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PATRONI GRIFFI: NORME MA ANCHE STRUMENTI E CONTROLLI PER LA SEMPLIFICAZIONE

Nominato dal presidente del Consiglio Mario Monti ministro per la Pubblica Amministrazione e la Semplificazione, Filippo Patroni Griffi non si può considerare semplicemente un tecnico in un Governo di tecnici ma, stando alla sua lunga e prestigiosa carriera di collaboratore dei più alti vertici dello Stato, un super-tecnico, profondissimo conoscitore dell’apparato istituzionale dello Stato, severo custode della legalità e dei diritti dei cittadini nei rapporti con la Pubblica Amministrazione. Da oltre vent’anni si parla di semplificazione amministrativa a beneficio di cittadini e imprese, e da oltre vent’anni, nonostante gli interventi legislativi per attuarla, in buona parte è rimasta un’aspirazione. Da quanto hanno fatto in questa direzione nei suoi pochi mesi di vita il Governo Monti, e nel suo interno il ministro competente appunto Filippo Patroni Griffi, può dirsi che il vertice dell’apparato burocratico centrale e locale, denominato per vari decenni dopo la guerra Ministero per la Riforma burocratica, sia finalmente oggi non più destinato ma costretto a cambiare. Grazie anche alla grande esperienza e al ricchissimo curriculum di Patroni Griffi, di professione, a parte i numerosissimi altri ed alti incarichi ricoperti nel tempo, presidente di Sezione del Consiglio di Stato, ossia magistrato amministrativo. In questa intervista il ministro illustra le novità.
Domanda. In che consiste la semplificazione avviata dal Governo?
Risposta. Continuamente perseguita nella Pubblica Amministrazione, direttamente l’ho seguita dall’epoca dei ministri della Funzione Pubblica Sabino Cassese, Franco Frattini e Franco Bassanini, la semplificazione è una politica che nella nostra cultura amministrativa significa snellimento delle procedure e rapporti diversi tra burocrazia e cittadino e tra burocrazia e imprese. Ormai è diventata un leit motiv. Storicamente questa politica è nata dal famoso Rapporto che Al Gore, vicepresidente degli Stati Uniti dal 1993 al 2001 sotto la presidenza di Bill Clinton, rimise all’Amministrazione Usa negli anni 90, basato sull’idea di relazioni amichevoli con i cittadini. Per noi quel documento costituì una grande novità perché concepivamo tali relazioni come un rapporto tra Amministrazione e amministrati; i cittadini, cioè, erano considerati degli «amministrati». Come quando storicamente si verificò il passaggio da sudditi a cittadini, in quegli anni anche in Italia siamo passati dal concetto di amministrati a quello di cittadini legati da un altro rapporto con l’Amministrazione. Una seconda causa di questa trasformazione è stata la diffusione del nuovo concetto di funzione pubblica non più di carattere autoritativo, ma di servizio al cittadino e alle imprese; un mutamento dell’Amministrazione da funzione a servizio.
D. Quali risultati ha avuto questo processo?
R. Ha innescato l’emanazione di una serie di interventi normativi e di pratiche di semplificazione. L’operazione si è svolta su due versanti, quello normativo e quello amministrativo. Il primo consistente nella riduzione del numero delle leggi in favore di regolamenti amministrativi più flessibili e adattabili alle circostanze, e questo ha caratterizzato la fase della semplificazione fino all’inizio del 2000; da allora in poi la semplificazione ha riguardato soprattutto le procedure amministrative. Interventi di semplificazione sono stati compiuti ogni 2 o 3 anni.
