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BANCHE, INTERESSI, USURA. QUEL CHE CONVINCE E QUEL CHE NON CONVINCE DEL NUOVO CALCOLO DI «SPESE» BANCARIE

di FABIO PICCIOLINI, segretario nazionale ADICONSUM

 

Il ministero dell’Economia e delle Finanze con il decreto del 23 settembre 2009 ha emanato le nuove norme sulla «Classificazione delle operazioni creditizie per categorie omogenee ai fini della rilevazione dei tassi effettivi globali medi praticati dalle banche e dagli intermediari finanziari». Con il decreto, dal primo gennaio 2010 sono entrate in vigore le nuove rilevazioni elaborate dalla Banca d’Italia. La nuova normativa recupera interamente la lettera e lo spirito della legge 106/08, cosiddetta legge antiusura, prevedendo che, nella rilevazione dei tassi effettivi globali medi delle singole categorie di operazioni, praticati dagli intermediari, oltre il tasso di interesse siano previste tutte le commissioni, remunerazioni a qualsiasi titolo e spese a carico della clientela.
Il nuovo calcolo del tasso effettivo prevede quindi che concorrano alla sua formazione le spese di istruttoria, di revisione del finanziamento e, se previste, quelle di chiusura della pratica o di liquidazione degli interessi se connesse con l’operazione di finanziamento, addebitate con cadenza periodica (di norma trimestrale); di riscossione dei rimborsi e di incasso delle rate; per il servizio di trattenuta dello stipendio o della pensione; quelle per servizi accessori quali spese di custodia, di pegno, per le perizie e postali; e di ogni altro costo, inserito nel contratto, da pagare per la concessione del finanziamento.
Oltre a questi costi, che già erano previsti anche se spesso dimenticati in base a qualche artificio, sono stati ricompresi nel calcolo i costi di mediazione o di agenzia di operatori cui si servono gli intermediari. La nuova rilevazione porta anche chiarezza tra intermediari, come voluto dalla Banca d’Italia, nei rapporti tra intermediari e mediatori e agenti in quanto i primi dovranno conoscere l’ammontare della commissione chiesto al cliente dal mediatore-agente.
Altre voci ora comprese nel calcolo del tasso effettivo sono quelle assicurative o per garanzie rilasciate per tutelare l’intermediario sul rimborso del credito, o per tutelare i diritti del titolare, ad esempio incendio e scoppio in caso di mutuo. Questi costi devono essere ricompresi nel calcolo sia nel caso che siano versati contemporaneamente alla concessione del finanziamento, sia nel caso siano determinanti per ottenere il credito. Importante anche il fatto che questi costi devono essere inseriti nel calcolo non solo se la polizza sia stipulata attraverso l’intermediario, ma anche se la polizza sia stipulata direttamente dal cliente.
Infine, riguardo alle aperture di credito in conto corrente, autorizzate o meno, sono stati inseriti nel Tasso effettivo i costi per la messa a disposizione dei fondi in qualsiasi modo denominate, le penali, quelli per scoperti non autorizzati o per superamento dello scoperto autorizzato e la commissione di massimo scoperto se applicata. Dal calcolo del Tasso effettivo rimangono escluse le imposte, le tasse e le spese notarili sia per onorario che per la documentazione necessaria per la concessione del finanziamento: visure catastali, iscrizione nei pubblici registri ecc.; sono anche escluse le spese del conto corrente aperto per la gestione del finanziamento, gli interessi di mora o simili, le penali per estinzione anticipata del finanziamento.
La nuova rilevazione ha cambiato molto nelle categorie di finanziamento, inserendone nuove sia come prodotto che come importo. Tra l’altro sono state inserite la categoria dello scoperto di conto senza affidamento e del credito revolving; alcune categorie sono state fortemente modificate come il credito personale e alle imprese, il leasing «spacchettato» nelle varie tipologie: strumentale, immobiliare, aeronavale. Il nuovo metodo di rilevazione ha sostanzialmente equiparato il TEGM (tasso effettivo globale medio) con il TAEG (tasso annuo effettivo globale), il primo relativo all’insieme delle operazioni delle singole categorie, il secondo a quello delle singole operazioni.
A questo punto è di tutta evidenza che le differenze derivanti dal confronto con le rilevazioni precedenti sono molte. Il nuovo metodo per molti è stata una sorpresa negativa, considerato che fin da quando è stata introdotta la legge 108/96 in molti hanno contestato la rilevazione dei tassi di usura, anche con argomenti senza alcun costrutto tipo l’applicazione di prezzi (tassi) amministrati, assolutamente assurda in quanto i tassi sono calcolati sulla media di mercato. La classificazione in vigore dal primo gennaio 2010 dà ragione a chi, come chi scrive, da anni sostiene che la rilevazione, come avvenuta fino al 2009, non consentiva un’esatta valutazione dei costi a carico del consumatore e dava un errato valore del TEG (Tasso effettivo globale).
