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GIOVANNI LELLI: ENEA PER L’AMBIENTE E PER LO SVILUPPO ECONOMICO SOSTENIBILE

L’ing. Giovanni Lelli, Commissario dell’Enea, Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile: «Dopo gli ultimi tre secoli trascorsi ad attuare un intenso sfruttamento delle risorse e del sottosuolo, ci siè accorti che per vari motivi, non escluso il danno arrecato all’ambiente, bisogna tornare a rispettar il territorio»

Intervista al commissario governativo

"Stiamo vivendo un momento storico e sociale molto particolare che, paradossalmente, trovo simile alla situazione esistente ai primordi dell’umanità, quando l’uomo primitivo aveva a che fare con i problemi del cibo e dell’energia; la necessità lo spingeva a sfruttare nel modo migliore le risorse disponibili. Oggi, dopo gli ultimi tre secoli trascorsi ad attuare un intenso sfruttamento del sottosuolo, ci si è accorti che per vari motivi, non escluso il danno arrecato all’atmosfera, bisogna tornare a un comportamento rispettoso del territorio». Lo sostiene l’ing. Giovanni Lelli, dal settembre del 2009 commissario dell’Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile. Romano, laureatosi in Ingegneria Nucleare nel 1970 nell’Università «Sapienza» di Roma, comincia la carriera nel 1971 nell’allora CNEN, Comitato nazionale per l’energia nucleare, successivamente ribattezzato ENEA.
Nel corso degli anni l’ing. Lelli vi ha ricoperto vari incarichi, acquisendo una vasta e profonda esperienza; ha ideato e realizzato progetti di ingegneria, redatto rapporti tecnici e articoli, depositato brevetti. Ha collaborato con il ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, ha coordinato il Gruppo di esperti del Ministero dello Sviluppo Economico per il rilancio del nucleare. E soprattutto dal 1993 al 2002 è stato vicedirettore generale e dal 2002 al 2008 direttore generale dell’ENEA. In questa intervista delinea con estrema precisione il ruolo attuale dell’istituzione recentemente poi trasformata in Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile, ruolo che già da tempo, in pratica, svolgeva.
Domanda. Qual’è la sua diagnosi della situazione mondiale attuale?
Risposta. Le odierne esigenze delle popolazioni influiscono pesantemente sulle varie risorse come l’energia, l’acqua e tutto ciò che è sul territorio e che, pertanto, va organizzato secondo il concetto di sviluppo sostenibile. A questo punto non possiamo prescindere dalla necessità di svilupparci; la crisi economica e la mancanza di posti di lavoro condizionano pesantemente l’uso delle risorse. Circa 36 milioni di persone all’anno muoiono per scarsità di cibo e, al contrario, circa 30 milioni sono affette da patologie legate alla sovralimentazione. Tre miliardi di animali di allevamento consumano annualmente un terzo dell’acqua consumata nel mondo e per produrre un chilo di carne di manzo occorrono 15 mila litri di acqua. Tutto il grano e la soia destinati negli USA alla produzione animale sfamerebbero ogni anno oltre un miliardo di persone e comincia a farsi strada il concetto di concorrenzialità tra le modalità di uso delle risorse. Misurato in base allo sviluppo dell’informatica il divario culturale aumenta sempre più tra Nord e Sud, tra grandi agglomerati urbani e zone rurali, tra giovani e anziani. Albert Einstein diceva che non c’è progresso senza sviluppo della conoscenza, e quanti ne sono esclusi sono destinati a regredire.
D. Chi conosce e si preoccupa di tutti questi problemi?
R. Vengono discussi nei consessi internazionali, ma devono trovare applicazione in sede nazionale, regionale, territoriale. È giunto il momento di curare la sostenibilità dello sviluppo. Sostenibilità vuol dire accorto impiego delle risorse a ciclo chiuso, usandole e rimettendole nel serbatoio con la consapevolezza che questo non è infinito. Lo sviluppo implica che l’uso delle risorse deve produrre posti di lavoro di qualità per il nostro Paese; questo è un ruolo dello Stato e delle Amministrazioni pubbliche che possono avvalersi di strutture tecniche, quali l’ENEA , per accompagnare questo tipo di processo.
D. Qual è uno dei maggiori problemi da affrontare?
R. Negli ultimi 5 anni un milione e mezzo di giovani sotto i 30 anni hanno perso il lavoro in Italia. Quando si producono normative e si danno incentivi per diffondere le fonti energetiche rinnovabili nel Paese, bisogna farlo compatibilmente con le capacità del territorio, di accoglierle, e altresì creando sviluppo e posti di lavoro. Il Parlamento, con la legge 99 del 2009, caratterizzando l’ENEA come Agenzia diretta a favorire l’internazionalizzazione delle imprese, ha ampliato il suo ruolo di ente pubblico di ricerca applicata a quello di Agenzia a supporto del decisore pubblico.