D. Come si è semplificato?
R. Direi con luci ed ombre. L’Amministrazione oggi non è più quella del Rapporto Giannini del 1979; esiste una serie di novità che ormai consideriamo scontate, ma che nel 1979-1980 erano ritenute chimere. Inoltre a mio parere si è semplificato più di quanto sia noto ai cittadini e alle imprese: il tasso di semplificazione conosciuto dai destinatari è più basso di quello effettivamente realizzato, e questo a causa di difficoltà sia di informazione sia di applicazione delle norme. Sicuramente sono stati realizzati in campo normativo una serie di interventi, ma nella pratica molte nuove norme non vengono applicate. Con il recentissimo, ultimo decreto in materia, il Governo Monti ha approvato ulteriori norme di semplificazione, ma ci siamo preoccupati da subito di istituire un tavolo tecnico per l’applicazione di una serie di misure così introdotte. Un esempio, le procedure per il cambio di residenza in tempo reale; sul piano normativo l’effetto giuridico della dichiarazione di nuova residenza da parte del cittadino si verifica due giorni dopo, ma questo non significa, come qualcuno ha paventato, mancanza o attenuazione di controlli, in quanto l’Amministrazione li compie dopo. In uno Stato democratico il rapporto tra cittadini e Amministrazione pubblica non deve essere fondato sul sospetto, ma sulla fiducia reciproca.
D. Come attuano la semplificazione le diverse Amministrazioni?
R. Per realizzarla devono avere un certo grado di dialogo telematico tra loro; se le anagrafi comunali non dialogano, la nuova norma sul cambio della residenza non può trovare applicazione. Questo richiede necessariamente l’operabilità dei sistemi, per cui destineremo uno stanziamento di circa 700 mila euro per mettere le anagrafi in grado di dialogare con il sistema centralizzato del Ministero dell’Interno. Ma questo non vuol dire che, finché non dialogano, non si possa applicare la norma, perché basterà ad esempio uno scambio di e-mail con il precedente Comune di residenza. Comunque bisognerà seguire in quale misura in pratica le Amministrazioni applicheranno queste norme, perché talvolta esse non si accorgono neppure della loro esistenza. Questi processi devono accompagnarsi a una riorganizzazione generale dello Stato basata sull’estensione dell’uso degli scambi telematici, sul ridimensionamento del cosiddetto «front office», ossia dello sportello, sull’aumento del «back office», cioè gli uffici, perché per far circolare i dati qualcuno deve pur immetterli nel sistema.
D. Quali aspetti più rilevanti sono contenuti nel decreto legge del suo Governo sulle semplificazioni?
R. Oltre ciò che ho prima detto, in primo luogo, nei confronti delle imprese abbiamo usato il metodo della misurazione preventiva dei costi, abbiamo cioè misurato i loro «costi burocratici» e individuato i settori in cui sono maggiori per cui conviene intervenire; per cui prorogheremo questa misurazione al triennio 2012-2015 calibrandole sui settori a maggiore costo burocratico per le imprese. In secondo luogo abbiamo diffuso la pratica dell’«ascolto». Chi conosce meglio i punti in cui fioriscono le complicazioni burocratiche? Evidentemente chi le vive, ossia le imprese e i cittadini. Per questi ultimi abbiamo rivitalizzato un sistema di consultazione telematica già esistente, per cui nel nostro sito figura una sezione intitolata «Burocrazia, diamoci un taglio», entrando nel quale ognuno può descrivere brevemente le complicazioni in cui si è trovato e suggerire come migliorare la situazione. Inoltre, sulla base di una serie di suggerimenti forniti da impiegati comunali o dai cittadini, abbiamo introdotto norme sullo scambio telematico dei dati tra Amministrazioni; ad esempio quella che fissa la scadenza del documento di riconoscimento nel giorno del compleanno, e che ha avuto un’ampia risonanza e fatto registrare un picco di contatti nella nostra sezione online. Così è nato l’invito alla Pubblica Amministrazione di indicare, quando richiede pagamenti ai cittadini, il proprio codice bancario Iban, così le multe si potranno pagare anche da casa.
D. Ma come rimediare in caso di errore compiuto nell’uso di questi tecnologie? Resta in vigore il vecchio sistema, più adatto per le persone anziane?
