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ASSICURAZIONI E TERRORISMO. I SISTEMI PER RISARCIRE GLI INGENTI DANNI

di Lucio Ghia

Nell’ambito di una conferenza di tre giorni organizzata dalla World Jurist Association che raccoglie giuristi di 146 Paesi, si è svolto recentemente nell’università Luiss di Roma un incontro di studio sul tema «Terrorismo e assicurazioni». Relatori stranieri hanno tracciato un quadro inquietante sul quale i 200 delegati presenti hanno dovuto riflettere, discutere ed esprimere il proprio parere. Questo perché l’attacco dell’11 settembre del 2001 alle torri gemelle di New York non ha esaurito i propri effetti con la morte delle 3.500 vittime: oltre agli affetti, ai sentimenti, al dolore, dietro quella tragedia sono altri drammatici aspetti che inducono a un approfondimento sul rapporto esistente tra gli attacchi terroristici e le loro conseguenze.
Insieme alla perdita di oltre 130 mila posti di lavoro, l’attentato ha provocato un danno di oltre 40 miliardi di dollari. Questo è l’enorme ammontare dei risarcimenti che hanno dovuto liquidare, o stanno ancora liquidando, assicuratori americani e stranieri, risarcimenti che possono essere raggruppati nelle seguenti categorie: 5 miliardi di dollari per danni derivanti ai lavoratori dai mancati stipendi; 6 miliardi per oltre 200 richieste di risarcimento per danni alle carriere; 12 miliardi per danni alle proprietà commerciali o causati dall’interruzione degli affari; tra i 18 e 20 miliardi per affari perduti da organizzazioni private e da enti governativi, ovvero per danni individuali derivanti da perdite di beni mobili o di immobili.
Esperto in vicende assicurative, l’avvocato Ronald Robinson di Los Angeles ha spiegato che è stato possibile pagare tali ingenti risarcimenti perché molte società di assicurazione hanno distribuito i rischi tra altri gruppi assicurativi. Il sistema della riassicurazione ha quindi limitato l’esborso di ciascuna compagnia al 50-60 per cento dell’intero rischio. È comunque evidente l’escalation che gli attacchi terroristici hanno compiuto.
Basta ricordare l’attentato al jet della PanAm esploso in Scozia nel dicembre del 1988, che fece 270 vittime e causò risarcimenti assicurativi per circa 138 milioni di dollari; o la distruzione del Federal Building di Oklahoma City nell’aprile del 1995, nel quale morirono 168 persone, ne furono ferite 487 e furono risarciti da parte delle imprese di assicurazione danni per circa 145 milioni di dollari. Tutto questo indica che il terrorismo in questi anni ha compiuto un terribile salto di qualità sotto il profilo organizzativo e tecnologico, ma anche per dimensione degli attentati.
Quello dell’11 settembre 2001 ha comportato risarcimenti di dimensioni assolutamente eccezionali rispetto ad altri tipi di sinistri, per esempio l’uragano Andrew che nel 1992 provocò danni unici nella loro gravità e risarcimenti per 19 miliardi di dollari. Poiché l’ammontare dei pagamenti effettuati dalle compagnie va riferito solo ai rischi assicurati, è evidente che l’intero ammontare dei danni prodotti l’11 settembre 2001 è ben più ampio.
Si realizza, nei fatti, il vero scopo degli attacchi terroristici diretti a distruggere affetti, vite umane, proprietà materiali, a minare il senso di sicurezza che permea la qualità della vita e a giungere, in una prospettiva di medio e lungo periodo, a governare attraverso il terrore e non attraverso libere e democratiche scelte. Ecco perché vanno studiati e utilizzati gli strumenti che le società evolute possono impiegare per arginare le devastanti conseguenze economiche e sociali degli attentati.
L’americano Kim Quarles, vicepresidente anziano di una compagnia assicurativa del New Hampshire, e l’inglese Steve Atkins, presidente esecutivo di una compagnia di riassicurazione londinese, hanno confermato con dovizia di particolari i terrificanti dati numerici e le prospettive ipotizzabili; altri illustri relatori si sono alternati nella giornata dedicata al tema. Magistrati, avvocati, professori universitari presenti nell’aula Giovanni Nocco della Luiss costituivano una platea d’eccezione per l’argomento trattato, rappresentando etnie e fedi religiose diverse.
Americani, inglesi, tedeschi, italiani, argentini, israeliani, ma soprattutto cinesi, nigeriani, pachistani, indocinesi, filippini, in maggioranza mussulmani rispetto ai cattolici presenti, uniti da una comune matrice culturale, ossia dalla fiducia nel ruolo della legge come unica risposta alla violenza, al caos e alle barbarie del terrore, hanno preso atto delle reali dimensioni del fenomeno e della sua progressiva diffusione geografica. Tra il 1996 e il 2001 si sono registrati 184 attacchi terroristici in Africa, 119 in Asia, 146 in Eurasia, 831 in America Latina, 19 nel Nord America e 305 in Europa. Eccettuata l’Africa, nel 1998 gli attentati sono stati 5.924, con un’estensione mondiale.
