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John r. Phillips: per gli stati uniti l'Italia è stata ed è tuttora un paese affidabile

John R. Phillips, ambasciatore degli Stati Uniti presso la Repubblica Italiana

Ambasciatore degli Stati Uniti d’America presso la Repubblica Italiana e la Repubblica di San Marino, è stato nominato dal presidente Usa Barack Obama il 14 giugno 2013 nella persona di John R. Phillips, nomina confermata dal Senato il 1 agosto 2013. Il nuovo rappresentante del Governo americano in Italia ha prestato giuramento il 16 agosto 2013. Ma sin dal 1971 era cominciato l’impegno di John R. Phillips in difesa dei diritti della collettività: in quell’anno a Los Angeles fondò uno dei primi studi legali sostenuti dalla Ford Foundation, specializzati nella tutela ambientale, nei diritti civili e nella responsabilità delle imprese. Nel 1986, John R. Phillips partecipò intensamente all’aggiornamento, da parte del Congresso statunitense, della Federal False Claim Act, una legge destinata a diventare poi lo strumento principale del Governo degli Stati Uniti per perseguire le imprese colpevoli di frodi ai danni dello Stato. Grazie poi a quella legge, lo studio legale fondato da John R. Phillips ha permesso al Dipartimento del Tesoro di recuperare 11 miliardi di dollari. Nel 2009 il presidente Obama gli ha affidato la guida della Commissione per le borse di studio White House Fellowship. Phillips è laureato all’University of Notre Dame e ha conseguito un dottorato presso la Berkeley School of Law, dell’Università della California.
Domanda. Lei è impegnato a rafforzare l’alleanza tra i due Paesi. Quali sono le priorità e gli obiettivi comuni?
Risposta. Vi sono vari temi sui quali l’Italia e gli Stati Uniti hanno bisogno di collaborare. Il primo è la sicurezza per noi tutti. L’Italia si trova in una posizione strategica vicino a punti caldi come Libano e Siria, rispetto ai quali esiste un interesse comune per noi e per l’Unione Europea. Vi sono le basi militari americane, i nostri rapporti puntano a creare una strategia per i problemi emergenti riguardanti Siria, Isis e Libia, dove si è registrata per lungo tempo molta instabilità e dove abbiamo lavorato bene. Il secondo tema, sono i rapporti economici. Gran parte di quello che facciamo in questa Ambasciata punta a promuovere opportunità economiche sia per gli Usa che per l’Italia. Quest’ultima ha una grande priorità. Di recente ho illustrato i motivi per i quali le aziende italiane dovrebbero investire negli Stati Uniti e le aziende americane cercare le opportunità in Italia. Al momento questo Paese, come l’Europa, ha problemi economici che sono stati affrontati e speriamo vengano risolti. Il nostro obiettivo primario è investire nell’Ue e in Italia.
D. Tra le priorità il TTIP, trattato transatlantico su commercio e investimenti, crea polemiche e critiche per la poca trasparenza. Cosa ne pensa?
R. Non direi che è controverso ma che è complicato. È interesse comune ridurre barriere e ostacoli al commercio tra i vari Paesi per renderlo meno burocratico e costoso. Quando i Paesi collaborano, come Usa ed Ue, chiediamo di farlo in modo più efficiente e sicuro per entrambe le parti. Nessuno vuole diminuire gli standard e in America si crede di aver gli standard alti e le migliori regole per assicurarli. Non stiamo instaurando una competizione per arrivare ultimi negli standard. Per la trasparenza, esiste per tutte le parti interessate la possibilità di essere informati e di esprimere un giudizio ai negoziatori durante l’elaborazione del trattato. Ma non possiamo puntargli le telecamere addosso durante i colloqui. Non vogliamo tenerli segreti, ma diciamo: «Questi sono i temi da affrontare, pensiamo dove arrivare». Le industrie interessate possono dare un giudizio positivo o negativo. Ogni 6 mesi ed anche più spesso riceviamo tanti input dai partecipanti con commenti e consigli. Vi sono tanti Paesi, tante questioni e un enorme gruppo di negoziatori che si concentrano su 22 aree diverse; serve molto tempo per discuterne, ma alla fine tutti ne beneficeranno. L’Italia è un Paese di libero commercio, è nell’interesse di tutti che questo aumenti e crei opportunità di lavoro e crescita. Oggi sia l’Italia che gli Usa hanno bisogno di questo.