D. Che cosa comporta in pratica la trasformazione in Agenzia?
R. Il concetto di ente strumentale allo sviluppo sostenibile del Paese è la grande intuizione del Parlamento ed è il motivo che rilancia l’ENEA come ente al servizio del Paese, sotto la vigilanza del Ministero dello Sviluppo Economico. Nella nuova denominazione dell’ENEA voluta dal legislatore - di «Agenzia Nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile» -, quest’ultimo rappresenta il fine esplicito della sua attività, del resto perseguito sin da quando fu abbandonato il settore nucleare dopo l’incidente verificatosi nel 1986 nella centrale sovietica di Chernobyl. Il 99 per cento della nostra attività o viene definito con il sistema industriale o è a supporto delle Amministrazioni pubbliche. E da questo affiora una nota dolente che però è anche un nostro motivo di orgoglio: i nostri dipendenti sono 2.700 a tempo indeterminato e tra i 250 e i 300 a tempo indeterminato, inclusi gli assegnisti di ricerca. Queste tre categorie costano 190 milioni di euro l’anno, più di quanto eroga lo Stato. Al costo per il personale va aggiunto poi quello per il mantenimento in efficienza dell’enorme patrimonio strumentale che ha l’ENEA e che deve essere preservato e valorizzato al servizio del Paese; nonché le spese per il conseguimento degli obiettivi definiti nei vari contratti che realizziamo con il mondo industriale e con le Amministrazioni. Insieme alle industrie acquisiamo progetti dall’Unione Europea; in questo settore negli ultimi tre anni abbiamo compiuto grandi progressi aumentando di oltre il 100 per cento la capacità di acquisire risorse da esso. Con soggetti imprenditoriali e con Amministrazioni pubbliche stringiamo contratti di servizio che comportano la fornitura da parte nostra di prestazioni e di know-how e l’incasso di corrispettivi finanziari per far fronte alle nostre spese, da aggiungere al contributo dello Stato.
D. Quindi si tratta di un’azienda vera e propria che sta sul mercato?
R. Per una consistente parte del nostro bilancio dobbiamo stare sul mercato, avendo anche l’onore e l’onere di difendere un patrimonio strumentale unico e al servizio del Paese. Molte tecnologie originariamente sviluppate per programmi energetici - come il nucleare da fissione di un tempo e quello da fusione di oggi, o i film sottili per il fotovoltaico o per il solare termodinamico -, sono usate per valorizzare il patrimonio artistico, per la diagnostica medica, per lo sviluppo di dispositivi antisismici da applicare agli edifici civili. Nello svolgimento della nostra attività principale mettiamo a punto tecnologie che serviranno a risolvere problemi diversi. Nell’ambito della tutela del patrimonio artistico, le competenze e le tecnologie dell’ENEA sono state impiegate recentemente per l’isolamento sismico dei Bronzi di Riace che, quando saranno di nuovo esposti nel museo di Reggio Calabria, poggeranno su basi di travertino che dispongono di dispositivo antisismico progettato, realizzato e qualificato dall’ENEA.
D. Che può fare l’ENEA in questi tempi di crisi economica?
R. Nel loro insieme, i circa 20 mila dipendenti che lavorano nei diversi centri di ricerca italiani costituiscono una piccola percentuale del totale dei dipendenti pubblici, che sono circa 3 milioni e mezzo; ma in questo momento di crisi la densità di capacità di sviluppo di know-how può aiutare il Paese a uscire dalla crisi, perché è solo la ricerca che produce innovazione, è solo quest’ultima che rende competitive le singole aziende o l’intero sistema, ed è solo la maggiore competitività che ci farà superare le nostre difficoltà. L’Italia, mentre deve importare materie prime dall’estero, deve esportare il valore aggiunto che conferisce ai prodotti; è la ricerca pubblica e privata che ha la capacità di innestare valore aggiunto nei cicli produttivi. È un concetto fondamentale che ci rende orgogliosi di lavorare nell’ENEA e di riuscire a farlo malgrado le difficoltà che si incontrano particolarmente di questi tempi.
D. Fate presente questi vostri problemi e queste vostre possibilità al sistema politico?
R. Nell’ordine di priorità giustamente si devono risolvere prima i problemi emergenziali, ma sono certo che le componenti del Governo che si occupano dello sviluppo economico, dell’ambiente e della ricerca, dedicheranno attenzione e risorse alla capacità che il mondo della ricerca ha di aiutare il Paese a superare la crisi e di creare posti di lavoro. Vorrei fare due esempi. Partecipando ormai da 20 anni, come coordinatore nazionale, ai programmi europei sulla fusione, l’ENEA contribuisce ad esplorare la possibilità di utilizzare in modo economicamente e ambientalmente sostenibile l’energia da fusione, obiettivo previsto per il 2040-2050. Per la costruzione della macchina a fusione «Iter», dei primi ordini fatti dall’Unione Europea, per un miliardo di euro, oltre la metà è andata ad aziende italiane qualificate dal programma nazionale di fusione; l’industria nazionale che ha lavorato in contatto con noi al programma nazionale si è qualificata in prodotti ad alto contenuto tecnologico e ha vinto gare d’appalto.