R. In caso di errori, la ricevuta del pagamento compiuto consente di ricostruire i passaggi e di individuare il punto in cui l’errore è avvenuto, e quindi di non perdere la somma. Alla Posta si continua ad andare, non è stata abolita la vecchia modalità di pagamento. Si tratta solo di un diverso sistema, a disposizione di chi è in grado di usarlo. L’essenziale è perseguire sistematicamente la politica di semplificazione e, sul piano pratico, individuarne eventuali difficoltà normative, rilevare i settori dell’Amministrazione in cui i costi sono eccessivi e sproporzionati rispetto all’esigenza di un adempimento burocratico, ed eliminarli, soluzione ottimale, o ridurne la portata, soluzione più ordinaria.
D. Qual’è in generale la situazione della Pubblica Amministrazione?
R. Rispetto a 10-15 anni fa, secondo me è migliorata. La sua funzione si è ormai trasformata da presidio della legalità formale a servizio per i cittadini e le imprese. Quanto più i servizi da essa forniti saranno efficienti tanto più la stessa diventerà fattore di sviluppo e di competitività per il Paese e attrarrà investimenti. Ciò si può ottenere con l’organizzazione e con i servizi. Con l’organizzazione introducendo elementi di valutazione dei risultati del settore pubblico, attribuendo ad ogni dirigente i poteri e la responsabilità di valutare i propri dipendenti, e di essere valutato per quanto egli ottiene; con i servizi, verificandone il funzionamento tramite indicatori di output e accertando se nelle varie aree del Paese essi presentino caratteristiche qualitative e tempi di rilascio omogenei. Questi sono quindi gli obiettivi.
D. Che cosa occorre fare per raggiungere questi obiettivi?
R. In primo luogo una corretta allocazione delle risorse umane. In secondo luogo attuare il principio dello «spending review» di cui si parla molto in questi tempi, e che presenta due aspetti. Il primo, di tipo tradizionale, consiste nell’esaminare se i programmi di spesa formulati dalla singole Amministrazioni hanno ancora una loro validità e, in caso positivo, accertarne la possibilità di ridurre sprechi e accrescerne l’efficienza. Il secondo consiste nella revisione organizzativa degli apparati preposti a questi settori. Ad esempio, le tante Amministrazioni periferiche dello Stato - Prefetture, Questure, Provveditorati agli studi, Ispettorati della Motorizzazione ecc. - pur agendo nello stesso territorio, acquistano beni ognuna per proprio conto. Se si accorpano le sedi, si centralizzano gli acquisti, si sposta parte del personale in altre funzioni, è possibile realizzare economie di scala senza creare eccessivi esuberi. Possono sembrare piccoli risparmi, ma moltiplicati per tutte le Amministrazioni periferiche dello Stato diventano rilevanti.
D. Sono state elaborate delle previsioni su tali possibili risparmi?
R. Stiamo compiendo un esperimento nei Ministeri dell’Istruzione e degli Interni, quest’ultimo il più importante dell’Amministrazione statale e in grado di attrarre presso di sé gli altri uffici. Si otterrà un grande risparmio e soprattutto un modello per gli altri comparti dell’Amministrazione statale; dovrebbero farlo anche le Amministrazioni locali. L’errore da evitare è voler fare tutto e subito, occorre procedere con il piede e il metodo giusti.
D. Quali rapporti intrattenete con i sindacati?
R. Nel settore pubblico abbiamo riaperto un tavolo con tutte le organizzazioni sindacali e soprattutto con tutti gli Enti. L’ultimo protocollo sul lavoro pubblico, quello del ministro Renato Brunetta del 2009, non era stato sottoscritto da Cgil, altri sindacati, Regioni ed Enti locali, e riguardava solo lo Stato. Mantenendo quanto vi è di positivo, puntiamo ad estenderne l’area soggettiva coinvolgendo le organizzazioni sindacali non firmatarie e soprattutto Regioni e autonomie locali, perché non ha senso una Pubblica Amministrazione divisa, sul versante dei datori di lavoro, tra Stato ed Enti locali. E poi dovremmo affrontare alcuni temi specifici in una contingenza difficile in cui non vi sono risorse finanziarie e per legge è bloccata la contrattazione. Senza risorse e contrattazione un accordo tra datori di lavoro e sindacati non è semplice.
