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FOCUS ambiente energia sostenibilità - Nomisma Energia: da Chernobyl ad ora l’esplosione dell’integralismo ambientalista

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Nomisma Energia fornisce soluzioni ai problemi legati ai settori dell’energia e dell’ambiente attraverso lo studio continuo della realtà e l’impegno costante nello sviluppo della risorsa che ritene essere la più importante al mondo: il pensiero umano. Compie analisi economiche approfondite attribuendo sempre una specifica priorità agli aspetti reali dell’industria, quali i prezzi, i costi, i vincoli ambientali, i tempi di ritorno degli investimenti, inserendo i vari progetti nel generale contesto di sostenibilità e di crescita dei consumi. Include la convinzione che il futuro, per coloro che si occupano di energia, sarà caratterizzato da una crescita dei consumi, da una intensificazione dei vincoli ambientali, da grandi opportunità tecnologiche e dalla connessa necessità di enormi investimenti. A fronte di tale complessa situazione investe nella ricerca e nel consolidamento delle competenze sul campo

Nomisma Energia (NE) si impegna ad affrontare con grande passione i problemi energetici globali seguendo con altrettanta attenzione le esigenze specifiche dei clienti, stabilendo un dialogo ed instaurando una proficua collaborazione con ognuno di essi. Per operare in questo modo rispetta un sistema condiviso di valori che ne guidano lo studio approfondito e costante dei mercati delle fonti di energia, la ricerca di un vero dialogo con i clienti, la personalizzazione delle soluzioni e orientamento al progetto, l’imparzialità e l’integrità nei confronti di tutti gli interlocutori, una risposta globale, l’interdisciplinarietà. È guidata da Davide Tabarelli, nato a Modena il 21 agosto 1960, che ne è presidente e fondatore dal 2006. Iniziata la carriera nell’energia all’università nel 1985 con una tesi sui mercati del petrolio con la quale consegue la laurea in Economia con lode, dopo un breve periodo di attività universitaria nel 1986 entra nella sezione Energia di Nomisma. È stato responsabile di circa 90 studi su questioni energetiche ed ambientali, è stato consulente del Ministero dell’Industria dal gennaio 1995 al maggio 1996; è stato responsabile dell’attività di assistenza per il Ministero dell’Ambiente in tema di cambiamenti climatici e membro di commissioni ministeriali per la politica energetica nel 2003 e nel 2005. È professore a contratto presso la Facoltà di Ingegneria e di Scienze politiche di Bologna e presso il Politecnico di Milano. Ha pubblicato oltre 70 articoli.
Domanda. Oggi l’Italia, non solo per gli elevati prezzi dell’energia elettrica, è l’anello più debole del sistema elettrico ed energetico europeo. Quali sono i motivi?
Risposta. Tante ragioni concorrono: molte sono di carattere secolare, alcune vanno oltre. Il semplice fatto che noi siamo poveri di risorse energetiche è già di per sé una debolezza. La questione più grave, che risale però all’Unità del 1861, è l’incapacità di essere un Paese unito, di fare sistema, debolezza aggravatasi negli ultimi anni con il decentramento amministrativo e con l’esplosione dell’integralismo ambientalista.
D. Secondo lei, l’energia è un settore su cui l’Italia può puntare?
R. Ci sono regole ferree, quasi antropologiche: l’Italia non se lo deve nemmeno porre questa domanda. Ovvio che deve puntare sull’energia. Questa serve per fare andare le fabbriche, i servizi, le macchine, il turismo, le case, le scuole. Sostanzialmente tutto. Su questo sistema energetico, che noi bene o male abbiamo fatto, occorre lavorare per fare le politiche che, ultimamente, sono molto sbilanciate sull’ambiente, meno sulla competitività e sulla sicurezza.
D. Un suo pensiero sulla Strategia energetica nazionale, che è stata aggiornata a seguito delle profonde trasformazioni economiche e del mercato energetico degli ultimi anni?
R. Strategia energetica nazionale: strategia implica capacità decisionale centrale, da sistema, che, come detto prima, noi non abbiamo. Mi viene in mente quanto visto poche settimane fa a Londra, dove sono andato a discutere di petrolio, liberalizzazioni elettriche, consumi di gas, decarbonizzazione, rinnovabili e altro. La cosa che mi è rimasta più impressa è che i lavori a Hinkley Point per fare una centrale nucleare da 20 miliardi di sterline sono partiti. Dopo tanti anni di fiumi di regolazione, parole, politiche, il Paese che più di altri è un riferimento per le politiche nell’energia decide ancora per il vecchio nucleare.
D. Cosa consiglierebbe al Governo su questo argomento?
R. Ciò che ho imparato già 30 anni fa alla Conferenza dell’Energia del 1987, quando si definì il Piano Energetico del 1988, quello necessario dopo la precipitosa uscita dal nucleare causata dall’incidente di Chernobyl del 1986. Occorre più attenzione alla questione economica, ai costi per le nostre imprese, quelle che danno lavoro ai giovani. Purtroppo le cose da allora sono peggiorate, per una rivoluzione verde che ci vede ai primi posti al mondo. Tutto il merito va alla politica ambientalista in Italia che è trasversale in molte forze politiche, ma soprattutto in quelle di sinistra, affascinate dalle visionarie previsioni di un mondo senza i cattivi fossili e orfane di rivoluzioni comuniste inattuabili.
