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Beppe fumagalli: Candy, la crisi non è tutto, c’è molta resistenza e fiducia di ripresa

Beppe Fumagalli, amministratore delegato del Gruppo Candy

Dallo scorso gennaio Beppe Fumagalli è al vertice del Gruppo Candy nel ruolo di amministratore delegato. A lui fanno capo i tre Business Sector (Washing Appliances, Kitchen Appliances, Small Domestic Appliances), gli staff centrali e le strutture locali dislocate nel territorio. Precedentemente è stato direttore del Business Sector Washing Appliances, il più importante del Gruppo per fatturato e volumi produttivi, e direttore generale della Divisione Small Domestic Appliances che, con il marchio Hoover, è leader nel mercato europeo del floor-care. Entrato nel Gruppo nel 1985, subito dopo la laurea in Economia aziendale all’Università Bocconi di Milano, è stato nominato condirettore generale delle Usines de Rosières (Francia) nel 1988. Nel 1990 ha diretto le attività diversificate del Gruppo assumendo anche la responsabilità del controllo di gestione. Nel 1993 è stato nominato direttore generale della Mayc-Otsein in Spagna e dal 1994 ha coordinato le attività di marketing in Europa con la mansione di direttore Marketing Centrale di Gruppo.

Domanda. Nel momento storico ed economico che oggi attraversa tutta l’economia mondiale, un’azienda come la sua - che da quando è nata ha rappresentato un simbolo dell’industria e dell’economia italiana, della rinascita postbellica e dello sviluppo nel secondo Novecento - rappresenta il termometro dell’economia italiana passata, presente e soprattutto futura. Non sappiamo cosa avverrà, anche se le leggi economiche insegnano che le crisi sono cicliche e ad esse segue sempre una ripresa. Qual è il suo giudizio?

Risposta. Mi fa piacere parlare dell’origine di Candy perché è una storia di famiglia. Fatto prigioniero durante la seconda guerra mondiale dagli americani in Libia, mio zio Enzo fu portato negli Stati Uniti. In quegli anni mio nonno Eden gestiva un piccolo laboratorio artigiano che realizzava utensili per l’industria. Cercava però un lavoro che lo potesse aiutare a crearsi dei risparmi per la famiglia. Ebbe l’intuizione di dedicarsi a un prodotto utile, acquistabile da una grande massa di consumatori, per cui approfittò della presenza di mio zio negli Stati Uniti per chiedergli per lettera di vedere se là vi fossero prodotti da poter fabbricare in Italia. Mio nonno in realtà aveva pensato ad una lavastoviglie, ma mio zio gli rispose che apparecchi simili non esistevano, mentre vedeva in commercio macchine per lavare i panni, di cui gli inviò uno schizzo. Insieme al figlio maggiore Niso, mio nonno la realizzò, dimostrandosi un precursore dei tempi.

D. Che cosa avvenne poi?

R. Una volta fabbricato il prototipo della lavatrice, sorse il problema di come chiamarla; il nostro cognome Fumagalli non era certamente attraente. A tavola con la famiglia, composta di 6 persone, ci si sforzava di dare un nome a quella lavatrice; come sempre avveniva nel dopoguerra, la radio era accesa e trasmetteva una canzone che si intitolava proprio Candy, un nome esterofilo, ma gli americani avevano aiutato l’Italia, e questo termine richiamava il candido e il pulito. Queste considerazioni impressionarono tutti. Si decise di chiamarla così e questo è ancora il nome della nostra azienda. Dopo le lavatrici, la fabbrica diversificò la produzione nel mondo del bianco e cominciò ad allargarsi negli altri Paesi, sviluppandosi continuamente.