D. Come giudica la situazione economica italiana?
R. La disoccupazione giovanile in Italia raggiunge il 43 per cento, è un argomento da affrontare seriamente, le piccole e medie imprese devono sfruttare maggiormente il loro prodotto e le strategie di marketing per esportare sempre di più, ma spesso hanno il peso di eccessive regole. Il problema non sussiste per le aziende grandi, abbastanza autosufficienti. Il trattato è progettato per far funzionare il sistema in modo migliore ed economico. Con la sua applicazione l’Italia avrà più vantaggi rispetto agli altri Paesi; occorrerà tempo, speriamo di concludere entro il prossimo anno, ma ho un’ulteriore speranza di concludere entro quest’anno. Nel frattempo si fanno progressi e c’è tanta fiducia in entrambe le parti. Molti fraintendono ed esagerano, ma ciò non avviene nelle persone coinvolte nelle trattative e nei rappresentanti delle industrie.  È un lavoro difficile, soprattutto quando devono mettersi d’accordo persone e temi diversi.
D. L’Expo 2015 è alle porte. Come possono contribuire gli Usa, con la loro innovazione e tecnologia, all’obiettivo di sfamare il pianeta?
R. L’Expo di Milano si concentrerà su un argomento molto importante: sostenibilità e produzione del cibo per nutrire il mondo. Si profila un aumento della popolazione mondiale da 6 miliardi a 9 miliardi nei prossimi 30 anni, per nutrire tutti dobbiamo aumentare la produzione del 70 per cento. Tecnologie e innovazione creeranno tante opportunità. Come coltivare di più sulla stessa quantità di terreno? Evitare il grande spreco di cibo potrebbe aiutare a nutrire la gente. Gli Usa punteranno su innovazione e tecnologia per affrontare questi problemi. Dobbiamo reperire il 100 per cento delle nostre risorse da fonti private. L’Italia e la Germania hanno i fondi dei contribuenti. Noi siamo coinvolti in quest’altro processo e registriamo qualche progresso. Abbiamo un design sviluppatissimo e le migliori aziende americane non interverranno solo per promuovere se stesse ma anche per portare il loro contributo. Il cambiamento climatico influisce sulla capacità di produrre il cibo, le condizioni meteorologiche complicano ulteriormente il problema. L’incontro su questo tema sarà forse il più grande della storia, vi parteciperanno tutti gli esperti dell’agricoltura per tutto il periodo di sei mesi. L’Italia li radunerà offrendo loro l’opportunità di collaborare nell’ideazione delle migliori soluzioni. Un’ottima chance per l’Italia di mostrarsi e di accogliere tanta gente. Milano è una città dinamica per tecnologia, crescita e sviluppo.
D. La spesa per la Difesa in Asia e in Medio Oriente aumenta. Gli Usa sperano che gli alleati non taglino le spese della Nato. Poiché l’unico sito produttivo degli F35 fuori degli Usa è in Italia, a Cameri, possono esservi conseguenze sull’occupazione?
R. Oltre ai fondi per la difesa, in ogni Paese c’è sempre bisogno di quelli per la sanità e le scuole. La spesa per attrezzature militari è un facile bersaglio ma è essenziale. Cosa è più importante della sicurezza dinanzi alla crescita dell’Isis, gruppo che intende creare uno Stato uccidendo chi non si converte alla loro religione? I rapporti tra Ucraina e Russia sembrano ricreare l’epoca della guerra fredda. Non possiamo tollerare violazioni di norme e standard internazionali da parte di Paesi che attraversano i confini con l’apparato militare. Dobbiamo difendere i nostri interessi, come Nato, Unione Europea, Stati Uniti ecc. Siamo nella stessa barca. L’America spende il 4 per cento del prodotto interno per la difesa, ed è molto anche perché quest’ultima non è molto popolare negli Stati Uniti. Parliamo di circa 150 miliardi di dollari. Chiediamo agli altri Paesi della Nato e dell’Ue di spendere solo il 2 per cento, metà di quello che spendiamo noi. I dibattiti politici in Paesi soggetti ad alta disoccupazione, poca crescita e necessità di spendere per altri settori, portano ai tagli. Noi invitiamo fortemente i Paesi della Nato a raggiungere il loro obiettivo: la realizzazione dell’F35, quinta generazione di questo caccia militare. Se qualcuno si tirerà troppo indietro, saranno compromesse le capacità della difesa; e le conseguenze potranno vedersi solo tra 5 o 10 anni, anche se le decisioni saranno prese oggi. È fondamentale che il Governo italiano rispetti l’impegno assunto, in quanto il numero degli ordini degli F35 è già stato ridotto. Siamo fiduciosi che l’ordine di 90 unità sarà rispettato. Gli Usa ne compreranno 2 mila rispetto ai 90 dell’Italia; poiché abbiamo cinque volte più abitanti dell’Italia, è un numero oltre 20 volte maggiore; in base alla sua popolazione, l’Italia dovrebbe acquistarne 400. Si tratta di aerei da usare per difendere i Paesi della Nato, non solo l’America. Se si vuole continuare a tagliare, diventerebbe difficile fare parte di questo sistema. Il problema esiste anche con altri Paesi della Nato, ma è stato raggiunto sempre un accordo sugli F35, importante anche per l’occupazione e la tecnologia. Cameri è una struttura impressionante, un investimento di circa 2 miliardi di euro, un sito all’avanguardia capace di diventare un hub per l’ammodernamento e la manutenzione degli F35. Se un partner si tirasse indietro, creerebbe un precedente per gli altri Paesi. Credo che nei nostri incontri con il Ministero della Difesa e il presidente del Consiglio si sia giunti a un accordo. L’Italia sarà in grado di rispettare gli obblighi minimi per sostenere uniti il piano relativo alla difesa.
