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danilo iervolino: unipegaso, Un’università a chilometro zero che proietta nel mondo

Danilo Iervolino, presidente  dell’Università telematica Pegaso

A trentasette anni è il più giovane europeo al vertice di un’università. Ma a lui piace precisare che Unipegaso, ateneo online - 35 sedi in Italia e 15 in imminente apertura all’estero - istituito nel 2006, l’aveva progettata già nel 2004, quando di anni ne aveva ventisei. Lui è Danilo Iervolino, classe 1978, con alle spalle una famiglia d’imprenditori napoletani impegnati da anni nella formazione. È indubbio che l’intuito negli affari possa essere genetico. Ma la sua, egli spiega, è un’idea da autodidatta, nata da un’esperienza personale. Alla quale si è avvicinato alla luce della sua idea di «nuova imprenditoria»: vale a dire, «coniugando lo spirito della libera iniziativa con il sano pragmatismo dei capitani di ventura del XXI secolo». Nemici da abbattere, l’immobilismo in tutte le sue forme e, naturalmente, ogni forma di resistenza alla tecnologia, soprattutto se applicata al web. «Il sapere–sintetizza–deve arrivare a tutti e la formazione online attraversa trasversalmente ogni tipo di barriera, di luogo e di tempo». 
Domanda. Partiamo dall’inizio. Come nasce l’idea di dare vita a una università online?
Risposta. Tutto nacque in seguito a un mio viaggio in America. In quel periodo negli Stati Uniti i modelli di formazione online stavano assumendo rilevanza crescente e molta considerazione nell’opinione pubblica. Tornato in Italia, volli sapere tutto sull’argomento convinto com’ero, ormai, che la chiave di volta fosse quella di farsi interprete consapevole del cambiamento epocale avvenuto nel settore dell’information technology. E scoprii che, se da un lato esisteva una normativa che consentiva questo tipo di attività, c’era però anche un vulnus, visto che nessuno stava investendo in questo settore. Settore che già nel resto d’Europa, attraverso la cosiddetta «open university», era molto diffuso, ma che da noi non esisteva ancora. Così misi a punto un progetto diverso rispetto a tutti gli altri, con in più quello che io consideravo un grande vantaggio competitivo: creare una università che costituisse una rottura, un corto circuito rispetto all’ingessatura, all’autoreferenzialità, all’immobilismo delle università tradizionali. Cosa non sopportavo? Quel mondo paludato in cui si creava accademia dall’accademia per l’accademia. Un mondo a sé, quindi, scollegato dalle professioni, dal mondo del lavoro e anche, paradossalmente, dai giovani. I quali, poveretti, in mezzo migliaio alla volta si recavano alle lezioni dei grandi atenei dentro cinema gremiti all’inverosimile. 
D. Lei che tipo d’immagine voleva contrapporre a quella?
R. Quella di una realtà totalmente antitetica: agile, snella, ubiqua, tecnologica e qualitativa. Le parole chiave della mia filosofia manageriale. Io volevo dunque contrapporre a quell’immagine, che molti studenti ed ex studenti conoscono bene, quella di un mezzo veloce, immediato, adatto ai giovani come ai più anziani. Non riuscivo a capire perché da noi la mentalità stentasse a cambiare.  
D. Quindi ha dovuto fronteggiare anzitutto un problema culturale? 
R. Esattamente. Negli Stati Uniti avevo avuto modo di osservare che la telematica veniva usata già in quegli anni anche per rispondere a esigenze precise e a messaggi positivi, che ancoravano le persone al proprio Paese: «Il tuo territorio ha bisogno di te. La tua gente ha bisogno di te. Studia, migliorati e produci. E fallo restando comodamente a casa tua, dove hai le tue radici e dove vivono le persone che ami». Il concetto era un po’ questo e a me parve assolutamente rivoluzionario per la nostra mentalità. In Italia ancora si ragiona all’opposto. Sembra quasi che gli studenti, quanto più lontano vadano a prepararsi, tanto più merito acquistino in base ai chilometri percorsi. E non ci rendiamo conto che quello slogan americano con i valori positivi che contiene ha condotto università tra le più prestigiose nel mondo, come Stanford, ad avere trecentomila studenti online. Oggi però anche in Italia, dopo anni in cui sembrava difficilissimo immaginare un cambio radicale di mentalità, qualcosa si muove. 
