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Euro sì euro no. Siamo «stati» ingannati dall’Europa

ANTONIO M. RINALDI, segretario politico nazionale di  alternativa per l’Italia/euro-exit

Siamo stati ingannati! Sin dall’inizio dell’attuale costruzione europea, che ha portato alla creazione dell’Unione Europea e successivamente alla condivisione della stessa moneta, ai cittadini europei sono state fatte credere cose che poi non sono state realizzate perché, strada facendo, le vere finalità si sono rivelate essere ben altre. Dopo il disfacimento dell’Impero Sovietico e la conseguente caduta del Muro di Berlino che riunificò la Germania, i popoli europei erano sinceramente desiderosi di dar finalmente vita ad una casa comune che mettesse proprio i cittadini al centro di ogni attenzione, al fine di migliorare le condizioni sociali ed economiche e di eliminare le ingiustizie e le differenze in un percorso comune e condiviso.
Invece tutto questo non è mai avvenuto, e a 25 anni da Maastricht e 15 dall’adozione materiale dell’euro, la maggior parte dei Paesi membri è precipitata in una crisi economica e di identità come difficilmente si è verificato dai tempi della Seconda Guerra Mondiale.
Nei fatti, l’Unione Europea non ha minimamente tutelato le esigenze dei cittadini bensì esclusivamente gli interessi delle lobby finanziarie e quelle delle multinazionali, facendo ricadere i costi e gli oneri proprio sulle persone e sulle piccole e medie imprese che hanno da sempre rappresentato la vera forza dell’economia continentale. La cosiddetta «classe media» è stata martoriata, pagando il prezzo più alto. Nessuno dei temi caldi che preoccupano l’Europa sono stati lontanamente risolti: occupazione, emergenza terrorismo, rilancio economia, stabilità del sistema bancario, ed in ultimo lo spinoso problema dell’immigrazione senza freni e regole, che sta trasformando radicalmente le abitudini, tradizioni e certezze dei cittadini europei.
L’euro avrebbe dovuto essere adottato se non dopo un lunghissimo processo di integrazione economica, fiscale, amministrativa, politica, fra sistemi molto diversi fra loro, che avrebbe consentito agli Stati membri di essere sullo stesso livello, mentre è stato utilizzato come mezzo per giungere ad una utopica integrazione che difficilmente ormai potrà essere compiuta. Basta constatare con ironia che a Bruxelles, in decenni e decenni, non sono riusciti neanche ad uniformare in tutto il territorio dell’Unione le aliquote Iva per gli stessi settori merceologici di beni e servizi, primo mattone necessario per la libera costruzione di un effettivo Mercato comune; di contro sono riusciti solo a dare regole comuni riguardo alla lunghezza dei cetrioli e alle dimensioni delle vongole.
Addirittura l’euro, che era stato presentato come strumento formidabile e motore di crescita per competere con le forti economie mondiali, si è rivelato presto essere un gigante dai piedi d’argilla e utilizzato invece come un vero e proprio «metodo di governo» e di «ricatto», in quanto dei burocrati non eletti fra Bruxelles e Francoforte lo utilizzano sempre più come mezzo per imporre regole per tutti scavalcando le volontà di Governi e Parlamenti regolarmente eletti dai cittadini secondo le sacrosante regole poste a fondamento della democrazia.
Con la stessa moneta i Paesi membri non possono più correggere le inevitabili asimmetrie della propria economia, e l’unico strumento a disposizione per tentare di essere competitivi in un mondo sempre più globalizzato è rimasto quello di «svalutare» il costo del lavoro comprimendo i salari, non essendo più possibile svalutare la moneta per poter ristabilire i naturali equilibri fra forze economiche con l’alternativa devastante di costringere molte aziende - pena la chiusura - a delocalizzare gli impianti produttivi verso Paesi che non rispettano regole commerciali né sociali. Ciò ha determinato, insieme alle dissennate politiche di austerity, una sensibile contrazione della capacità di spesa dei cittadini con le finanze degli Stati sempre più «affamati» di nuove ed esose tasse.
Sia chiaro che il «fenomeno» migratorio è solo un pianificato progetto incentivato e voluto dalle economie «avanzate» come quella europea, con la complicità dei Governi nazionali, per consentire il duplice scopo di abbassare il costo del lavoro, unico parametro disponibile per rincorrere la competitività, e rendere sostenibili nel prossimo futuro i sistemi pensionistici europei, ormai in estrema difficoltà per l’andamento negativo demografico dei paesi del Vecchio Continente e per gli esigui tassi di remunerazione degli investimenti. Ragionevolmente qualcuno sa indicarmi quanti milioni di migranti può ancora accogliere l’Europa prima che imploda definitivamente?
Abbiamo l’obbligo verso le generazioni future di preservare intatta la cultura, le tradizioni, la civiltà che invece a causa di politici scellerati rischia di scomparire definitivamente. Cosa penseranno di noi i nostri figli e i nostri nipoti riguardo alla nostra inerzia e al nostro disinteresse? Non sarebbe più opportuno intervenire in modo efficace e risolutivo direttamente nei Paesi di origine per rimuovere le cause per il quale tanta gente desidera raggiungere l’Europa fornendo aiuti e risorse in loco? Si «spenderebbe» molto meno, magari scontentando un po’ di cooperative nostrane che del fenomeno migratorio hanno fatto un ricco business, raggiungendo l’obiettivo.
