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La concorrenza e il coraggio di mettersi in gioco

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Ci sono voluti ben 19 mesi prima che la legge «annuale» per la Concorrenza ed il mercato ricevesse il via libera del Senato. Nell’attesa di un rapido voto definitivo alla Camera si può affermare che il risultato è complessivamente positivo. Non dobbiamo infatti dimenticare che il dibattito sulle liberalizzazioni si porta dietro il solito problema: dà voce a chi viene penalizzato oggi ma non a chi ne sarà potenzialmente avvantaggiato domani. Eppure un mercato regolato ma più aperto e dinamico è «una cosa di sinistra», redistribuisce più equamente la ricchezza a danno delle rendite. Lo ha capito il Governo Gentiloni che, non a caso, ha voluto accelerare con un voto di fiducia a Palazzo Madama che verrà presumibilmente replicato anche a Montecitorio.
Telefonia, poste, assicurazioni, notai: il provvedimento introduce importanti novità per le aziende e per i consumatori. Ad esempio, per evitare le frodi assicurative sono previsti forti sconti per l’automobilista che permette alla compagnia di controllare lo stato di salute della vettura assicurata e di collocare una «scatola nera» sulla macchina capace di ricostruire le responsabilità in caso di incidente.
Maggiori tutele anche a chi sottoscrive un abbonamento telefonico oppure alla pay-tv: già in partenza deve sapere quali spese affronterà nel caso decida di passare a un altro operatore. Le aziende inoltre non potranno imporre spese di uscita superiori ai «costi reali sopportati» e comunicheranno l’entità di questi costi al Garante per le Comunicazioni.
Cambiare operatore e annullare un contratto (con il recesso) sono operazioni che il consumatore potrà fare anche «per via telematica». E potrei ancora continuare citando i passi fatti nella modernizzazione di alcuni settori dei servizi, come la professione forense, consentita ora anche in forma societaria. O il tema della circolazione dei beni culturali. L’allungamento del periodo oltre il quale è consentita la libera circolazione dei beni culturali dà fiato e ossigeno a un mercato in cui i nostri artisti sono sacrificati e marginalizzati e che invece alimenta solo un mercato nero; ritengo pertanto che, in un Paese in cui la creatività è così alta, l’allungamento del tempo oltre il quale la circolazione dei beni culturali è sottoposta a regolazione sia molto importante.
Adesso, tralasciando il tema certamente più politico - e cioè se davvero la legge annuale per la concorrenza sia uno strumento utile ed efficace o vada in fondo ripensato - mi sembra che ciò che è mancato al provvedimento è il bilanciamento delle misure pro-concorrenziali con altre misure di sostegno, di compensazione o di incentivo, in favore delle imprese - soprattutto di quelle piccole o a carattere individuale coinvolte nel processo di apertura al mercato.
La verità è che il nostro Paese, dopo la bella stagione delle liberalizzazioni, realizzata agli inizi degli anni Duemila in settori strategici come le telecomunicazioni, l’energia, elettricità e il gas, ma anche il commercio, che hanno fatto dell’Italia un Paese all’avanguardia per l’apertura dei mercati, sembra essersi bloccato. La politica a favore della concorrenza si è arenata; soprattutto quando si tenta di intervenire in settori dove i soggetti in campo sono piccole imprese, la concorrenza diventa meno popolare, perché incide immediatamente sugli interessi di chi ha da difendere piccole rendite di posizione - penso alla vicenda dei taxi o delle farmacie con la mancata liberalizzazione dei farmaci da banco -, e hanno voce più forte e  organizzata dei consumatori che riceverebbero vantaggi.
Oggi, a mio parere, il tema da non sottovalutare è proprio questo: per intervenire nei servizi, settori nei quali spesso sono presenti operatori individuali, l’impatto delle misure di liberalizzazione può essere percepito come forte e diretto, quasi persecutorio, occorre attivare un percorso di accompagnamento capace di vincere le resistenze che continueranno, altrimenti, a bloccare il cambiamento.
L’Italia, come è noto, ha tuttora un enorme problema di competitività e di crescita. Le liberalizzazioni favoriscono nuova imprenditorialità e quindi nuova occupazione, e sono quindi vitali per la nostra economia. Non vanno mai fatte a danno di qualcuno ma a favore della collettività. Forse il tema vero è che, di fronte alle paure suscitate dalla globalizzazione e dalle incertezze che essa genera, abbiamo bisogno di un nuovo welfare che consenta di proteggere le persone senza frenare il cambiamento.
Un welfare al passo con i cambiamenti radicali imposti ad esempio dai social network e dalle nuove forme di economia digitale e che non può essere soffocato da sindacati e movimenti politici miopi o da quella politica che invece di costruire una nuova prospettiva di bene comune per il futuro e governare i processi di trasformazione dell’economia e della società, strumentalizza cinicamente la paura, proteggendo rendite e corporativismi che saranno ineluttabilmente travolti.                

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