D. Quali sono i principali problemi da risolvere in questo campo?
R. Gli aspetti ordinamentali, tra i quali le tipologie contrattuali, la mobilità, gli eventuali esuberi di personale. Il settore del lavoro pubblico non è assimilabile al privato, perché in quest’ultimo lo Stato agisce da regolatore, da arbitro, ma le parti sono i lavoratori e le imprese. Nel settore pubblico lo Stato agisce come parte, è il datore di lavoro. Inoltre nell’Amministrazione si può entrare a tempo indeterminato solo per concorso, è un vincolo costituzionale da mantenere; alcune tipologie contrattuali del privato, come i contratti a tempo determinato che si trasformano a tempo indeterminato, per il pubblico non valgono.
D. Come gestire le eccedenze?
R. In presenza di una dichiarazione di eccedenza da parte dell’Amministrazione, il lavoratore viene posto in mobilità obbligatoria per due anni a retribuzione ridotta; dopo, i dipendenti teoricamente escono. Gli ammortizzatori sociali del settore privato non si applicano al pubblico, e lo Stato, datore di lavoro, deve preoccuparsi di questo mondo che non ha la copertura previdenziale e assistenziale degli ammortizzatori sociali. Alcuni temi però vanno affrontati in questo tavolo, come i modelli contrattuali, alcuni dei quali, ad esempio il contratto a termine, possono servire anche nel pubblico, nel comparto della ricerca. Dobbiamo individuare le aree della Pubblica Amministrazione in cui consentire e incentivare il contratto a termine e vietarlo in tutte le altre; oggi abbiamo i precari perché si è fatto uso di essi mediante i contratti a termine per funzioni non transitorie ma stabili nelle Amministrazioni.
D. Il tetto degli stipendi?
R. Sarà di 293.865,00 euro, come quello del primo presidente della Corte di Cassazione, e comprende il cumulo di stipendi e di eventuali altri incarichi. Con 150 mila euro di stipendio possono assumersi incarichi per altri 150 mila, ma non si possono superare i 300 mila. Il Parlamento ha consigliato di introdurre deroghe per alcune posizioni apicali dello Stato.
D. Quali saranno le novità presenti nel prossimo Forum PA?
R. Quest’anno la partecipazione del Ministero della Pubblica Amministrazione sarà un po’ ridotta perché le disponibilità finanziarie sono inferiori. Abbiamo ottenuto che uno dei giorni del Forum sia il sabato, per non perdere ore lavoro. Organizzeremo a turni la partecipazione di dipendenti al Forum, con l’impiego di navette, dopodiché il personale tornerà in ufficio. Innovazione e produttività saranno i temi dei seminari formativi organizzati.
D. Saranno sufficienti le misure anti corruzione e concussione ?
R. Abbiamo già qualche risultato. Sulla base di indirizzi provenienti dal centro, ogni Amministrazione dovrà predisporre di piani anticorruzione consistenti in esame dei procedimenti, valutazione di quelli a rischio di corruzione, (procedure di acquisto, affidamenti di lavori); in altre amministrazioni bisognerà vedere se il rilascio di un’autorizzazione, per esempio un nulla osta ambientale, potrà essere ritenuto un procedimento a rischio corruzione. Compiuta la mappatura di aree e procedimenti a rischio, scatteranno regole su rotazione dei dirigenti, incompatibilità, obblighi formativi per i dipendenti addetti a quelle aree, formazione specifica. Una misura discussa è la garanzia di anonimato per chi denunci le irregolarità. Da una parte dobbiamo evitare la delazione, ma dall’altra anche il rischio di omertà. Se riuscissimo a trovare un punto di equilibrio, sarebbe un risultato positivo.

Tags: Anna Maria Branca pubblica amministrazione P.A. aprile 2012

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