D. Che cosa sta cambiando?
R. Negli ultimi anni la telematica, anche ai nostri occhi, è diventata «cool», termine con cui gli americani indicano qualcosa che non solo è di moda, ma è penetrante, è attuale, moderno, aderente al nuovo e proiettato verso il futuro. Che cosa è accaduto? Che un po’ tutti hanno capito il senso di questo straordinario potenziale, che permette di fare formazione di qualità attraverso una piattaforma didattica che consente la massima flessibilità e soprattutto la massima personalizzazione dello studio. Quindi anche gli ordini professionali, i sindacati e le forze produttive hanno capito che per fare formazione di qualità, immediata per tutti e a livello omogeneo non c’era che una risposta. 
D. E lei l’ha data fondando l’Università Telematica Pegaso. 
R. Pegaso incarna tutti questi requisiti. Un’idea che non poteva che venire ed essere sviluppata da una mente giovane. Sono felice di essere il più giovane fondatore di un’università telematica. Nella visione d’insieme, ho posto lo studente in una posizione centrale. Basta con i docenti sul piedistallo, il rapporto deve essere persona a persona e l’obiettivo, sostanzialmente uno: la competenza dello studente. Che arriva meglio se oltre al passaggio di informazioni c’è anche carica umana, rapporto diretto, motivazioni, le quali sono appannate in un mondo autoreferenziale e distaccato.  
D. Oltre a questa filosofia di base, quali gli altri punti cardine della didattica online?
R. Parlare la lingua dei giovani e della comunicazione. Seguire l’evoluzione dei canali di comunicazione. Essere collegati e aggiornati continuamente e favorire al massimo il rapporto diretto e immediato docente-studente. Siamo l’unica università a formare attraverso i canali non formali, ad esempio con il «game-learning». Siamo i primi su Facebook e su Twitter.
D. Sul piano pratico, che cosa accade a chi si iscrive ad un corso di laurea online? In che consiste la vita universitaria nella facoltà virtuale? 
R. I corsi vengono seguiti in modalità telematica attraverso due strumenti principali. Il primo è l’auto apprendimento: lo studente guarda i video, esegue i test di autovalutazione, studia gli appunti e magari li correda con slides e grafici. Poi c’è la parte interattiva: lo studente interagisce con il «tutor», figura fondamentale del corso formativo con il docente e con gli altri studenti dello stesso corso, verifica il proprio grado di preparazione confrontandosi con loro, compie un bilancio di competenze. La vera opportunità è l’orientamento non solo in entrata ma anche in uscita. Questo perché a parità d’intelligenza, due ragazzi provenienti da due famiglie diverse - uno ricco e con buoni esempi in famiglia, l’altro proveniente da un contesto di gravi problemi economici ed esempi negativi - non avranno le stesse esigenze formative. Di qui l’importanza di figure come i «counselor», che in un caso più problematico dovranno lavorare particolarmente su aspetti come l’autostima, la fiducia, la motivazione. Nelle università tradizionali c’è un docente da un lato e una pluralità di studenti dall’altro, da noi invece il rapporto è molto più articolato. Nel progetto formativo intervengono diverse figure: il docente, l’assistente, il tutor disciplinare, il tutor di sistema, il mentore, i manager didattici. La struttura formativa, che si può immaginare «banalizzata» dal veicolo online, è invece all’opposto molto più complessa; solo in questa chiave si può offrire infatti il meglio delle potenzialità dell’università telematica.