D. Qual è il bilancio della strategia militare volta a mantenere la pace?
R. La cooperazione è ottima. L’Italia è un alleato affidabile per noi e per la Nato, e ci ha espresso la volontà di partecipare. In Afghanistan, Iraq, Libia ed ora anche in Siria ha sempre fatto un passo avanti. Abbiamo buoni rapporti di collaborazione. E abbiamo anche tre basi militari in essa. Questo è positivo anche per l’economia italiana. Ho visitato tutte le basi e trovato un’ottima intesa tra i due Paesi.
D. Gli Usa hanno quasi raggiunto la tranquillità energetica grazie allo shale gas. Cosa Italia ed Europa dovrebbero fare nelle infrastrutture energetiche?
R. Secondo gli Usa è arrivato il momento che l’Unione Europea crei una strategia energetica comune, soprattutto nell’Europa occidentale, alla luce della contesa tra l’Ucraina e la Russia. Quest’ultima si serve del gas e del petrolio come un’arma, non è affidabile. L’abbiamo visto con la Georgia; usa considerazioni politiche per decidere se concedere il gas per scaldare le case o no. Con un programma di 5 anni, l’Europa occidentale potrebbe non essere così dipendente dalla Russia. Si potranno collegare infrastrutture e oleodotti dal nord al sud, soprattutto in Spagna, dove c’è il GNL, per importare il gas. Gli Usa ora esportano petrolio e gas. Prima vigeva il divieto, ora vi è la disponibilità per queste esportazioni, perché lo shale gas è molto significativo. In Europa, per esempio in Francia, non permettono la ricerca dello shale. Noi affrontiamo questo problema in modo che si possa farlo in sicurezza fino al raggiungimento dell’indipendenza energetica. Devo congratularmi con l’Italia per quanto riguarda lo sviluppo delle energie rinnovabili come solare, geotermale, eolico e marino; circa il 38 per cento dell’elettricità viene dalle fonti rinnovabili. Ritengo che sia questo il futuro di tutti i Paesi, ma nel frattempo occorre un piano quinquennale per rendere l’Europa indipendente. L’Eni ha compiuto scoperte in Mozambico, ho incontrato varie volte il suo amministratore delegato e abbiamo constatato che ve ne è abbastanza per soddisfare il fabbisogno dell’Italia per i prossimi 40 anni. Ovviamente occorre tempo per costruire gasdotti che attraversano l’Europa, ma l’Italia tra 5 anni vedrà che non ha più bisogno del gas russo. Che potrebbe allora essere venduto alla Cina, ma non a buon prezzo. Però bisogna fargli arrivare oggi questo messaggio. La Russia sta pagando un prezzo per il proprio comportamento. Credo essenziale per l’Italia partecipare al dibattito sulle modalità di collegamento e di indipendenza energetica. Nello stesso tempo l’Italia continui a sviluppare l’energia verde. In America la situazione è simile, perché tra 15 o 20 anni l’energia sarà molto più diversa di quello che la gente si aspetta. Saremo meno dipendenti per gli idrocarburi, soprattutto per petrolio e carbone, e il gas sarà il carburante «ponte» per i prossimi venti o trent’anni. Alla fine c’è abbastanza energia se la tecnologia si sviluppa nello stesso modo come è capitato all’energia solare, eolica e da biomassa, insieme ad altre che ancora non conosciamo bene, come la tecnologia «battery». Il mondo intero sarà molto più efficiente e meno dipendente nei problemi del riscaldamento mondiale e dei consumi di idrocarburi. Stiamo pagando un prezzo alto per questo, quindi va concessa una grande incentivazione e bisogna andare avanti su quel fronte. L’Italia ha svolto un ottimo lavoro, sono ottimista sul tema dell’energia. L’America poteva diventare un Paese energicamente indipendente, e credo che ora lo sia. A tal proposito serviva solo un uomo per sviluppare la tecnologia dello shale, purtroppo è scomparso l’anno scorso. Non si è mai arreso e questo dimostra il modo americano di essere innovatori. Ha scoperto nuove tecniche con vari carburanti e liquidi per disporre di questa energia che proviene da grandi profondità. Perciò andiamo in profondità dentro i pozzi petroliferi estraendo molto più di prima. Questo si può fare in tutto il mondo. Tra venti anni avremo un mix energetico di diversa natura, ma in modo positivo. Tutto è fatto di energia e influisce su tutti i prezzi. È l’ingrediente chiave. Ora il costo dell’energia negli Usa è di circa un terzo inferiore rispetto a quello in Italia. Questo ci dà un grande vantaggio, che anche l’Italia potrebbe avere.
