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santo versace: made in italy, alta moda e alto di gamma, armi italiane contro la crisi

Santo Versace, presidente della Camera nazionale della Moda

Settant’anni appena compiuti e un’esperienza imprenditoriale d’eccellenza che ha attraversato gli ultimi cinque decenni della storia dell’industria italiana e mondiale dell’alta moda, non senza una variante sul tema, come l’impegno in Parlamento, alla Camera dei Deputati, tra il 2008 e il 2013: Santo Versace, presidente del Gruppo che si richiama al nome del fratello Gianni, possiede tutti i numeri per offrire un’analisi lucida e motivata della grande crisi economica che vive il Paese da oltre un lustro e delle possibili vie d’uscita. Laureato in Economia, Santo ha svolto un ruolo fondamentale, con la sorella Donatella, nell’affermazione del marchio Versace nel mondo, concentrandosi su quattro principali obiettivi: organizzazione, distribuzione, produzione e finanza. La sua supervisione di ogni aspetto dell’attività ha fatto sì che in breve tempo divenisse uno degli imprenditori più stimati e considerati nel settore, tanto da essere chiamato a guidare anche la Camera nazionale della moda italiana e la Fondazione Altagamma, da lui ispirata e voluta.
Strenuo sostenitore del Made in Italy, si è più volte rammaricato del fatto che «la politica e le istituzioni non capiscano quello che la moda e il design rappresentano per il nostro Paese». E, facendo riferimento alla vecchia copertina del settimanale tedesco Der Spiegel che descriveva l’Italia come un mix tra spaghetti e P38, ha chiosato: «Cibo e mafia insomma. Ebbene, noi abbiamo contribuito a cambiare in tutto il mondo quest’immagine». E, dunque, è proprio ancora una volta da lì, dall’eccellenza italiana, che si deve ripartire–avverte–, se si vuole riprendere il processo di crescita di questo nostro Paese.
Domanda. L’Italia è da anni nell’occhio del ciclone di una crisi globale. È un paradosso sperare che in un momento come questo, in cui molti devono compiere rinunce, possa essere proprio un simbolo del lusso come l’alta moda, e in generale l’eccellenza del Made in Italy, a costituire un fattore di traino per la ripresa del Paese?
Risposta. Non c’è assolutamente niente di paradossale, a meno di mettere in discussione le fondamenta stesse del nostro sistema economico che è basato sulla legge della domanda e dell’offerta e sulla giusta retribuzione del lavoro. La questione è fortunatamente molto semplice: gli italiani sanno produrre oggetti ed offrire servizi ad un alto valore aggiunto, per il quale esistono in tutto il mondo persone disposte a pagare un prezzo alto. Il vantaggio per il Paese risiede nella natura di quest’industria, per lo più manifatturiera: l’alto di gamma, se va bene, traina tutta la filiera, e parliamo di centinaia di migliaia di persone, e alimenta anche l’industria italiana di media e bassa gamma che trae comunque vantaggio, in termini di immagine, dal prestigio dei grandi brand.
D. L’alta moda è una significativa freccia nell’arco dell’immagine italiana all’estero. Di quali supporti avrebbe bisogno il settore, da parte di chi governa, per svolgere nel modo migliore questa funzione e rappresentare lo stile e la creatività del nostro Paese?
R. Supporti economici, nessuno. Chi ha creato questa industria 40 anni fa, gente come mio fratello Gianni, come Giorgio Armani, come Gianfranco Ferré, non ha contato su nessun aiuto: è andato a vendere la propria creatività dall’altra parte del mondo contando solo sulle proprie forze. Certo, oggi qualcosa le istituzioni possono fare, fondamentalmente creando le condizioni perché le aziende italiane possano competere con quelle inglesi o francesi senza partire con una zavorra. Parlo della necessità di un fisco più vicino alle imprese che investono nell’innovazione e nella ricerca, di un mercato del lavoro più flessibile, di un minore costo dell’energia e dei trasporti. Sono fattori che servono a tutto il sistema economico italiano, non solo al comparto del cosiddetto alto di gamma.
D. In Italia il talento è di casa, in tanti campi. Eppure, nella cultura di molti la moda rappresenta prevalentemente un fatto frivolo, voluttuario, anziché una reale risorsa fondata sulla creatività e di cui andare fieri nel mondo. Un pregiudizio diffuso anche nella classe dirigente?
