono indirizzate a favorire interventi volti a salvaguardare i valori aziendali nella loro dimensione produttiva e ad accelerare il ritorno sul mercato delle imprese in crisi. Un primo elemento ruota sul necessario coordinamento delle forze di cui dispone l’impresa. Anche sulla base delle esperienze virtuose d’oltreoceano, pur tenendo conto delle sostanziali differenze operative e normative di natura macroeconomica e di mercato, finanziarie, giuslavoristiche, fiscali e previdenziali esistenti tra le realtà americana e italiana, la considerazione  che anima qualsiasi operazione di ristrutturazione d’impresa è basata sull’avvento di una nuova cultura che poggia sullo sforzo di tutte le parti interessate.
L’applicazione di best practices a questo fine anche in Italia può essere incentivata grazie all’adozione di strumenti legislativi avanzati come quelli oggi a disposizione degli operatori. Ma veniamo alle singole relazioni. Magda Bianco ha tratteggiato quanto l’attuale situazione italiana di crisi sia la risultante, anche nell’aumento delle procedure concorsuali, di un progressivo peggioramento delle condizioni economiche, industriali e commerciali negli ultimi cinque anni, ma che affondano le loro radici ben oltre.
Le opportunità e le criticità dell’attuale legislazione sono state efficacemente sottolineate. In particolare, la necessità di un’emersione anticipata della crisi costituisce il punto dolente delle vicende concorsuali, poiché l’imprenditore è portato a tentare le più disparate e spesso disperate soluzioni pur di non riconoscere lo stato di difficoltà che la propria impresa sta attraversando, e di salvaguardare tempestivamente la continuità aziendale.
Il meccanismo offerto dall’articolo 181 quinto comma della legge fallimentare va in questa direzione. Con questo tipo di procedura il legislatore ha reso possibile, al debitore in difficoltà, presentare il ricorso di concordato preventivo e ottenere l’automatic stay per non oltre sei mesi, ovvero il blocco degli atti esecutivi da parte dei creditori, e ciò in modo semplice e poco costoso, per dargli tempo per confezionare un piano di riorganizzazione e perfezionare accordi con i creditori.
Il mio giudizio è positivo poiché, se è innegabile la situazione di grave crisi economica che affligge il Paese sottolineata dalle dichiarazioni dei tribunali italiani di 50 fallimenti al giorno, le misure introdotte costituiscono un argine temporaneo al loro ulteriore incremento, e un incentivo a mettere ordine, riorganizzarsi, prepararsi alla «seconda chance», «ripartire» in modo corretto, adeguato e sostenibile.
La possibilità così offerta al debitore e ai suoi creditori attraverso il concordato in bianco, ovvero in continuità aziendale e produttiva, costituisce un buon mezzo per salvaguardare i valori residui dell’impresa nell’interesse di tutti, creditori, dipendenti, mercato di pertinenza. L’incremento dei fallimenti con i problemi di riallocazione sul mercato italiano asfittico come è oggi, provocherebbe ulteriori, inutili ed irreversibili impoverimenti. L’uso distorto e patologico dell’istituto che non è poi così frequente, caratterizzato da comportamenti scorretti da parte del debitore verso i creditori tramite vendite, sottrazioni di assets o delocalizzazione della produzione, non elimina i vantaggi che possono derivare da una realistica ristrutturazione alle imprese ancora sane.
Attendiamo che il ricorso all’istituto si stabilizzi, che i Tribunali indirizzino e controllino il corretto uso delle procedure, e che il contenuto virtuoso dell’istituto si vada consolidando e consegua il superamento delle iniziali distorsioni. Al riguardo ricordo che il legislatore, con i provvedimenti dell’agosto 2013, ha dato pronta risposta a tali preoccupazioni prevedendo, nell’articolo 161 V comma della legge fallimentare, e la possibilità per il tribunale di nominare un commissario giudiziale con funzioni di controllo, la necessità di autorizzazione per gli atti di straordinaria amministrazione e la possibilità di un limite agli impegni di spesa legati all’ordinaria amministrazione.
