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internet ha cambiato o peggiorato la democrazia?

Maurizio De Tilla e Anna Maria Ciuffa,  fondatori di «Le Professioni per l’Italia»

C'è chi compra libri su Amazon, chi acquista e ascolta canzoni con il computer. Si pagano le bollette via web e vi si svolge anche parte dell’attività commerciale. La finanza è tutta in rete. Il Papa twitta. Tutto è destinato a cambiare con internet. Anche la politica. Basti vedere la primavera araba, non meno che Occupy Wall Street, gli indignados spagnoli e i cinquestellati italiani. L’età della rete è vista come una speranza per la democrazia. Purché non si esageri. Come si sta facendo con la libertà indiscriminata nella rete, oltreché con lo spionaggio internazionale e il Grande Fratello.
A una democrazia digitale può subentrare una società liquida e illiberale. La rete ha una grande importanza nell’emancipazione dei popoli e nella denuncia delle azioni liberticide ad opera dei regimi più repressivi del mondo. Internet serve a comunicare per trasmettere idee e informazioni spesso nascoste. Tv satellitari, cellulari con fotocamera, Facebook, YouTube e Twitter hanno reso universale l’accesso all’informazione conferendo più forza all’individuo. Ma il traffico dei dati ha generato la presa di coscienza degli Stati di poter esercitare il controllo generale dei cittadini nonché delle imprese multinazionali, di poter usare speculativamente i dati acquisiti attraverso gli strumenti tecnologici. Si registrano, quindi, abusi di potere e comportamenti scorretti nel mercato e sul piano della concorrenza.
Si è scritto che internet e la sua gestione stanno passando da un settore «open source» governato dal basso ad un settore strategico ed invasivo guidato dall’alto. L’accumulo di dati in rete, infatti, pone un problema etico. Ci si chiede se siamo di fronte ad una grave minaccia alla democrazia destinata ad aggravarsi man mano che si diffondono i mezzi per raccogliere, registrare e analizzare messe di dati. Google, Facebook e un migliaio di loro imitazioni nella Silicon Valley operano senza limiti nella produzione, raccolta, scambio e condivisione di dati. Evgeny Morozov parla addirittura di cambiamento di direzione con una decrescita che possa investire, non solo il prodotto interno, ma tutto il settore internet.
C’è chi tenta di «incoraggiare a disintossicarci» dal digitale e ad installare applicazioni che ci rendano più propensi a trascorrere dei periodi in ambienti in cui l’uso dei dispositivi elettronici sia bandito. La rete è anche veicolo di diffamazione. In proposito va segnalato che la Cassazione, con la recente decisione n. 5,107 del 3 febbraio 2014, ha confermato l’assoluzione del manager del gruppo di Mountain View per il caso del video di uno studente disabile insultato e seviziato dai suoi compagni di scuola. La Corte Suprema ha stabilito che gli unici responsabili di clip che compromettono il diritto alla riservatezza o le norme del Codice penale sono gli utenti che caricano simili contenuti. Il provider, invece, risponde solo se è venuto a conoscenza della natura illecita dei dati ed abbia omesso di rimuoverli prontamente o di disabilitare l’accesso agli stessi. Non esiste, quindi, un obbligo generale di sorveglianza, da parte del provider, dei dati immessi da terzi sul sito da lui gestito. E neppure esiste, a carico del provider, un obbligo sanzionato penalmente di informare il soggetto che ha immesso i dati dell’esistenza e della necessità di applicare la disciplina sul trattamento dei dati stessi.
Intanto nella rete si può anche ipotizzare un «dark web», cioè un sito accessibile solo con speciali software dove si dà spazio alla droga e alla pedo-pornografia.
Un mondo torbido e occulto nel quale l’ingrediente fondamentale è l’anonimato. Non si tratta di sistemi di libertà ma di mezzi per eludere e violare la legge e guadagnare denaro. Quando si interviene per stroncare questo fenomeno illegale?
Nel libro «Sesto potere - La sorveglianza nella modernità liquida», Zygmunt Bauman e David Lyon affrontano il tema della sorveglianza che è liquida perché è cruciale cogliere i modi in cui essa si infiltra nella linfa vitale della contemporaneità fino a distruggerla, facendo regredire la persona alla condizione di puro oggetto sul quale si esercitano poteri fondati sull’imperativo della sicurezza e sulle pretese del mercato. La sorveglianza è una dimensione chiave del nostro mondo: siamo costantemente controllati, messi alla prova, giudicati nei più piccoli dettagli della vita quotidiana.
E il paradosso è che siamo proprio noi - i sorvegliati - a fornire il più grande volume di informazioni personali, caricando contenuti sui social network, usando la nostra carta di credito, facendo acquisti e ricerche on line. Per fronteggiare lo spionaggio internazionale c’è chi propone di eliminare la rete unica. Internet si spezzetterebbe in una moltitudine di reti nazionali, ogni Paese avrebbe proprie infrastrutture e server. Il territorio nazionale della rete potrebbe forse impedire attentati esterni alla privacy individuale e alla riservatezza dell’azione dei singoli Stati.
La Cina è stata antesignana di questi interventi. Si è gridato allo scandalo dai Paesi occidentali che oggi sono pronti ad imitare il colosso cinese. Contro un’invasione esterna sulla rete il cancelliere tedesco Angela Merkel propone un web europeo. L’Europa può costruire un sistema di comunicazioni protetto e accessibile a istituzioni, politici, imprese e in generale ai cittadini. L’allusione è certamente al Datagate, che ha fatto apporre agli Usa l’etichetta di un Paese intrigante ed ostile. Esiste, quindi, una voglia di sicurezza, ma certamente non di mistero.
Il web selvaggio sta preoccupando il mondo. Stessa preoccupazione per il web controllato. A venticinque anni dalla sua nascita sono necessarie regole e garanzie che lo mettano al riparo dalle violazioni alla sua libertà. Non regole costrittive ma l’opposto: cioè garanzie costituzionali per i diritti della rete e nella rete. Un Bill of Rights, come l’ha definito Stefano Rodotà, che abbia come autori e protagonisti l’Onu e il Parlamento europeo. Aggiungiamo: con automatici adeguamenti.   

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