Ma l’aspetto più inquietante di questa deriva nella conduzione dell’Europa, né prevista e né voluta, è quello di aver sottratto la volontà popolare dai processi decisionali, mentre va ricordato a gran voce che la più grande conquista dell’era moderna è stata l’aver attribuito la sovranità al popolo. Tutte le Costituzioni dei Paesi membri tutelano i cittadini nei loro diritti fondamentali come quello al lavoro, alla salute, all’istruzione, al miglioramento delle condizioni sociali ed economiche, alla tutela del risparmio, delegando i poteri ai rispettivi Stati affinché tutto questo sia realizzato.
 L’Unione Europea, invece, sta considerando gli Stati non più come soggetti di diritto ma come società per azioni dove i Governi e Parlamenti nazionali sono relegati al ruolo di semplici consigli di amministrazione disponibili ad eseguire ordini da parte dell’azionista di maggioranza. Il ruolo sociale degli Stati è annullato. La possibilità degli Stati di correggere gli squilibri non esiste più in nome di una integrazione che non esisterà mai, e che invece torna utile solo a vantaggio di pochi e a discapito di molti.
Tutto è immolato sull’Altare di Maastricht e delle sue assurde regole con la scusa di inseguire il «sogno» europeo che ogni giorno assomiglia sempre più ad un inquietante incubo. Questo è il vero volto attuale dell’Unione Europea. Lo stesso Parlamento Europeo non ha poteri: è solo per dare l’illusione ai cittadini di partecipare attivamente alle decisioni, mentre è la Commissione Europea che detiene il vero potere decisionale. Ma questi signori a chi rispondono?
Siamo tornati indietro di secoli e secoli quando era il «sovrano-padrone» a fare il bello e cattivo tempo; ora è stato sostituito dalla nuova figura del «sovrano-despota» dematerializzato senza volto e senza nome, anche se la sua funzione è la stessa del passato, con l’unica differenza che almeno i nostri avi riuscivano ogni tanto a tagliare la testa a qualche tiranno quando superava il limite della sopportazione in occasione di qualche rivoluzione, mentre oggi non si capisce contro chi bisogna prendersela!
Ora l’ultimo colpo a disposizione di un’Europa ormai agonizzante è quella di realizzare frettolosamente gli Stati Uniti d’Europa con la definitiva ed irreversibile cessione delle sovranità nazionali a favore di non definite e chiare entità sovranazionali superiori di non eletti. Ma se fino ad ora l’Unione Europea è stata sinonimo di interessi di parte, perché dovremo affidarci a persone ed istituzioni che non hanno mai fatto i nostri interessi rinunciando definitivamente ai nostri Stati nazionali, che almeno ci hanno assicurato e garantito molto di più? Su questo almeno possiamo stare tranquilli perché gli Stati Uniti d’Europa non si realizzeranno mai per il semplice motivo che non lo vuole nessuno, ad iniziare proprio dalla Germania e dalla Francia, e se la proposta si sente sempre più sbiadita circolare è certamente per bocca di certi politici italiani ancorati all’Europa per interessi di bottega e non certo per il bene del Paese.
Personalmente, ritengo invece che la somma delle differenze di ciascun Paese europeo sia un forte valore aggiunto rispetto alla «fusione» forzata non prevista e né voluta originariamente, e che il mantenimento delle rispettive sovranità nazionali, pur con vincoli di forti accordi di collaborazione, sia l’unica alternativa possibile e costruttiva per riscattare l’Europa dall’attuale fallimento e per garantire un futuro dignitoso e di speranze ai nostri figli. Credo fortemente che se si riusciranno a mantenere integre le differenze e le autonomie di ciascun Paese, continuando ad essere padroni in casa propria, si riusciranno a risolvere molto meglio le sfide che ci riserva il futuro. Non è un ragionamento populista o nazionalista, ma la convinzione che, se si riuscirà a mantenere integra la forza di ognuno, ciò contribuirà non solo ad interpretare e risolvere meglio i problemi della propria gente, ma a rafforzare l’intera l’Europa.
La Gran Bretagna ha scelto di uscire dall’Unione Europea perché i cittadini hanno avuto la libera possibilità di esprimersi, e presto si arriverà certamente ad un accordo di «Paese associato» in modo che ben poco cambierà nei rapporti con gli altri Paesi europei in termini di scambi e rapporti commerciali, ma con l’enorme vantaggio per loro di veder restituito al Governo e al Parlamento inglese la piena autonomia nel fare i propri interessi. A tutti gli altri, l’amara certezza che il cappio della dittatura europea si stringerà sempre più forte intorno al collo con la tragica prospettiva che il prezzo più alto lo pagheranno proprio i cittadini.
Per salvare l’Europa ritorniamo al modello proposto dalla CEE (Comunità Economica Europea) dove erano salvaguardate le autonomie e sovranità nazionali, magari modificandolo e integrandolo con tutti gli accordi commerciali e doganali possibili di buon vicinato e ritornando ciascuno alle proprie monete nazionali come effettivo e insostituibile termometro delle proprie economie e relegando all’euro il ruolo di «unità di conto» con una Banca Centrale Europea deputata a sorvegliare bande variabili di oscillazione.
Rubo una celeberrima frase che Giulio Andreotti pronunciò all’indomani della caduta del Muro di Berlino: «Amo talmente la Germania che preferisco averne due», con la molto più attuale: «Amo talmente l’euro che preferisco averne diciannove».    

Tags: Marzo 2017

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