D. E il secondo esempio?
R. Si tratta del solare termodinamico. Anche di questo siamo molto orgogliosi. In 10 anni, partendo da una piccola erogazione finanziaria compiuta dal Parlamento all’ENEA alla fine del 2000, abbiamo sviluppato tecnologie, brevetti, componenti innovativi e realizzato presso il Centro Ricerche della Casaccia, il prototipo di un impianto dotato di sistema solare termodinamico a concentrazione e ad alta temperatura, arrivando a realizzare insieme all’ENEL, nel 2010, il primo impianto industriale a Priolo Gagallo, in Sicilia. In un decennio l’ENEA ha qualificato una filiera nazionale di imprese che sono diventate prime nel mondo nella fornitura di componenti per la tecnologia solare termodinamica, basati su brevetti ENEA per i quali percepiamo royalties. Se un’azienda straniera oggi vuole realizzare un impianto solare termodinamico, deve acquistare i pezzi in Italia dalle industrie che fanno parte di questa filiera.
D. Di che cosa si tratta?
R. La tecnologia del solare a concentrazione, sviluppata dall’Enea negli ultimi dieci anni, costituisce un caso di eccellenza tutto italiano, che ha portato alla realizzazione della prima centrale termodinamica nel mondo che impiega sali fusi sia per il trasporto che per l’accumulo del calore, con significativi vantaggi in efficienza, regolarità di erogazione del calore e compatibilità ambientale; mi riferisco all’impianto di Priolo, che è integrato con la centrale termoelettrica dell’ENEL.
D. Che cosa si intende precisamente quando si parla della «green economy»?
R. La green economy è uno strumento di sviluppo sostenibile basato sulla valorizzazione del capitale economico, cioè investimenti e ricavi; del capitale naturale, ovvero risorse primarie e impatti ambientali; e del capitale sociale, pertanto lavoro e benessere. Non rappresenta quindi un segmento dell’economia riferito alla cosiddetta industria ambientale, ma un nuovo concetto da applicare a tutti i settori della produzione di beni e servizi, oltreché per la conservazione e l’uso sostenibile delle risorse naturali, ai fini di una transizione verso un nuovo modello di sviluppo in grado di garantire un migliore e più equo benessere per tutto il genere umano, nel rispetto dei limiti del pianeta. Uno stimolo in questo senso è venuto dagli ultimi Governi nel settore dell’efficienza energetica, che ha dato i propri frutti perché gli incentivi, anche se in misura non omogenea nel Paese, e più in alcuni settori che in altri, hanno determinato una capacità di offerta di tecnologie da parte di piccole e medie imprese che ormai si autosostengono, perché la domanda è stata stimolata e non si ferma più, essendosi diffusa la convinzione che per spendere meno sulla bolletta elettrica occorre scaldare di meno la casa, e per scaldarla di meno si deve isolarla bene. Ritengo che d’ora in poi, come indicano alcuni segnali che sta dando il Governo, gli incentivi al settore fotovoltaico terranno sempre più conto della necessità di premiare la qualità e non la quantità degli impianti. Per quanto riguarda la biomassa, una delle fonti rinnovabili più interessanti, che non è soggetta alla saltuarietà delle altre fonti ma si accumula e si conserva, l’ENEA ha sviluppato una tecnologia di produzione di bioetanolo, ingegnerizzata e industrializzata da un gruppo italiano, Mossi & Ghisolfi. In Piemonte è in costruzione un impianto per la produzione di 40 mila tonnellate annue di bioetanolo partendo dalla canna di fiume, e questo crea posti di lavoro.
D. Quanti centri di ricerca avete?
R. Il ruolo in Italia dell’Agenzia Nazionale Efficienza Energetica, fissato per legge, è stato affidato ad un’unità organizzativa dell’ENEA che svolge compiti di stimolo all’offerta, mette in contatto la domanda con l’offerta, valuta i progetti e gestisce un numero verde che assiste i cittadini per gli interventi di risparmio energetico nelle abitazioni e per le domande di detrazione fiscale del 55 per cento. Abbiamo 10 centri di ricerca uno dei quali, a Portici, specializzato nel fotovoltaico. I centri maggiori sono situati nell’area laziale: la Casaccia, con oltre mille dipendenti, che per dimensioni è tra i più grandi centri di ricerca d’Europa; poi Frascati, dove lavorano quasi 500 addetti. L’impianto fotovoltaico di Manfredonia, che produce solo 600 chilowatt, insignificanti nel contesto dei 15 mila megawatt di fotovoltaico prodotti in Italia, fu voluto dall’ENEA nei primi anni 80 ed è un antesignano.