D. Qual’è la situazione attuale?

R. I tempi sono molto difficili, perché il mercato europeo si è ridotto di circa il 15 per cento rispetto al periodo pre-crisi, e stanno entrando nuovi concorrenti come i coreani, i turchi e i cinesi. È quindi un momento abbastanza complicato. Molte aziende europee, anche grandi, sono in stato di insolvenza, altre pensano di passare la mano. Noi, giunti alla terza generazione, cerchiamo di resistere con lo stesso spirito che portò mio nonno all’intuizione iniziale e a lavorare facendo anche sacrifici. Abbiamo apportato recentemente dei cambiamenti nell’organizzazione aziendale, mio fratello Aldo lo scorso gennaio ha passato la carica di amministratore delegato a me che, al di là del titolo, sono il nuovo capo-azienda del Gruppo.

D. Cosa intende fare?

R. Siamo un’azienda di medie dimensioni se confrontata con altri giganti del settore, ma siamo globali, presenti in tutti i mercati europei, in Argentina, in Cina e con basi industriali in Russia. Abbiamo quindi una buona diversificazione territoriale che ci ha consentito, attraverso una selezione dei mercati in cui essere presenti, di mantenere un trend positivo dal punto di vista del fatturato. Abbiamo puntato molto sulla Cina, siamo cresciuti in Turchia, in Russia e in Gran Bretagna, il primo mercato europeo che ha cominciato a dare segnali di ripresa.

D. Ed oltre alla selezione dei mercati su che cosa contate?

R. Abbiamo la possibilità di gestire un portafoglio di prodotti abbastanza ampio grazie ai brand che fanno parte del nostro Gruppo, che ci hanno permesso di lavorare in mercati che, prima di altri, hanno continuato a crescere, come la Cina. Questo non vuol dire che siamo esenti da qualsiasi problema. Abbiamo trascorso tre anni alquanto complicati, ma prevediamo un trend abbastanza positivo per i prossimi due.

D. Qual è il vostro fatturato?

R. Oggi è di circa 900 milioni di euro, nel periodo pre-crisi era intorno al milione. Abbiamo perso un po’ più del 10 per cento. Il nostro primo mercato è l’Inghilterra, diventata molto importante dopo l’acquisizione nel 1995 di Hoover, e da allora abbiamo conservato il primato. Il nostro secondo mercato è la Cina, dove nel 2007 abbiamo acquisito un produttore locale di lavatrici, Jinling, dal quale abbiamo ereditato una forza vendita rilevante con circa mille venditori. Qui abbiamo esportato la tecnologia europea delle lavatrici frontali che sono il nostro core business e che ci hanno permesso di primeggiare in un mercato altamente competitivo. È un prodotto che sappiamo fare bene e grazie all’acquisizione di Jinling abbiamo ottenuto una forte penetrazione nel mercato locale migliorando la nostra offerta.

D. Quali sono gli altri mercati rilevanti per il Gruppo?

R. Il nostro terzo mercato è la Francia, il quarto è la Russia, il quinto l’Italia: la diversificazione territoriale è fondamentale e noi abbiamo sempre avuto una vocazione all’export. La sfida della Cina è duplice: l’aver deciso di acquistare un’azienda cinese che ci dà una spinta forte nel mercato, e il dover essere competitivi come imprenditori stranieri in un mercato dove la concorrenza di altri fabbricanti locali è accanita. Siamo comunque orgogliosi di essere produttori italiani di elettrodomestici, e ancora oggi il 90 per cento delle lavatrici che vendiamo in Italia sono fabbricate a Brugherio.

D. Senza delocalizzazione quali risultati avreste ottenuto?

R. Quella che abbiamo attuato ci consente ancora di parlare del Gruppo Candy; senza di essa questo non sarebbe stato possibile e non saremmo stati in grado di continuare una tradizione di produttori italiani di cui siamo difensori. In questi anni di crisi stiamo facendo tutto quello che è nelle nostre possibilità per mantenere una base produttiva in Italia. Importanti per noi sono da sempre i brand che sono prodotti quasi per la totalità nei nostri stabilimenti. Quindi non solo Candy, ma anche Hoover, marchio noto in tutto il mondo, e alcuni marchi locali in cui crediamo molto, come Rosières in Francia e Jinling in Cina, senza i quali il Gruppo non sarebbe oggi così rilevante.