D. Quali sono le principali fonti energetiche impiegate in Italia? Qual è il rapporto tra le fonti «classiche» e quelle rinnovabili?
R. Continuano ad essere i fossili le principali fonti, in particolare petrolio e gas che insieme contano per il 69 per cento, più un 7 per cento del dimenticato e sporco carbone. Poi abbiamo un 19 per cento di fonti rinnovabili che, nel giro di 10 anni, sono quasi triplicate. Da non dimenticare, per arrivare a 100, sono le importazioni di energia elettrica dall’estero, il rimanente 5 per cento. Queste sono le proporzioni del bilancio energetico nazionale, da non confondere con quelle solo della produzione elettrica, dove le rinnovabili sono arrivate addirittura un paio di anni fa al 40 per cento, mentre oggi sono ridiscese verso il 35 per cento. Dentro, occorre sempre ricordare che metà delle rinnovabili arriva dai grandi laghi delle nostre montagne, l’idroelettrico, quello che quando eravamo più poveri, ad inizio secolo, chiamavamo carbone bianco. Oggi quelle centrali, quelle dighe, nessuno le potrebbe fare, per opposizione ambientale. Se togliessimo questo carbone bianco le nostre rinnovabili si dimezzerebbero.
D. Il principale problema delle risorse energetiche rinnovabili è legato a questioni amministrative, tecniche e alla loro sporadica diffusione sul territorio italiano. Sono solo questi i motivi per i quali l’industria delle rinnovabili non riesce a «scalzare» quella delle fonti fossili?
R. Il principale problema delle rinnovabili è la loro dispersione in natura aggravata dall’intermittenza. La tecnologia aiuta molto, ma quello che ci danno i fossili in termini di concentrazione e facilità di stoccaggio non è ancora raggiungibile. Di nuovo, istruttivo è il caso dei bacini artificiali di acqua che raccolgono l’energia delle gocce d’acqua che cade dal cielo e la concentrano perché sia pronta a far girare una turbina. L’eolico funziona solo quando c’è vento, il solare solo quando è giorno. È per questo che tutte le aspettative sono sugli accumuli, sulle batterie. Dai tempi del nostro Alessandro Volta del 1800 ci sono solo stati miglioramenti, ma non scoperte straordinarie come, invece, sarebbero necessarie per scalfire la supremazia del petrolio o del carbone.
D. Quant’è esposta l’Italia ai rischi di approvvigionamento energetico?
R. L’Italia, grazie al balzo delle rinnovabili, ha conosciuto un sensibile calo della dipendenza energetica dall’estero, dall’83 al 75 per cento nel 2016, ma rimane uno dei valori più alti fra i grandi Paesi industrializzati. Poi siamo in mezzo al Mediterraneo, importiamo molto gas dall’Africa e dalla Russia, peraltro per fare molta elettricità. È un sistema meno sicuro di altri che, grazie alla crisi e ai minori consumi, resiste bene.
D. Quanto ha inciso l’aumento delle materie prime sui rincari in bolletta?
R. Da quando sono partite le liberalizzazioni a fine anni 90, le bollette sono aumentate del 70 per cento e il balzo è stato solo in parte causato dalle materie prime, il resto sono stati altri oneri, in particolare quelli delle fonti rinnovabili.
D. Per quale motivo si parla tanto di energie rinnovabili se poi si impedisce persino di costruire piccole centrali idroelettriche nei bacini montani perché giudicate invasive?
R. Perché nessuno vuole impianti industriali nel proprio cortile, in particolare se questi servono all’interesse del Paese. Anche le centraline idroelettriche sono piccoli impianti industriali e ci sarà sempre un geometra, un professore, un geologo, un botanico che dirà che si vanno ad alterare il territorio e l’ambiente. Il problema è che manca la capacità decisionale centrale, in particolare a livello nazionale, ma poi anche ai livelli regionale, provinciale e comunale.
D. Un suo pensiero sul gasdotto Tap in Puglia, per il quale non si riescono a spostare 200 ulivi senza scatenare una «rivolta»?
R. In nessun posto al mondo un Ministero dell’Ambiente avrebbe dato una simile prescrizione, quella di trapiantare gli ulivi. E, follia nella follia, questo non basta, è motivo di protesta. Tutti hanno il diritto di protestare, ma poi le decisioni vanno prese.
D. Come valuta il programma energetico del M5S che punta alla decarbonizzazione dell’economia italiana, e considera addirittura un ritorno al nucleare?
R. Va oltre l’irrazionale, non è spiegabile nemmeno con la poetica visionaria degli ambientalisti. Estremamente difficile da capire. Una vera rivoluzione. È una fortuna che il primo programma di governo del M5S riguardi l’energia, argomento su cui è subito chiara la loro capacità che per ora è quasi nulla.
D. Su quali risorse rinnovabili è opportuno investire?
R. Su tutte, basta che ce la facciano da sole, o con un po’ di aiuto. Dopo un periodo di forti incentivi, devono camminare da sole.
D. A quale nucleare si deve guardare: la tradizionale fissione o la futura fusione?
R. Occorre guardare a tutto. Noi siamo il Paese che ha inventato il nucleare per usi civili con Enrico Fermi. Dobbiamo rimanerci. Almeno nella ricerca. Poi abbiamo la nostra Sogin che è un gioiello, posseduta dallo Stato, e che ha sviluppato grandi competenze per risolvere il problema fondamentale del nucleare, quello delle scorie.   

Tags: Maggio 2017

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