D. Perché i francesi hanno detto «no» allo shale gas?
R. I gruppi di ambientalisti credono che questo gas in qualche modo contaminerà l’acqua. Questi sono i problemi da affrontare. Negli Usa è stata sollevata questa questione, ma l’ultima cosa che vogliamo fare è contaminare l’acqua con gas e petrolio. La conclusione è che tutto può essere fatto in sicurezza, se è fatto bene. Non possiamo avere operai che sbagliano rendendo il sistema insicuro; il gas viene estratto da grandi profondità e se si disperde ha un impatto negativo. Ma non c’è motivo che esca, se non per errori e negligenza degli addetti; necessitano permessi e assicurazioni sul lavoro svolto in maniera adeguata. Si svolgono dibattiti come quello sull’Ogm nei quali la gente si appassiona su una posizione chiamandolo Frankiefood o cibo Frankenstein. Occorrono nuove tecnologie sicure. Se non lo facessimo in America, il quadro energetico sarebbe molto diverso. In America, abbiamo sempre avuto penuria di energia, abbiamo dovuto importarla e abbiamo dato più potere ai Paesi dell’Opec. Durante la costruzione di questa tecnologia abbiamo riempito questa mancanza con lo shale, che si sta espandendo con maggior potenziale, nella speranza di avere un surplus e di esportarlo in Europa. Gli altri Paesi fanno lo stesso. Non esiste dappertutto, l’Italia non ha molto shale, ma Francia, Russia e Cina sì, per questo credo che il futuro sarà diverso tra 20 anni.
D. Lo shale gas non esiste in Italia?
R. Dove esiste il petrolio? In Arabia Saudita, non ovunque. Lo stesso è per il gas. L’Italia non è stata un grande produttore di petrolio, quindi non c’è una grande speranza per il gas, che è solo un’altra forma di idrocarburo. Dove c’è il petrolio c’è il gas. Siamo stati in tanti luoghi dove c’è tanta produzione di petrolio, come in America, ed abbiamo rigenerato i vecchi pozzi. Credo che decisioni come quella sullo shale in Francia dovrebbero basarsi sull’evidenza scientifica. Occorrono standard estremamente alti, non basandosi su emozioni, fattori irrazionali, o gente che manifesta solo perché «non piace». Questo è il nostro metodo in qualsiasi decisione. Spesso una forte opposizione non è basata sulla scienza.
D. Ritiene che la crisi possa trasformare l’industria italiana in terra di conquista, oltre alle aziende americane che vi ricavano profitti senza pagare adeguate tasse?
R. Quelle aziende investono, costruiscono, comprano impianti, creano nuove capacità, assumono personale e pagano le tasse. L’Italia dovrebbe accogliere favorevolmente l’investimento diretto dall’estero, proprio come noi l’accettiamo negli Stati Uniti per esempio da Cina, Giappone e Regno Unito. È un fenomeno positivo. Più capitale è investito, più si possono produrre beni e servizi, assumere, pagare imposte, crescere e non avere un 40 per cento di giovani disoccupati. Alcuni dicono che i Paesi vengono svenduti, io credo che diventano più produttivi. Oggi l’economia è globale, Paesi isolati che non fanno commercio con altri rimangono chiusi, non competono a livello internazionale. L’Italia ha un’enorme capacità di esportazione perché la qualità dei prodotti di piccole aziende è riconosciuta nel mondo, ma nell’uso di internet per il marketing, per incrementare le vendite è indietro. Non parliamo solo di borse, ma prodotti di alta tecnologia. Il 70 per cento di questi sono macchinari e attrezzature sofisticate. La gente comincia a capirlo.