D. Quali sono stati, in questi ultimi 50 anni, i cambiamenti radicali?

R. Innanzitutto la managerializzazione dell’azienda che, più è cresciuta, più ha avuto bisogno di risorse esterne per funzionare al meglio. Oggi vi lavorano due Fumagalli, mio fratello Aldo e io, mentre altri membri della famiglia sono nel consiglio di amministrazione. È un passaggio necessario per tutte le aziende familiari, perché arriva sempre un momento critico; la nostra transizione, seppur lenta, è ben riuscita. Quindi managerializzazione del Gruppo, notevole allargamento dei mercati di sbocco e un’internazionalizzazione della produzione. Altri importanti fattori di successo sono stati la fiducia nei nostri marchi, la continuità nella gestione aziendale e l’obiettivo di migliorarsi continuamente.

D. I risultati sono pertanto soddisfacenti per un’azienda familiare non quotata in Borsa?

R. Abbiamo superato momenti non facili, ma grazie a una gestione ottimale delle nostre risorse finanziarie con una visione di medio e non di breve termine ci è stato possibile restare in questo settore che è fortemente competitivo. Vediamo in modo moderatamente positivo il futuro, crediamo che nei prossimi due anni il Gruppo crescerà, perché già avvertiamo i primi segnali di miglioramento dei mercati e perché i nostri indicatori annunciano una piccola onda che vogliamo cavalcare, in modo che difficoltà e rivalità con i concorrenti si trasformino in opportunità e noi saremo pronti a coglierle.

D. Quali i vostri ultimi acquisti?

R. Alla fine del 2013 abbiamo acquisito in Inghilterra un’azienda di medie dimensioni, la Baumatic, operante nel settore degli elettrodomestici da incasso, e con essa stiamo rinforzando un comparto che per noi è molto strategico. Prosegue una forte crescita nel settore del piccolo elettrodomestico attraverso Hoover e questo, unito alla forza dell’azienda nel settore delle lavatrici, ci consente di offrire una gamma ampia di prodotti in quei segmenti che meno hanno sofferto la crisi e meno sono stati attaccati dalla competizione extraeuropea.

D. Su che cosa puntate nel campo della ricerca?

R. I nostri programmi prevedono la realizzazione di prodotti molto più interconnessi. Crediamo che la connettività sia la parola d’ordine nei prossimi anni anche nel settore degli elettrodomestici, e che costituirà il nuovo paradigma dei servizi per il consumatore: elettrodomestici che possono parlare tra loro e a distanza con gli utenti renderanno la vita più facile. La connettività remota è una novità nel nostro settore anche se se ne parla da molti anni e credo che sia arrivato il momento giusto; siamo dinanzi a una grande accelerazione dovuta al fatto che ormai il wi-fi è presente in più del 50 per cento delle nostra case, quasi i due terzi sono equipaggiate con questi sistemi di interconnessione e smartphone e tablet sono largamente diffusi.

D. Un suo giudizio sulla politica economica necessaria per l’Italia?

R. La mia visione è moderatamente positiva. Credo che l’Italia non abbia più tempo da perdere; le opportunità ci sono ed esistono imprese che hanno ancora molto da dire in materia di sviluppo, di nuove idee e di produzione nel nostro territorio; se questo è chiaro, c’è bisogno di segnali e di misure forti da parte del mondo politico. Non si tratta più di definire che cosa fare, siamo arrivati in un momento in cui bisogna premiare lo sviluppo e i primi portatori di esso, che sono le famiglie e le imprese. Bisogna ridare un po’ di risorse a famiglie e imprese per riavviare i consumi e ritrovare le risorse per la crescita. C’è bisogno di uno sforzo del Governo per correggere i problemi di competitività dell’Italia. Siamo solo in attesa che le cose dette da tanto tempo vengano realizzate.    

Tags: Aprile 2014

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