R. È un pregiudizio culturale che ha radici antiche e che è ancora diffuso, è vero. Ma non credo nelle classi dirigenti per un fatto molto semplice: la moda, così come tutta l’industria di eccellenza, vive da decenni un boom che non ha eguali. Vende, e ci appartiene intrinsecamente: fa parte della nostra cultura e del nostro dna, va valorizzata e non demonizzata. Imprenditori e manager lo sanno bene. E l’hanno capito anche i politici.
D. Lei è anche fondatore e presidente di Altagamma, la fondazione che raggruppa le grandi imprese dei marchi di eccellenza del Paese. Quali sono i risultati più significativi in particolare della moda Made in Italy, in termini di fatturato e di volumi di esportazione, che devono far pensare a questo settore come a un fattore chiave per la ripresa del Paese?
D. Nei beni di lusso personali come abbigliamento, gioielli, orologi, calzature, accessori ecc., l’Italia è leader mondiale insieme alla Francia, con una quota del 25 per cento abbondante. Questo significa un fatturato di 56 miliardi di euro all’anno. Nel design la quota italiana è addirittura dell’80 per cento. Ma cito altre cifre molto significative sulla consistenza dell’industria italiana di alta gamma. Tra esse, il numero medio di occupati per un’azienda di alta gamma è di 234 unità rispetto alle 15 del resto dell’industria; in totale 175 mila occupati diretti e 320 mila indiretti. L’importo medio delle tasse pagate è 1,8 milioni di euro rispetto a 40 mila. Le imprese di Altagamma realizzano in media metà del fatturato all’estero rispetto al 27 per cento delle altre industrie, e in relazione al fatturato investono di più, il 7,8 rispetto al 4,5 per cento.
D. Il mercato orientale è la più grande vetrina del mondo. Quanto e come riesce a parteciparvi il Made in Italy? Con quali prospettive?
R. Parliamo per ora soprattutto della Cina, ovviamente. Quello che è avvenuto e che sta avvenendo è interessante. Si tratta di un mercato e di una cultura comunque lontani: alcuni valori, che nel mondo occidentale sono naturalmente legati all’Italia, fino a vent’anni fa non erano così familiari. Parlo soprattutto dell’idea di eleganza che è associata ai prodotti italiani, cosi come della qualità manifatturiera. Poi la competizione è diventata durissima, ma nel frattempo le nostre aziende si sono fatte conoscere per tutti i valori tangibili e intangibili che riversano nei propri prodotti. In questo senso i cinesi hanno mostrato una rapidità impressionante nell’affinamento del loro gusto, mostrando di saper apprezzare i prodotti belli e ben fatti e andando al di là dell’allure del logo. Le prospettive sono positive, le aziende italiane cresceranno insieme al mercato. Occorre però sottolineare che, benché si parli sempre della Cina, questo mercato è ancora ben lontano da quello americano: parliamo di 15 miliardi di euro rispetto ai 65 miliardi del mercato americano. Sono gli Stati Uniti la mecca del lusso. È però vero che, grazie soprattutto agli acquisti dei turisti e dei viaggiatori, i cinesi costituiscono la prima nazionalità di consumatori nel mondo.
D. La crisi ha cambiato il mondo, il mercato mondiale si è trasformato. Come deve adeguarsi il marketing dell’alta moda?
R. Ognuno adotta le strategie che gli sono più naturali e, come sempre, non esiste una ricetta nel marketing. Mi limito però a dire che, per i consumatori di alta gamma, «downgrading is not an option». Il che significa che nei periodi difficili si compra forse meno, ma si continuano ad acquistare prodotti di qualità.
D. Oggi un tema molto dibattuto è rappresentato dal merito. Come promuoverlo nei settori di alta gamma, dando modo a giovani di talento di avere la propria grande occasione?
R. Non ho dati a dimostrazione di questa tesi, ma ho la chiara impressione che in questi settori il merito sia premiato maggiormente che altrove. Questo è dovuto al fatto che nell’alta gamma nessuno vive di rendita, neanche i grandi brand storici. Pensiamo al fatto che nella moda si presentano quattro collezioni all’anno. Questo significa che è necessario possedere tanto talento e in tanti ambiti: dalla creatività alla capacità produttiva, dall’organizzazione delle sfilate alla comunicazione, ed alla gestione della rete distributiva. Non esiste spazio per l’improvvisazione, il merito è l’unico criterio che conta.
