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Marcello Clarich: lo scopo delle fondazioni è locale, ma questo non basta

Marcello Clarich, presidente della Fondazione Monte dei Paschi

«La Fondazione Monte dei Paschi di Siena trae la sua origine dalla banca ma adesso si concentra sempre più nei settori della cultura, della scienza, dello sviluppo e del territorio. Le fondazioni all’inizio avevano due anime: una prevalentemente economica, e l’altra no profit»

Marcello Clarich (Casale Monferrato, 21 luglio 1957) è professore ordinario di diritto amministrativo, avvocato cassazionista, presidente della Fondazione Monte dei Paschi di Siena e dell’Accademia Musicale Chigiana di Siena. Dal 1999 è professore ordinario di Diritto Amministrativo presso il Dipartimento di Scienze Giuridiche della Luiss «Guido Carli» di Roma. Dal 2009 al 2012 ha fatto parte della Commissione istituita presso il Consiglio di Stato per la redazione del Codice del processo amministrativo. Nel 2012 è stato Componente della Commissione di Studio istituita dal Presidente della Corte dei Conti per l’elaborazione di un progetto di riforma di quest’ultima. Dal 2012 al 2014 è stato Commissario straordinario dell’Istituto per il Credito Sportivo in Amministrazione Straordinaria, nominato dalla Banca d’Italia. Collabora dal 1991 con il gruppo editoriale de Il Sole 24 Ore. Dall’11 agosto 2014 è succeduto ad Antonella Mansi alla presidenza della Fondazione Monte dei Paschi di Siena.

Domanda. Dal giorno della sua nomina, quante cose sono cambiate?

Risposta. Ho iniziato come presidente della Fondazione a metà agosto dello scorso anno; nei mesi precedenti, la Fondazione era scesa -tramite cessioni sul mercato - dal 33,5 per cento della partecipazione detenuta in Banca Mps al 31 dicembre 2013, al 2,5 per cento; in questo modo è riuscita a salvaguardare una parte del patrimonio quantificata in circa 500 milioni di euro. Il mio predecessore, Antonella Mansi, ha avuto il grande merito, riconosciuto da tutti, di aver salvato la Fondazione che, a fine 2013, era tecnicamente fallita. La precedente gestione ha salvato la Fondazione lasciandole ancora un patrimonio che non è più quello di una volta poiché è sceso da 5 miliardi a 500 milioni, ma rimane, comunque, una cifra importante. Questa è la situazione che io ho ereditato, con ancora tante questioni da risolvere, perché l’operazione della presidenza Mansi è stata un salvataggio; noi abbiamo assunto le redini ad agosto e abbiamo subito proceduto per la messa in sicurezza del patrimonio residuo. Abbiamo operato una ricognizione delle società partecipate dalla Fondazione Mps per vedere se esse erano ancora sostenibili; da qui è emerso che non potevamo più mantenere in vita una società, la Siena Biotech, che è stata posta in liquidazione ad inizio 2015. È stata questa la prima importante decisione per la messa in sicurezza dell’Ente: la società altrimenti avrebbe continuato a chiedere un supporto finanziario alla Fondazione per svariati milioni di euro e noi non eravamo più in condizione di sostenerlo. È stata una decisione molto dolorosa e sofferta che, però, ha consentito alla Fondazione Mps di evitare un’emorragia di risorse. Alcuni dei dipendenti della società hanno trovato un nuovo impiego attraverso una collaborazione con la Fondazione Toscana Life Sciences di Siena.