D. Parliamo ora di numeri. 
R. Pegaso è cresciuta in modo esponenziale, passando negli ultimi tre anni da tremila a tredicimila studenti sui corsi di laurea, e da cinquemila a venticinquemila sui corsi post lauream. 
D. Quanti corsi sono attivi? E quante sedi?
R. Abbiamo 35 sedi in tutta Italia. Quindi un aspetto molto consistente visto che parte della mia filosofia ispiratrice è proprio l’università a chilometro zero. Nessun nostro studente infatti deve percorrere più di 150 chilometri per sostenere l’esame. Per quanto riguarda l’offerta formativa, abbiamo 9 corsi di laurea, 59 master, l’ultimo nato è quello in Giornalismo, e 172 corsi di alta formazione. 
D. Come avviene sul piano pratico la fruizione delle lezioni da parte degli studenti? 
R. Si inizia con l’attività cosiddetta «asincrona», cioè lo studente scarica le lezioni e gli appunti, lavora su slide, elaborati e test di autovalutazione. Questa è una fase che ognuno può gestire da solo, quando vuole e da qualsiasi posto in cui si trovi. Poi il contatto con docenti e studenti avviene attraverso il sistema di videoconferenza, le chat, le community e i blog. Il più grande serbatoio di comunicazione nel mondo è oramai Facebook e la comunicazione per eccellenza avviene sul web. È lì che gli studenti parlano tra di loro, si confrontano sulle materie da studiare, diventano amici e alimentano le discussioni sui blog e sulle communities, prendono spunto da una chiacchierata fatta in conferenza con un docente o gli mandano un’email per rappresentare un problema. Insomma, il contatto tra studente e docente e tra singolo studente e community non manca mai, anche se non si vede ed è, appunto, telematico. 
D. Studiare in università privata resta comunque un lusso. Vale anche per la vostra? 
R. Da noi con duemila euro l’anno - grazie anche alle tantissime convenzioni attivate - lo studente paga l’anno accademico dalla A alla Z, compresi i materiali didattici. Non stiamo parlando dei costi delle università private americane, qui da noi il costo è di poco superiore a quello di un’università statale e i vantaggi logistici e di tempo sono senza prezzo, poiché anche chi è impegnato in attività lavorative può, organizzandosi opportunamente, laurearsi con profitto e magari anche proseguire con il master.
D. I numeri di utili e di fatturato sono in forte crescita. In che modo e con quali priorità guarda al futuro? 
R. Innanzitutto vogliamo impegnarci con determinazione e obiettivi ambiziosi in un settore che ci sta molto a cuore, quello della ricerca. Per questo portiamo avanti diversi progetti in collaborazione con altre prestigiose università americane ed europee. Abbiamo siglato un accordo con l’Unione Italiani nel Mondo con un obiettivo preciso: promuovere l’immagine del nostro Paese attraverso una serie di attività formative erogate in «pillole»: dalla letteratura all’arte alla cucina e tutto quanto fa del nostro Paese l’emblema della creatività. In secondo luogo, intendiamo portare oltre i confini nazionali la cultura italiana attraverso l’imminente apertura di 15 sedi all’estero. Iniziamo subito con Inghilterra, Usa, Turchia e Brasile.
D. Il progetto delle sedi che state per aprire in altri Paesi è destinato agli italiani che risiedono all’estero?
R. Prevalentemente sì, visto che gran parte dei corsi si svolgerà in lingua italiana. Si tratta del primo progetto del genere realizzato da un’università privata italiana. Ma a proposito di futuro, c’è un’altra novità da sottolineare. Abbiamo lanciato il primo rivoluzionario software per la navigazione internet e ora stiamo per lanciarne altri tre che sono ancora in una fase sperimentale. Insomma vogliamo anche candidarci come università, mi passi i termini, che ingegnerizza, «prototipizza», inventa nel settore del web, settore a cui voglio dare più che posso, visto che è stato la chiave del successo della mia idea.    

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