Era una certezza derivante da due considerazioni. Una empirica basata sulle informazioni che la clientela bancaria da anni denuncia ai propri legali, alle associazioni dei consumatori e nei reclami alle banche, su costi molto superiori a quelli riportati come Tassi effettivi nelle informazioni e, soprattutto, nei contratti sottoscritti. L’altra più concreta, in quanto derivante dall’articolo 2a della legge 108 (antiusura): «... tasso effettivo globale medio, comprensivo di commissioni, di remunerazioni a qualsiasi titolo e spese, escluse quelle per imposte e tasse, riferito ad anno, degli interessi praticati dalle banche e dagli intermediari finanziari…». Una condizione, fino ad oggi non rispettata se erano escluse dal calcolo del TEG assicurazioni obbligatorie, commissione di massimo scoperto, spese di mediazione.
Una prima analisi della nuova normativa comporta alcune considerazioni. La prima riguarda l’inserimento, come visto, di nuove categorie rilevate trimestralmente, per le quali quindi non è possibile fare confronti specifici, anche se alcune rilevazioni sono veramente preoccupanti sempre, ma particolarmente in questo momento di crisi e di stretta del credito. Premesso, per memoria, che i tassi di usura sono pari al 150 per cento dei tassi medi rilevati dalla Banca d’Italia, il tasso di soglia per gli scoperti di conto non autorizzati si avvicina al 45 per cento, quello del credito revolving al 38 e quello dei finanziamenti concessi da banche, fino a 5 mila euro, intorno al 41 per cento.
L’altra, di non minore importanza, riguarda le differenze esistenti per le categorie comparabili, pur precisando che le diversità della rilevazione non consentono una precisa continuità con le singole serie storiche. Se si analizzano i tassi medi, escludendo il factoring e i mutui che hanno una garanzia reale e per i quali comunque deve essere fatta una specifica valutazione, essi variano dall’8,14 al 21,27 per cento, da aumentare del 50 per cento per calcolare il tasso di soglia, con un aumento oscillante tra l’1,13 e il 9,02 per cento. Le differenze dimostrano quanto incidono i costi prima esclusi e ora inseriti nel calcolo.
Per quanto riguarda i mutui a tasso sia fisso sia variabile, si riscontra un aumento rispettivamente del 2,85 e dell’1,13 per cento, raggiungendo l’8,04 e il 4,38 per cento come tasso medio. Un tasso certamente elevato per operazioni garantite con ipoteca di primo grado per un valore pari ad almeno 1,50 volte l’ammontare del mutuo e che non «sconta» due delle nuove voci inserite nel calcolo del TEG (commissione di massimo scoperto e assicurazioni obbligatorie); quindi si dovrebbe ritenere che l’aumento dipenda dalle spese di mediazione, ma ciò non convince in quanto l’aumento è molto diversificato. Inoltre, se sono giuste le informazioni ufficiali sulla sottoscrizione dei mutui, una larga percentuale di quelli sottoscritti non sono nuovi, ma derivano da rinegoziazioni e surrogazioni, operazioni in cui le spese di mediazione dovrebbero essere nulle o comunque molto contenute.
Tutte le condizioni rilevate riguardano un periodo in cui i tassi sono stati bassi come ora, e l’unica motivazione che le banche possono apportare a propria giustificazione è la difficoltà di fare funding. Una giustificazione che non sembra sostenibile. Con la crisi economica e finanziaria che ha colpito tutto il mondo e con la restrizione nella concessione di credito, i nuovi prestiti sono pari a zero o quasi, il funding per quanto caro ha come riferimento un euribor sotto l’1 per cento e un eurirs tra il 2 e il 3 per cento, e le banche italiane non erano in situazione particolarmente critiche rispetto a quelle di altri Paesi. Per questi motivi, il costo della raccolta non ha potuto raggiungere livelli troppo elevati. Se serve un parametro di riferimento, anche se le motivazioni possono essere di altra natura, il sistema bancario ha criticato il costo dei Tremonti bond che avevano un tasso non superiore all’8,50 per cento.
Una successiva considerazione riguarda le nuove categorie rilevate. La scelta della Banca d’Italia consente una migliore distinzione delle singole operazioni, una migliore scansione come fasce di importo rilevate. Infine, come era necessario fare da tempo vista la trasformazione di molti operatori del credito in banca, l’unificazione degli intermediari, banche e società finanziarie, all’interno delle singole categorie di operazioni. La decisione dell’Istituto di vigilanza è più che condivisibile in quanto riduce gli spazi alle società finanziarie marginali, che hanno quote di mercato quasi insignificanti ma condizioni molto elevate, quasi sempre al limite legale massimo. L’unificazione degli intermediari ha, peraltro, elevato il tasso medio e ciò potrebbe divenire un vantaggio per le banche che potrebbero applicare condizioni più elevate rispetto al passato. La concorrenza e l’accortezza della clientela devono evitare che ciò accada.
