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Il controverso rapporto tra giurisdizione ed economia

Avv. PIERO MANCUSI

Nelle ultime settimane sono tornate in forte evidenza una serie di decisioni giudiziarie che lasciano perplesso il cittadino comune e alimentano un senso di sfiducia nella Magistratura, nelle Istituzioni e nella Politica, accusata di fare leggi lacunose. Partiamo dai provvedimenti di sequestro presso l’Ilva che, dopo 3 anni di interventi della magistratura, è un disastro industriale. Più recente è il caso della Fincantieri che ha costretto il Governo all’adozione di un decreto legge per affrontare le emergenze produttive ed occupazionali dello stabilimento di Monfalcone. In questo caso tutto nasce da un sequestro preventivo del Tribunale di Gorizia in seguito all’accusa contro l’azienda di gestire i rifiuti prodotti da terzi (fornitori) in assenza di autorizzazione.
La prima richiesta era stata respinta dal G.I.P., ma tutto ciò non è bastato. Il motivo del contendere non è la tossicità dei rifiuti, che possono ledere i diritti dei cittadini, ma la questione se debbono essere smaltiti in maniera differenziata dall’azienda madre o dai fornitori. In sostanza tra Tribunale ed Impresa vi è un dialogo tra sordi per cui regna l’incertezza del diritto. Nessuno vuole contestare il ruolo dei Giudici né la loro autonomia, ma occorre una iniziativa che avvicini la politica industriale del Paese con una visione giudiziaria che non rimanga legata a vecchie interpretazioni e logori pregiudizi; in sintesi occorre costruire un lessico comune tra Magistratura e impresa.
Dietro c’è l’idea che la giurisdizione debba comunque svolgere una funzione di supplenza rispetto alla politica anche contro la vita delle imprese. Abbiamo un tessuto produttivo ormai fragile per cui l’incertezza interpretativa delle leggi, da cui si generano contenziosi infiniti nei nostri Tribunali, non aiuta la nostra economia. Occorre quindi che l’ordinamento statuale offra risposte normative adeguate e che il giudice non segua linee interpretative evolutive, per dare sfogo a personali convincimenti.
Nella prospettiva di sistema ricordiamo ciò che avviene nell’applicazione della legge Severino. La Cassazione sottrae la competenza al Tar a favore del giudice ordinario e in un labirinto di categorie giuridiche si discute di ineleggibilità, incompatibilità, incandidabilità ecc. Insomma troppe interpretazioni e verdetti contrastanti con la conseguenza che la legge Severino fu subito applicata a Silvio Berlusconi, ma non vale pe il sindaco di Napoli  Luigi De Magistris e per Vincenzo De Luca, presidente della Regione Campania. Il risultato è che il cittadino ha le idee confuse, aumenta la sfiducia e ha il diritto di pensare che la legge non è uguale per tutti. Frantumati i partiti, la politica ha continuato ad arretrare lasciando il campo alla Magistratura, spesso, ripetiamo, investita da un ruolo di supplenza, per cui la certezza si è smarrita. Un ruolo a parte assumono i Giudici Costituzionali che devono conciliare le loro sentenze con la politica economica del Paese. Ricordiamo la vicenda degli stipendi pubblici: dal 2010 i salari dei dipendenti pubblici sono bloccati per legge, tale provvedimento è stato reiterato a tutto il 2015, fino a che la Corte ne ha stabilito la illegittimità costituzionale, ma senza effetti retroattivi.
Pare che la Corte abbia tenuto in conto l’articolo 81 della Costituzione impedendo lo sbilanciamento delle Casse pubbliche che avrebbero dovuto pagare 35 miliardi di arretrati. Anche qui la Corte fa un uso sempre più frequente della categoria della incostituzionalità sopravvenuta, criterio che non è stato invece usato per la pronuncia sulle pensioni. Alla lunga l’incertezza non aiuta neppure lo Stato, perché rende difficilissima qualsiasi politica di bilancio. A questo punto, è necessario pensare ad un meccanismo di tecnica legislativa che restituisca certezza nel diritto, ma occorre anche formare un nuovo profilo di magistrato, che si ponga in sintonia con il sistema in generale.
Il Consiglio Superiore della Magistratura intende muoversi in tale direzione avviando un cammino riformatore su percorsi di carriera, incarichi direttivi, valutazioni di professionalità. Il fine ultimo consiste nel formare un giudice, sì autonomo e indipendente, ma dotato di sensibilità crescente sugli effetti che possono avere le sue decisioni sui cittadini, sulle imprese e sul Paese, essendo consapevole del contesto in cui si agisce modulando i suoi interventi. Ne va del futuro del nostro sistema economico e istituzionale, ricordando che tra i beni più preziosi, di cui disponga una Repubblica democratica, figura la fiducia nella Giurisdizione.   

Tags: Settembre 2015 Napoli giustizia magistratura

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