D. Ritiene adeguati gli impegni previsti nell’agenda economica del presidente del Consiglio Matteo Renzi, per avviare a soluzioni dei problemi italiani?
R. Noi sosteniamo le riforme del presidente Renzi. Credo che possano essere positive per l’Italia; la gente sta ascoltando, il presidente ha la capacità di comunicare bene con il popolo. La struttura politica del passato è stata insensibile a risolvere problemi ben chiari; per esempio la lunga attesa per ottenere i permessi dalla burocrazia. Desideriamo che l’Italia diventi un posto ideale per il commercio, ma se servono tra i 5 e i 10 anni per costruire un impianto il risultato è che nessuno viene. Questo può essere semplificato e i livelli di governo e le decisioni potrebbero essere ridotte. Non sarà facile, ma bisogna cominciare. L’altro aspetto è il sistema giudiziario incredibilmente lento. Le aziende americane se vi vogliono investire denaro incontrano problemi e vertenze che vengono risolte in 10 anni. In America il sistema giudiziario fornisce decisioni giuste, veloci e responsabili. Inoltre c’è il problema della rigidità del lavoro; non possono imporsi pesi del genere sui datori di lavoro. Il risultato è che non assumono più. Un alto dirigente di una grande azienda italiana mi ha detto che, se cambiassero le leggi sul lavoro, assumerebbe un centinaio di lavoratori subito; altre aziende ne assumerebbero migliaia se non c’è più il rischio di pagare persone a vita ad un costo altissimo. In America, si possono assumere apprendisti e stagisti, ma se non vanno bene devono cercare una soluzione più idonea. Se l’Italia riesce a superare questi ostacoli, si metterebbe nella posizione giusta, ma questo non succede in un giorno. Se avvenisse, l’Italia risulterebbe più efficiente e produttiva, con più assunzioni, e una grande crescita economica. Invece non cresce da 15 anni. Se si realizzasse tutto ciò, si potrebbe scatenare una capacità enorme perché la gente è molto creativa ed ha talento. L’Italia è un posto speciale e tutti capiscono che è un paese intelligente che ha la capacità di produrre, ma ha anche una struttura burocratica che soffoca gli impegni. C’è bisogno di un’imprenditoria culturale come quella esistente negli Stati Uniti.
D. Che cosa pensa dei giovani italiani in gran parte disoccupati?
R. Un altro esempio è lo sconforto giovanile, la fuga dei cervelli; quando i giovani credono che non ci siano più opportunità, cercano altrove. Questo però è il futuro dell’Italia. Occorre dare un segnale di cambiamento. Ho parlato con studenti tra i 15 e i 18 anni, e sono rimasto scioccato quando alla domanda «Quanti di voi, finita la scuola, pensano di cercare lavoro all’estero?». Il 75 per cento ha alzato la mano. Il mio messaggio a loro è questo: può essere demoralizzante l’alta disoccupazione, ma se si andasse avanti con le riforme, tra 5 anni le cose saranno molto diverse. Tanti italiani preferiscono rimanere in Italia, e questa ha bisogno di loro, devono guardare le opportunità disponibili nel futuro.
D. Ha fiducia in Renzi?
R. Mi piace il fatto che non abbia paura. Affronta e parla chiaramente dei problemi attuali. Non cerca di mantenere il potere, o di fare la cosa più semplice. È disposto a fallire e ad affrontare i rischi. Credo che oggi sia proprio la persona giusta per l’Italia.
D. L’America sarà governabile con un presidente definito «anatra zoppa»?
R. I risultati delle elezioni sono stati deludenti, ma non tanto. Per le elezioni «mid term», tra l’inizio e la fine del mandato, la storia ci insegna che il partito al potere ha sempre perso nella Camera dei rappresentanti e al Senato; è successo di nuovo, non è un evento unico o strano. Ora i repubblicani controllano entrambe le Camere e devono dimostrare di ottenere qualcosa. Ci sarà più pressione per arrivare a un accordo per una legge che il presidente è disposto a firmare. Lui ha il potere di veto, ma c’è la possibilità di negoziare e di trovare un accordo. Sul fronte nazionale credo faremo di più. In America si stanno tutti preparando alle elezioni presidenziali del 2016. Mi sono dispiaciuto, come democratico e come amico e sostenitore di Barack Obama, ma non sono affatto scoraggiato e, come si è appreso dal suo discorso, andremo in ogni caso avanti. Il suo principale obiettivo è di fare il massimo, con i poteri che egli ha, e di lavorare insieme per promuovere le politiche più giuste e più appropriate.   

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