Sull’escalation in atto e sulla gravità del fenomeno si è sviluppato il dibattito e si è prospettata l’opportunità di assicurare i rischi terroristici, esaminando anche le modalità. Sono emerse varie ipotesi quasi unanimemente condivise. La prima: i danni causati dall’attacco dell’11 settembre non avrebbero potuto essere risarciti da poche compagnie; se il rischio non fosse stato opportunamente ridistribuito attraverso riassicurazioni, esse sarebbero state travolte dal dissesto, diffondendo sfiducia, insicurezza e perdita del senso dello Stato. Seconda riflessione: oltre al dolore per le vittime e all’aspetto umano della vicenda, fatti così gravi producono danni a cascata in un’area geografica ben più vasta di quella direttamente interessata: attività commerciali sono state interrotte, ad esempio, in una zona ben più ampia di quella delle Torri gemelle, interessando buona parte di Manhattan. È emersa, pertanto, una terza considerazione: in questo tipo di catastrofi il rischio e quindi il risarcimento dei danni deve essere distribuito su una capacità riassicurativa più che notevole. Queste riflessioni hanno subito negli Stati Uniti una tragica accelerazione con gli avvenimenti dell’11 settembre 2001, tanto che nel novembre del 2002 il Governo americano ha dato vita al «Terrorism risk insurance act», il cosiddetto Tria. Questo accordo, che vede interessati il Governo degli Stati Uniti e assicuratori privati, rappresenta un esempio di come possano essere attenuati gli effetti devastanti prodotti, anche sul piano dell’instabilità sociale, da un attentato terroristico, e presenta molteplici spunti di riflessione di indubbio interesse.
Sulla base di valutazioni di esperti analisti e consulenti, è stata disciplinata la costituzione di un patrimonio di oltre 300 miliardi di dollari basato su fondi provenienti per il 10 per cento da assicurazioni private e per il 90 per cento dal Dipartimento del Tesoro degli Stati Uniti; questo fondo, si legge nell’atto costitutivo, utilizza le tradizionali forze del mercato e i principi della normale buona amministrazione degli istituti assicurativi; e costituisce il grande serbatoio necessario, all’occorrenza, per immediati interventi diretti al risarcimento dei danni subiti dagli assicurati a causa di attacchi terroristici.
Questo tipo di assicurazione sarà attiva a partire dal 2006 e si prevede che possa dare una concreta e immediata risposta a tutti i danni che potranno verificarsi negli Stati Uniti a causa di attentati terroristici. Mancando una definizione internazionale di atto terroristico, il Tria ha stabilito che, qualora i danni risultino superiori ai 5 milioni di dollari per singolo evento, questo deve essere di volta in volta definito terroristico dal Segretario al Tesoro americano. La preparazione di tale accordo e gli studi propedeutici effettuati hanno permesso di realizzare negli Stati Uniti una mappatura dei vari insediamenti più o meno a rischio, e questa ricognizione ha richiesto una particolare attenzione e un controllo del territorio.
Compiuto dagli assicuratori per calcolare il patrimonio di cui doveva essere dotato il Tria, lo studio analitico delle prospettive ipotizzate sulla base del potenziale interesse terroristico che i singoli siti possono rivestire ha prodotto un benefico effetto, poiché i siti potenzialmente a rischio sono già oggi oggetto di un’aumentata sicurezza da parte dello Stato ma anche delle assicurazioni aderenti, impegnate in un’opportuna attività di prevenzione.
Anche in Inghilterra, ha riferito il rappresentante della compagnia di riassicurazione Pool Re - specializzata nel ramo danni per atti terroristici con danni di proprietà commerciali inclusi arredi, beni e prodotti, ma anche di interruzione di attività -, gli scopi della compagnia sono analoghi a quelli della Tria; le sue iniziative hanno permesso di realizzare, per il risarcimento dei danni, soluzioni economiche e sociali atte a diminuire le drammatiche conseguenze di atti terroristici.
Trattandosi di un’assemblea di giuristi, particolare attenzione è stata prestata alla possibilità di definire in modo omogeneo, sia pure a fini assicurativi, l’atto terroristico individuandolo quasi concordemente nell’attività che una persona, da sola o con ogni tipo di organizzazione, attui per influenzare con la forza o con la violenza un Governo, per produrre effetti devastanti sotto il profilo sociale, o per ottenere una qualche utilità personale. Anche in Inghilterra, vista la proliferazione delle attività e dei gruppi terroristici, viene prevista la certificazione governativa sull’esistenza di un atto terroristico; se essa manca, la materia può essere sottoposta all’accertamento di un tribunale indipendente.
Come si vede, la risposta del mondo degli affari agli attacchi terroristici non si è fatta attendere. La legge e la regolamentazione contrattuale di determinati fenomeni assicurativi forniscono soluzioni di straordinaria importanza per il recupero della sicurezza sociale; e anche se in tal modo sono curati gli effetti dell’atto terroristico e non le cause, la soluzione può essere approfondita e migliorata.

Tags: assicurazioni Lucio Ghia compagnie assicurative terrorismo anno 2004

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