D. Ma cosa ha portato a questa débacle?

R. La Fondazione è arrivata a questa situazione a seguito delle vicende legate all’acquisizione di Banca Antonveneta da parte di Banca Monte dei Paschi. La Fondazione, per sostenere finanziariamente l’operazione, si è indebitata in modo non sostenibile. Banca Monte dei Paschi acquistò Banca Antonveneta pagandola in contanti e chiedendo ai soci di immettere nuove risorse finanziarie attraverso aumenti di capitale. La Fondazione aveva assecondato simili richieste, ma indebitandosi a sua volta in modo non sostenibile. La situazione è diventata particolarmente critica e ad un certo punto le banche creditrici potevano escutere la nostra partecipazione in Banca Mps che sarebbe sostanzialmente rimasta con un valore pari allo zero. Per la definitiva messa in sicurezza dell’Ente ci siamo posti il problema di evitare ulteriori emorragie di risorse. Da qui la decisione, sottolineo, molto dolorosa di interrompere il sostegno finanziario alla nostra società strumentale che si occupava di biotecnologie e che allo stato attuale non aveva prodotto risultati commerciali sul mercato. Dopo vari studi di fattibilità abbiamo ritenuto che questa società non potesse reggere il mercato, e pertanto abbiamo preso la decisione di non avallare ulteriori richieste economiche. Un’altra importante decisione ha riguardato l’affidamento della gestione della liquidità ad un gestore esterno. E qui è cominciato un lavoro durato qualche mese per selezionare il gestore più adatto. La scelta è ricaduta sul gruppo «Quaestio», società che gestisce anche tutta la liquidità della Fondazione Cariplo, e che da diverse comparazioni ci è sembrato il gestore migliore. La nostra seconda operazione, pertanto, è stata quella di investire la liquidità per generare un reddito da erogare per i progetti che andremo a finanziare in futuro. Infine, la terza operazione ha riguardato i rapporti con la Banca Monte dei Paschi in relazione all’aumento di capitale di 3 miliardi conclusosi con successo da pochi giorni. La Fondazione doveva trovare una soluzione nel presupposto che si trattasse di un investimento positivo e conveniente sul piano finanziario. E questo è stato dimostrato dal fatto che l’aumento di capitale è stato sottoscritto per intero dal mercato e quindi noi, come Fondazione, abbiamo compiuto un’operazione di mercato, abbiamo creduto nella banca come lo hanno fatto tanti altri investitori, con l’esigenza però di non concentrare troppo la nostra partecipazione e il nostro patrimonio in un unico asset finanziario. Infatti se avessimo sottoscritto l’aumento di capitale per la nostra precedente partecipazione del 2,5 per cento, avremmo avuto un esborso di liquidità di 75 milioni e cioè del 15 per cento del patrimonio, una cifra troppo importante. Abbiamo, da un lato, venduto sul mercato prima dell’aumento di capitale l’1 per cento circa - a seguito dell’autorizzazione preventiva del Ministero dell’Economia ricevuta in tempi rapidi - e, successivamente, abbiamo aderito all’aumento di capitale per la restante quota dell’1,55 per cento: in questo modo abbiamo sottoscritto l’aumento senza ulteriori eccessivi esborsi finanziari.

D. E pensate di aumentarlo? 

R. No, penso rimarremo all’1,55, anche perché la quota ci consente di essere ancora presenti nella compagine azionaria anche attraverso eventuali patti parasociali cui noi avremo la possibilità di ricoprire un qualche ruolo insieme agli altri e di essere presenti a garanzia del legame fra banca e territorio senese, come previsto dal nostro Statuto. Uno dei possibili rischi è che con le ipotesi di aggregazioni o fusioni all’orizzonte tutte le strutture presenti a Siena potrebbero essere smantellate con inevitabili ricadute negative sull’occupazione nel territorio. Nei limiti del possibile la nostra partecipazione punta anche a cercare di guidare o di essere coinvolta in simili processi per la tutela del rapporto banca e territorio. Compito molto difficile con una partecipazione così piccola, ma il nostro sforzo sarà indirizzato verso un giusto equilibrio tra l’investimento nella Banca e la salvaguardia del rapporto con il territorio, evitando concentrazioni del nostro patrimonio su un unico asset. La quarta direttiva importante è stata la riorganizzazione della struttura interna della Fondazione in linea con la nuova mission. La Fondazione, infatti, non concederà solo elargizioni finanziarie, ma anche conoscenze professionali, know how, progettualità innovative e concentrerà le risorse su pochi ma importanti progetti attraverso il meccanismo della partnership pubblico-privato per la cogestione dei progetti. Il nuovo modello che noi vorremmo implementare prevede l’intervento di risorse solo se coinvolti nel progetto, nell’ideazione e attuazione anche tramite il nostro personale. Si tratta di un passaggio importante: da una fondazione «granting» ad una «operating».

 

D. E quali sono questi progetti che pensate di portare avanti?

R. I progetti sono e saranno quelli richiesti dalle istituzioni del territorio, in particolare nei settori della cultura e della musica. Un esempio su tutti l’Accademia Chigiana, da me presieduta, che è un progetto proprio della Fondazione, la quale è fortemente impegnata con risorse finanziarie. Infatti, nel 2015, la Fondazione ha sostenuto la Chigiana con un milione e 250 mila euro.

