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la sinistra con i suoi «popoli viola» vince solo quando fa meglio della destra le «cose di destra»

di DOMENICO BENEDETTI VALENTINI  già presidente della commissione lavoro della camera dei deputati

Perché una Nazione e un’economia si rialzino, le prime cinque condizioni necessarie sono: sicurezza pubblica e privata, seria redistribuzione del reddito, collaborazione tra capitale e lavoro, drastica semplificazione burocratica per le piccole imprese, generale moralizzazione nei pubblici uffici. Sono i postulati tradizionali di una Destra sociale. Al di là degli schemi partitici, di questa «grande destra popolare» c’è più che mai bisogno, in Italia ma anche altrove. Solo chi mette in piedi una grande Destra, inclusiva, conservatrice e moderna, amica e severa, potrà riconciliare la grande maggioranza del popolo con lo Stato e con la politica. La Sinistra, con tutti i suoi «popoli viola» e salotti radicaloidi, sarà minoranza per sempre. Salvo che, come spesso accade nel mondo, la Sinistra non si metta a fare la Destra, non parli come la Destra, non faccia meglio della Destra «cose di destra». In quei casi rivince e la Destra affronta lunghi periodi di crisi.
In Italia il problema politico del momento non è nessuno di quelli che illustrano i telegiornali con linguaggio scontato o che sciorinano i talk show televisivi con luoghi comuni stucchevoli e inconcludenti. Il problema primario è che la Destra non c’è più. È latitante e irrintracciabile sul piano culturale, messa al bando sul piano comunicativo, dispersa e inconsapevole sul piano politico. In queste condizioni un Paese democratico moderno manca di respiro, di confronto reale, di speranze alternative, di motivazioni forti intellettuali, morali e quindi - dico quindi - economiche e produttive.
È vero, nel 1994 l’intervento in politica di Berlusconi ha riscattato l’Italia dal compromesso tra democristiani e comunisti, tenaglia alla gola della libertà che minacciava di farsi regime con il narcotico del clientelismo dagli spaventosi costi scaricati sulle generazioni future in termini di debito pubblico. Ma quella «primavera» fu vincente e credibile perché sostenuta e fatta vivere in tutti i luoghi e quartieri della vita quotidiana dalla mobilitante adesione di una Destra, che era fisicamente e organizzatamente presente nella società reale, accreditata di sincerità programmatica e integrità morale perfino da chi non la amava.
Ora però - al netto della sorte personale di Berlusconi, che i nostalgici del «compromesso storico» continuano a odiare per «quella Primavera», non certo per le olgettine o per le sue televisioni commercialmente ripiene anch’esse di dozzinali satire sinistrorse - è il Paese ad avere l’esigenza, dico l’esigenza generale non di partito, che torni ad esistere, parlare, operare, una Destra sociale e vera, interclassista, nutrita dei valori dello Stato e della Libertà. Al momento si è fatta cancellare; o comunque è stata cancellata. Con il torchio miope, violento e diseducativo delle liste elettorali «bloccate», il «cerchio magico» del PdL si è fatto lecito, assumendo come ipocrita e retrodatato pretesto il comportamento di Gianfranco Fini, epurare storia, generazioni, sacrifici, rappresentanza della Destra italiana, la quale purtroppo si è messa in condizioni di incassare questo trattamento con impotenza e addirittura con mutacismo. Ne risulta un Paese politicamente monco, culturalmente balordo, economicamente sbilenco. Con qualsiasi persona di buon senso non settario ne parliamo, ci esprime questo disagio.
Ovviamente questa è l’analisi molto semplificatoria e orientata di chi ha vissuto a destra le passate stagioni e vede da destra il presente. Prendiamola perciò come un semplice contributo alla ricerca della verità. Esercitiamoci nondimeno a contestarla, a dimostrarla fasulla o distorta: non sarà tanto facile.
Avendo attraversato, con attenzione e passione, sebbene mai in posizioni apicali, le ultime cinque legislature, tre piene e due biennali, ma avendo vissuto in giovane intensità anche le vicende precedenti, sono ben convinto che di ritorni al passato non c’è proprio bisogno. Mentre la Sinistra implode, incapace di indicare una via - e questo vale anche nelle città dove, per latitanza altrui, vince le deserte elezioni amministrative, quasi sempre appellandosi a candidati «di area» e non partiticamente targati - e mentre il Partito Democratico cerca disperatamente in Renzi il Tony Blair italiano che sia di sinistra sembrando di destra e così pifferando 3 o 4 milioni di voti destrorsi o «moderati» per vincere sul serio, sul versante italicamente opposto non si tratta di rifondare partiti disciolti. Sarebbe fuor di logica riesumare il MSI ed incongruo perfino riattivare un’AN che pure era stata il generoso tentativo di costruire un «partito-polo» attrattivo di molte degne provenienze. Ma, intendiamoci, sarebbe irresponsabile anche ricostituire la DC sotto qualsiasi specie, cosa che invece serpeggia nella «politicanza» centrosinistrorsa, che ne sarebbe poi la versione più equivoca, passatista ed antieuropea.
Credo che vada ricomposta e riofferta, senza ritardo, una alternativa di valori vivibili, programmi leggibili, linguaggi accettabili, «luoghi» politici frequentabili, a quei molti milioni di cittadini – tanto giovani quanto anziani – che da destra, senza steccati e nostalgie, anelano non alla melassa delle «larghe intese» ma ad una democrazia serenamente partecipata, nutrita di profili netti e differenti, civilmente posti a confronto sull’orizzonte condiviso dell’interesse nazionale.
A questo compito, per la cronaca, ci siamo accinti in buon numero, da ogni parte d’Italia, con primi fruttuosi incontri - Teatro Adriano di Roma, Ferrara, Lecce, Fonti del Clitunno in Umbria, Palermo, Cagliari, Toscana e Piemonte - che stanno sviluppando i due teoremi, ugualmente veri e cogenti: «La Destra da sola non ce la fa» e però «Senza la destra, nessuno ce la fa!». Una consapevolezza che non riguarda poche anime politiche, ma la buona maggioranza di italiani che vuole vivere, studiare, lavorare, progredire e tramandare in pace un ragionevole benessere che non è impossibile.
* Domenico Benedetti Valentini, parlamentare di AN e PdL nelle legislature XII-XIII-XIV-XV-XVI, già presidente della Commissione Lavoro della Camera      

Tags: Luglio Agosto 2013

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