D. Vede un valido turn over nell’alta moda? Il Made in Italy dell’ultima generazione è in grado di vincere la duplice difficoltà costituita dalla crisi e dal mercato globale?
R. Nessuno più di noi è in grado di vincere la competizione nel mercato globale quando si compete sul valore e non sul prezzo. Siamo in grado di produrre gli oggetti più belli del mondo e continueremo ad esserlo. Dobbiamo solo essere uniti, fare sistema e fare in modo che le Istituzioni lascino fare agli imprenditori il loro mestiere.
D. Quali sono gli sforzi da compiere per il Made in Italy di eccellenza?
R. Io tengo particolarmente ad un ambito, quello del lavoro manuale, di cui ho la delega nella Fondazione Altagamma. La promozione del lavoro artigiano e manuale è stata negli ultimi anni una delle priorità per tale Fondazione che riunisce 80 imprese culturali e creative, la maggior parte con una fortissima impronta manifatturiera. A qualunque categoria merceologica appartenga ciascuna delle imprese dell’eccellenza italiana, il saper fare manuale rappresenta la «conditio sine qua non» del successo. L’industria dell’eccellenza italiana si poggia su due fondamenta: un diffuso talento creativo unito a una forte sensibilità estetica; una lunga e in molti casi impareggiabile tradizione manifatturiera. Non sorprende che da Brioni a Brunello Cucinelli, molte imprese dell’alto di gamma italiano abbiano ritenuto di creare scuole ad hoc, direttamente gestite, per tramandare tecniche particolari di lavorazione dei tessuti e di altri materiali, attraverso il tutoring degli artigiani più esperti, con la possibilità di lavorare a stretto contatto con il prodotto e di entrare in azienda al termine del corso formativo. Tuttavia rimane un problema culturale: sarti, orafi, incisori, falegnami, maestri d’ascia, mestieri intorno ai quali è cresciuta l’industria del Made in Italy, sono a rischio di estinzione. E con loro il giacimento di saperi sedimentato in secoli, che rende unici artigiani e lavoratori manuali.
D. Perché ha scarso appeal il lavoro manuale, anche quello di qualità?
R. Non possiamo negare che sia in corso una vera e propria crisi di vocazione per il lavoro manuale, per i Mestieri d’Arte, definizione antica e quanto mai appropriata. Tutti vogliono essere stilisti o designer, ma nessuno prende in mano gli attrezzi di un orafo o di un cesellatore. Potrebbe forse pesare la tradizione umanistica del nostro impianto formativo, che relega il lavoro manuale in un piano di inferiore dignità. Per sfatare questo luogo comune Altagamma 3 anni fa ha realizzato una campagna per rivalutare i Mestieri d’Arte, intitolata «Il successo nelle mani», con uno short movie indirizzato ai giovani delle scuole medie e alle loro famiglie, per convincerli che i lavori manuali sono una scelta di prim’ordine. Abbiamo mostrato l’entusiasmo, la passione e l’abilità di questi professionisti, e come il successo delle loro aziende sia fondato sulla loro arte. Abbiamo collaborato con Italia Lavoro per il progetto Botteghe di Mestiere, che mira ad insegnare ai giovani un mestiere e a specializzarsi nei principali comparti del Made in Italy. Le aziende che si propongono come «botteghe di mestiere» operano nei comparti produttivi della tradizione italiana.
D. Come vede l’acquisizione di marchi italiani da parte di gruppi stranieri?
R. Dipende dalla mancanza di liquidità delle nostre imprese, da investire nei mercati mondiali. Non è una tendenza drammatica quando chi acquista investe nel brand mantenendo in Italia creatività, progettualità e manifattura. Sarebbero preferibili acquirenti italiani, ma Gruppi simili non ve ne sono. Conta però che per un’azienda venduta ne sorgano tre o quattro nuove.
D. Quali programmi ha Altagamma?
R. L’anno scorso il presidente Andrea Illy ha proposto due progetti, accettati dai soci: Panorama, padiglione fuori dell’Expo 2015, nel quale i visitatori troveranno bellezze italiane, naturali, artistiche e manifatturiere; e Italian Style Itineraries per il turismo di fascia alta, le imprese di Altagamma e i luoghi di interesse artistico e naturalistico. 

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