D. E cosa fa esattamente la Chigiana?

R. L’Accademia Chigiana vanta una lunga tradizione sia nella didattica con una scuola di alta formazione con corsi prevalentemente estivi tenuti da maestri internazionali e rivolti a giovani promettenti di tutto il mondo, sia nella concertistica. Dalla Chigiana sono passati tutti i grandi maestri attuali come i violinisti Salvatore Accardo, Uto Ughi, il direttore d’orchestra Zubin Mehta e molti altri. Nel 2015 ricorrono i 50 anni dalla scomparsa del conte Guido Chigi Saracini, fondatore dell’Accademia Chigiana per cui sono in programma numerose iniziative volte a commemorare un grande mecenate per Siena e per il mondo musicale. La stagione estiva 2015 è un vero e proprio festival che si svolgerà a Siena, ma anche in altri luoghi della provincia senese dove, oltre ai maestri, suoneranno anche gli allievi dell’Accademia creando, così, ricadute positive sull’indotto dell’economia del territorio.

D. Quindi lanciate anche gli artisti?

R. Il compito della Chigiana è aiutare i giovani talenti ad accrescere e perfezionare la formazione musicale attraverso lezioni e concerti con i grandi nomi del panorama musicale contemporaneo. La Chigiana sostiene la crescita professionale dei giovani artisti anche mettendo a disposizione alcune borse di studio.

D. Chi sono i maggiori sponsor?

R. Quest’anno con la modifica dello Statuto della Chigiana abbiamo aperto anche agli sponsor privati. Dopo la Fondazione Monte dei Paschi, il primo sponsor privato è il Credito Fondiario che è anche il nostro consulente finanziario; a seguire la Banca Monte dei Paschi di Siena, seppur con minori risorse rispetto al passato. Ultimamente stiamo cercando di imitare i modelli del Teatro La Scala di Milano e dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia di Roma. La Chigiana è tuttora impegnata in un’opera di rilancio che è partita con la nomina del nuovo direttore artistico, il Maestro Nicola Sani, che è anche sovrintendente del teatro Comunale di Bologna. È stato anche compiuto un restyling del logo e dell’immagine complessiva.

D. La Fondazione Mps è impegnata anche in altre iniziative culturali?

R. Un altro progetto che ci vede impegnati in prima linea nel settore dei beni museali e culturali, in collaborazione con il Comune di Siena, è lo studio di fattibilità tecnico-economica, insieme alla definizione di una nuova forma di governance per il Complesso del Santa Maria della Scala. Siamo però anche impegnati sul fronte della ricerca scientifica e delle biotecnologie. Abbiamo in programma d’intervenire con l’Università degli Studi di Siena, in una logica di rete, affinché il settore farmaceutico e biomedico, tradizionalmente radicato nel territorio senese, sia sostenuto anche da soggetti esterni. Insieme alla Regione Toscana siamo già presenti nella Fondazione «Toscana Life Sciences», che favorisce l’incubazione di nuove start-up in questi settori. La Fondazione Mps nel corso del 2015 ha sostenuto TLS con l’erogazione di un milione di euro. Ci concentreremo sempre di più sui risultati ottenuti, sulla redditività e l’occupazione generate al fine di valutare nuove erogazioni finanziarie. Questo è il modello della nuova Fondazione. 

D. Il carico fiscale è aumentato?

R. È paradossale tassare pesantemente soggetti che sostengono il settore sociale e le infrastrutture di questo Paese. La Fondazione negli anni in cui aveva più risorse, riusciva ad erogare al territorio circa 150-180 milioni di euro, quindi cifre elevatissime; mentre le future risorse per il territorio ipoteticamente non potranno superare gli 8-10 milioni l’anno. Malgrado ciò, anche con queste cifre siamo ancora una delle Fondazioni collocate in una fascia medio-alta del sistema Acri, occupando il 16esimo posto, secondo i dati Acri del 2013.

D. La prima chi è?

R. La Fondazione Cariplo.

D. Quante fondazioni esistono?

R. 85 sono quelle riunite nell’Acri, che le rappresenta. Attualmente siamo la terza fondazione in Toscana dopo Firenze e Lucca, al pari più o meno di Pisa. Ricordo sempre che molte città oggi vorrebbero avere una fondazione come la nostra. Dovremmo dimenticare quello che è stato il passato e sapere che quanto è rimasto non è poi così disprezzabile e proprio su questo va costruito il futuro della nostra Fondazione. 