Se si volesse segnalare qualche possibile modifica, sembrano tre quelle possibili. Inserire nuovamente la categoria della cessione del quinto. La motivazione va ricercata in tre aspetti diversi. Il primo riguarda l’inserimento nel TEG dei premi assicurativi e della commissione di mediazione, situazione che aumenta il costo medio della categoria in cui è inserita questa operazione, del cui costo non è possibile avere un’esatta percezione.
Il secondo concerne la differenza tra i debitori e le condizioni a loro applicate. I dipendenti in servizio e i pensionati, e tra questi quelli in convenzione a condizioni molto basse e quelli non in convenzione. Sarebbe poi utile scorporare dalla categoria i «finanziamenti concessi da banche», le operazioni su pegno che presentano un costo molto elevato e peraltro differenziato secondo il valore del finanziamento, i rinnovi, il riscatto o meno della polizza.
La terza è soprattutto un chiarimento da apportare sulla categoria mutui e più in generale sui costi non obbligatori e non riportati nel TEG. Sembra che debba essere chiarito l’aspetto delle assicurazioni non obbligatorie ma che per tali, direttamente o indirettamente vengono fatte passare. Costi che devono essere comunicati al cliente in maniera chiara, grazie anche alla nuova normativa sulla trasparenza, ma inseriti nel calcolo del TEG solo se contestuali al contratto principale. Il nuovo complesso di norme, la prima rilevazione lo dimostra, modifica sensibilmente il quadro in cui si inseriscono i tassi di usura.
L’opacità e l’onerosità delle condizioni applicate è emersa in tutta la sua entità. A poco o nulla sono servite le iniziative di trasparenza che negli anni si sono succedute, né l’ingresso di nuovi operatori e lo sviluppo di nuovi prodotti. Avere intermediari che possono sentirsi autorizzati a proporre tassi di interesse oltre il 40 per cento è ingiusto perché al costo si aggiunge il rischio di peggiorare la situazione dei singoli debitori che, in pochi anni (2 o 3), vedranno raddoppiato il debito iniziale e saranno posti nella possibile condizione di dover accendere nuovi prestiti per rimborsare i vecchi, in un circolo vizioso di difficile rottura.
Tassi oltre il 40 per cento potrebbero essere considerati un’eccezione o una patologia di clienti che hanno difficoltà economiche, ma la situazione non è migliore per uno dei mezzi di pagamento più utilizzati: la carta di credito. Nel recente passato erano state sollevate polemiche per condizioni che erano già considerate esose in quanto superiori al 20 per cento; oggi le condizioni medie sono intorno al 25 per cento e quelle di usura poco sotto il 40. Condizioni che fanno riconsiderare la cosiddetta «guerra al contante» che le banche hanno avviato da anni per ridurre i costi della sua circolazione, calcolata in circa 10 miliardi di euro l’anno, e per ridurre i rischi di imprese e consumatori. Alla luce dei costi delle carte sembra che la «guerra al contante» sia un business ancora più conveniente.
Da ultimo, una riflessione sulle condizioni applicate in rapporto alla crisi economica e finanziaria è essenziale. L’attuale crisi da molti è considerata conclusa o comunque in forte rallentamento, mentre è preannunciata una più o meno forte ripresa, che non può che basarsi su alcuni fondamentali: maggior reddito, minore fiscalità, ripresa dei consumi. Sui primi due elementi non è possibile agire, altrimenti si riduce la possibilità di agganciare la ripresa alla luce dei conti pubblici e delle imprese. L’unico punto su cui agire è, quindi, la ripresa dei consumi per le famiglie, e negli acquisti l’Italia è sempre più un Paese europeo utilizzando in misura crescente il credito rateale; alcuni comparti come l’auto si reggono soprattutto sul credito rateale.
Alle condizioni attuali nessuno può pensare che un consumatore acquisti un qualsiasi bene o un qualsiasi servizio pagandolo quasi il doppio del suo valore; la conseguenza è che gli acquisti latitano e la ripresa, tanto annunciata, è sostanzialmente ferma. Le banche hanno la grande responsabilità della crisi mondiale, ed è un fatto marginale che le quelle italiane abbiano risposto meglio di altre. Per alcuni comparti, come per i mutui fondiari o per i debiti delle imprese, hanno condiviso la necessità di fare un passo indietro, sottoscrivendo prima un accordo con Confindustria, poi uno con le rappresentanze della clientela. Ora è necessario che agiscano almeno su altri due fronti, la riduzione dei costi e lo sviluppo di prodotti sicuri, chiari e alla «portata di tutte le tasche».

Tags: banca banche Fabio Picciolini Febbraio 2010

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