Le prassi applicative di molti tribunali non si sono ancora formate; per ora si constata una certa disomogeneità dei provvedimenti assunti per esempio nell’assegnazione dei termini per il deposito del ricorso, o nella determinazione dei depositi correlati alla nomina del commissario. Sono state anche registrate complicazioni gestionali legate ai tempi di rilascio delle autorizzazioni necessarie alla continuità dell’attività d’impresa. In una parola, si teme che il ricorso a tale procedura sia stato reso più oneroso, burocratico e macchinoso. Tale procedura, che aveva nella snellezza e semplicità le proprie caratteristiche vincenti e si fondava su una maggiore responsabilizzazione dei creditori che bene potevano controllare il loro debitore e riferire al Tribunale eventuali irregolarità gestorie, oggi risulta appesantita dall’introduzione, in tutte le procedure, di concordato in continuità di una certa rilevanza economica, del commissario giudiziale. Che il tribunale imprenditore costituisca un modello non del tutto tramontato?
Anche i profili finanziari collegati alle necessità delle procedure concorsuali sono stati al centro delle relazioni, in particolare i dati delle relazioni di Laura Zaccaria e di Magda Bianco hanno messo in evidenza le numerose ombre dell’attuale contesto. L’attuale crisi economica e produttiva è stata aggravata dalla stretta creditizia che ha inciso notevolmente sulle difficoltà delle imprese nel reperire finanziamenti; questo problema si trasferisce pesantemente sull’impresa malata.
I finanziamenti «ponte» nel concordato preventivo, ciò che occorre proprio per ripartire, sono difficili da ottenere. Le norme civilistiche che dovrebbero sorreggere la concessione di questi finanziamenti non sono sufficientemente evolute tanto da tranquillizzare banche e finanziatori. I vincoli a livello europeo sulla nuova finanza, il trattamento delle perdite da un punto di vista fiscale, la necessità di un dialogo continuo e a carte scoperte tra banche e imprese in crisi costituiscono pesi ulteriori per l’impresa malata.
Va però sottolineata la valutazione condivisa emersa tra gli addetti ai lavori: le riforme degli ultimi anni, in particolare l’introduzione del ricorso prenotativo di cui all’articolo 161 V comma della Legge fallimentare hanno contenuti ed effetti positivi. Infatti l’introduzione della prededucibilità per i finanziamenti ponte rappresenta senz’altro un punto avanzato di quella cornice normativa agevolatoria che deve assistere coloro che sono pronti ad assumersi un rischio in un momento difficile per l’impresa.
D’altro canto però, se il finanziamento ponte gode della prededuzione nell’ambito della procedura fin quando la stessa ha successo, la prededuzione del credito si perde in caso di fallimento. Questa è l’interpretazione che si va consolidando nei Tribunali. E allora, se la banca finanziatrice può perdere il beneficio della prededuzione, sarà molto difficile ottenere prestiti nella procedura di preconcordato o antecedente al piano di ristrutturazione. Ma c’è di più: la banca finanziatrice corre anche il rischio di azioni revocatorie, malgrado l’autorizzazione del tribunale, sulla parte di finanziamento rimborsata dal debitore durante la procedura, in caso di dichiarazione di fallimento; l’articolo 182 quater della Legge fallimentare merita pertanto una riflessione e più di una modifica.
Anche la possibilità per il debitore di liberarsi, su autorizzazione del tribunale, dei contratti in corso di esecuzione divenuti eccessivamente onerosi con il pagamento di un indennizzo, rappresenta un’area grigia caratterizzata da una normativa non sufficientemente chiara che si presta ad abusi. In linea con l’orientamento giurisprudenziale prevalente - tribunale di Monza del 16 e del 21 gennaio 2013 - e sulla base delle linee guida emanate dal tribunale di Milano, sarebbe preferibile offrire al debitore la possibilità di chiedere solo la sospensione e non la risoluzione di questi contratti, con determinazione di un’indennità per il contraente incolpevole; per i contratti di finanziamento in corso di esecuzione sarebbe opportuno introdurre la prassi secondo cui tutte le banche debbano essere autorizzate, ai sensi dell’articolo 182 quinques, a proseguire, in modo di fare chiarezza e non lasciare incertezze, per esempio per quanto attiene all’erogazione della parte residua del finanziamento, che verrà usata successivamente all’apertura della procedura.