D. Sviluppato moltissimo in Italia anche grazie agli incentivi, il fotovoltaico sembra entrato nella mentalità comune. È questo un fenomeno anche culturale?
R. Certamente. In questi anni, come è entrata nella mentalità comune l’esigenza della raccolta differenziata dei rifiuti in seguito alla presa di coscienza del problema delle discariche, così è avvenuto per l’uso efficiente dell’energia e per le fonti rinnovabili che contribuiscono allo sviluppo sostenibile. Aver determinato una grande promozione della domanda nel fotovoltaico è positivo perché ha creato un’esigenza. Quello che occorre fare ora è stabilizzare questa domanda, il che si ottiene in maniera sostenibile solo se si crea anche l’offerta nazionale .
D. Quali sono le prospettive per il consumo di energia necessaria al settore industriale?
R. Esistono settori industriali energivori come nel caso dello stabilimento Alcoa di Portovesme in Sardegna, che per produrre alluminio richiede grandi quantitativi di energia e inevitabilmente deve acquistarla a basso costo. O il Paese ha la capacità di fornire energia a basso costo, o quelle aziende sono destinate a spostarsi in altri Paesi. L’Italia era un Paese ad alta vocazione industriale, che si è andata perdendo. Negli anni 70 l’Italia era il primo Paese in Europa per capacità manifatturiera, primato che abbiamo perduto nel tempo per vari fattori. Per mantenere questo primato che fornisce posti di lavoro, bisogna innovare il tipo di prodotti e il modo in cui si fanno, rinnovare i processi produttivi e farli a minor costo. Bisogna aiutare i processi produttivi a consumare meno energia, fornire quella che serve a basso costo e questa è un’enorme sfida. Mentre nel settore civile e nel terziario le tecnologie sono definite, nei settori industriali, tutti diversi, i processi vanno studiati caso per caso. Noi eseguiamo studi e interventi specifici, finanziati da progetti internazionali, concordandoli con le aziende e con il Ministero dello Sviluppo Economico.
D. Quando l’ente assunse il nome di ENEA?
R. Inizialmente era Cnen, Comitato nazionale energia nucleare, ma si chiamò Enea all’inizio degli anni 80 sotto la presidenza del prof. Ummerto Colombo, dopodiché ha continuato a chiamarsi così ma con significati sempre diversi; oggi la definizione contiene i termini innovazione, energia, ambiente, sviluppo economico sostenibile.
D. Qual’è la vostra attività in campo ambientale?
R. Quando, circa 25 anni fa, l’ambiente entrò in maniera prorompente nello scenario della vita civile e industriale, esso fu collegato all’esigenza di ridurne il degrado. Dapprima si pensò di ridurre e contenere i danni all’ambiente e al territorio con l’impiego di barriere e filtri e si cominciarono a isolare le discariche dal terreno, ad inserire dispositivi nei sistemi di produzione di energia, a verificare l’ambiente intorno ai luoghi di produzione e consumo di energia. Oggi la protezione dell’ambiente rappresenta un obiettivo in sé e una condizione al contorno per le attività economiche.
D. Com’è possibile stoccare il materiale inquinante e tossico? E come evitare le immissioni di CO2 nell’atmosfera?
R. Si sta studiando la soluzione di creare grandi depositi sotto terra; si tratterebbe di separare la CO2 durante il processo di combustione e immetterla in depositi sotterranei impermeabili, quali ad esempio pozzi esausti di metano o miniere non più utilizzate.
D. Questo potrebbe avvenire anche nelle fabbriche e negli altiforni che liberano i fumi nell’aria?
R. Certo, ma o vanno sviluppate tecnologie meno costose o si accetta che il processo dell’impianto costi di più. C’è chi avanza l’ipotesi di istituire ecotasse sui prodotti ottenuti con processi non rispettosi dell’ambiente.
D. Qual’è la situazione nei Paesi concorrenti e quali somme gli stessi stanziano?
R. Alcuni Paesi del G8 e dell’Unione Europea in certi settori hanno investito più di noi e hanno acquisito vantaggi competitivi. Nel fotovoltaico la Germania ha favorito la nascita di una capacità di offerta di sistemi e componenti della quale i tedeschi sono molto orgogliosi. Potremmo fare altri esempi con il nucleare in Francia, le biomasse in Austria, l’eolico in Danimarca, Germania e Spagna. In questo momento di crisi all’Italia si offre l’opportunità di concentrare le risorse nei settori che qualificano la green economy.

Tags: Ottobre 2012

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