D. Come nasce una fondazione?

R. Le fondazioni di origine bancaria, come la nostra, sono nate a seguito di un iter legislativo della legge Amato - Carli del 1990 la quale, per favorire la trasformazione degli istituti di credito pubblici in società per azioni separò la gestione finanziaria da quella filantropica. Nacquero così le fondazioni di origine bancaria a cui inizialmente fu conferito il 100 per cento delle azioni delle banche. Successivamente si è avviato un processo di dismissioni favorito sul piano fiscale e legislativo. L’ultimo step legislativo è rappresentato dal protocollo Mef-Acri firmato nell’aprile scorso che impone un’ulteriore separazione tra fondazione e banca. Possiamo affermare che le fondazioni traggono origine dalle banche: inizialmente avevano un’anima in prevalenza economica, mentre adesso i loro impegni sono concentrati sempre più nel settore no profit, della cultura, della ricerca e dello sviluppo del territorio.

D. E i proventi da dove vengono?

R. Principalmente dalla gestione del patrimonio. Affidando parte della nostra liquidità alla società «Quaestio», che utilizza un sistema sofisticato con buoni risultati, ci auguriamo di poter finanziare in futuro i progetti del territorio. Nei prossimi anni auspichiamo un ritorno dei dividendi della Banca.

D. Quindi oggi in pratica vivete delle vostre risorse?

R. Sì. Le nostre linee programmatiche prevedono anche la funzione di fundraising, vale a dire la capacità di attrarre e rendere disponibili, a supporto dei progetti della Fondazione, risorse finanziarie alternative e complementari a quelle internamente generate. 

D. Avete mai pensato di riunire tutti i presidenti delle varie fondazioni?

R. Già c’è un’associazione cui aderiscono le fondazioni bancarie: è l’Acri, presieduta da Giuseppe Guzzetti.

D. Per avere un obiettivo e un programma comune?

R. C’è l’idea di fare rete e di avviare progetti comuni. Le fondazioni hanno istituito la «Fondazione con il Sud», alleanza tra le fondazioni di origine bancaria e il mondo del terzo settore e del volontariato per promuovere l’infrastrutturazione sociale del Mezzogiorno, e favorire percorsi di coesione sociale per lo sviluppo. La Toscana ha 11 fondazioni, in altre parti del territorio italiano sono storicamente assenti come ad esempio il Sud dove non ci sono più due grandi istituzioni bancarie quali il Banco di Napoli e il Banco di Sicilia.

D. Potreste aprire la Fondazione nel Sud?

R. La mission delle fondazioni è strettamente legata al territorio di riferimento. Questo non esclude la possibilità di fare rete per progetti di comune interesse. Con l’istituzione della «Fondazione con il Sud» si è riconosciuta l’esigenza di riequilibrare una situazione sbilanciata.

D. E nel campo sociale avete pensato di fare beneficenza, supportare ospedali, immigrati e attività varie?

R. Nel 2015 abbiamo sospeso tutte le attività di erogazione rivolte alla progettualità terza nell’ottica di ripartire dal 2016 con una nuova progettazione. La Deputazione Generale, organo predisposto all’indirizzo programmatico dell’Ente, sia pluriennale che annuale, in autunno comincerà la stesura delle linee strategiche per l’attività istituzionale e per definire i settori dove concentrare maggiormente le nostre attenzioni. Quindi non è da escludere che l’ambito del sociale rientri nelle priorità, ma è ancora tutto da verificare.

D. C’è qualcos’altro che vuole dire?

R. La Fondazione Mps ha organizzato lo scorso giugno un incontro pubblico, trasmesso anche via streaming, con la comunità di riferimento invitando le persone a parlare del rapporto tra la fondazione e il territorio. Si è trattato di un momento di ascolto, di confronto, che ha offerto anche spunti di riflessione e infine raccolta di idee tramite una consultazione on line che si è chiusa lo scorso 15 luglio. Nell’ottica di massima trasparenza, produrremo un resoconto delle proposte che sarà pubblicato sul nostro sito. È la prima volta che una fondazione organizza un simile evento e abbiamo potuto contare sulla presenza del segretario generale dell’Acri, Giorgio Righetti, che ha illustrato i passi salienti del protocollo Mef-Acri. L’evento è stato moderato dal giornalista de Il Sole 24 ore Gianfranco Fabi.                                   

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