In linea generale tutti i relatori hanno sottolineato che sul decennio di decrescita della produttività e competitività italiana hanno inciso diverse cause. In primis l’incidenza dell’innovazione e della dimensioni dell’impresa. Il problema più grave che merita una profonda riflessione e trasformazione è, però, rappresentato dall’allocazione delle risorse: il capitale e il lavoro. L’attuale regolamentazione del lavoro flessibile, il sistema degli ammortizzatori sociali, le politiche in favore del lavoro necessitano di strumenti normativi che facilitino realmente l’entrata e l’uscita dal mercato. Sono queste le aree critiche che imprigionano le nostre imprese.
Anche la banca e la finanza sono chiamate, per chi scrive, a fare la loro parte, con iniziative nuove, protagonisti specializzati nei vari settori, capacità imprenditoriali che tengano conto anche dell’esigenza di dotarsi di professionalità, competenze e modelli, esterni anche esteri allorquando sia necessario. Venendo alla situazione delle procedure fallimentari in Italia e al loro andamento a partire dal 2006 - i primi passi della riforma si collocano nel 2005 - sono stati registrati consistenti effetti deflattivi sul numero dei fallimenti. Tale risultato è dovuto sia all’inserimento dei parametri dimensionali dell’insolvenza, sia perché le nuove procedure e i procedimenti diversi dal fallimento, messi a disposizione dell’imprenditore in crisi, hanno incominciato a dare risposte di carattere positivo.
Al riguardo va detto che il legislatore, questa volta, si è mosso tempestivamente perché ha anticipato la crisi e la sua fase più intensa con l’introduzione di alcune norme migliorative sotto il profilo della speditezza e dell’elasticità delle procedure. Ne costituiscono esempio il nuovo concordato preventivo; le procedure di riorganizzazione e di ristrutturazione; il piano attestato; tutte misure note agli addetti ai lavori, alle quali ora si è aggiunto il concordato in continuità o prenotativo o in bianco. Il numero dei fallimenti nel 2007 aveva raggiunto un picco minimo significativo, oggi è in notevole crescita ma va registrato un dato positivo: le procedure di concordato rispetto a quelle fallimentari tendono ad aumentare notevolmente, così come tendono a ridursi i tempi dei fallimenti che si vanno attestando sui due anni e mezzo. Tali risultati sono stati apprezzati anche in campo internazionale, tanto che il Doing Business ha fatto guadagnare, quest’anno, sette posizioni all’Italia che l’anno prima era al 73esimo posto. Il risultato è stato raggiunto proprio grazie alle novità introdotte nella legge fallimentare.
Le riforme della legge fallimentare hanno facilitato l’uscita dal mercato di numerose imprese decotte e già da tempo avviate al fallimento, ma hanno incoraggiato anche la ristrutturazione di molte imprese. La percentuale dei concordati è salita nel 2012 di più del 10 per cento rispetto all’anno precedente e nel primo semestre del 2013 sono stati depositati più di 2.500 concordati con riserva ed aperti più di 1.000 concordati con i «piani» relativi. Una buona percentuale di concordati con riserva, o in bianco sembra si sia conclusa con una ristrutturazione omologata utilizzando l’articolo 182 bis della legge fallimentare. Gli effetti sul credito non sono stati negativi; le nuove norme hanno disegnato un quadro che in termini di efficienza ed efficacia comincia a poter essere confrontato con i risultati delle procedure americane. Un quadro, quindi, soddisfacente, con risultati positivi di carattere sociale ed economico sul piano del lavoro, della produzione, della presenza sui mercati delle imprese italiane. Nel prossimo numero, concluderò questo excursus in una materia tanto interessante.

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