PAOLO ARULLANI: CAMPUS BIO-MEDICO, 20 ANNI AL SERVIZIO DELLA PERSONA
Laureatosi con il massimo dei voti nel 1962 in Medicina e Chirurgia all'Università Sapienza di Roma, il prof. Paolo Arullani cominciò l'attività come assistente dei professori Cataldo Cassano e Aldo Torsoli, specializzandosi in Gastroenterologia e in Medicina Interna e assumendo la docenza in Semeiotica Medica. Si trasferì poi a Milano dove, tra gli altri incarichi, fu nominato consigliere di amministrazione della Fondazione Rui e dell'Istituto di Cooperazione Universitaria (ICU). Nel 1989 dette vita al Comitato tecnico e organizzativo per la creazione dell'Università Campus Bio-Medico di Roma, con l'intento di realizzare un sistema d'insegnamento più al servizio degli studenti e un Policlinico universitario in grado di operare secondo i principi di una «medicina più umanizzata», caratteristica che ha distinto in seguito tutta l'attività del Campus Bio-Medico. Assuntane nel 2001 la presidenza, ne ha guidato la realizzazione e la gestione, portando l'Ateneo tra i primi posti nel panorama accademico italiano.
Domanda. Qual è il ruolo che attribuisce al Campus Bio-Medico?
Risposta. Come dice il nome stesso, il Campus Bio-Medico è nato per rispondere a bisogni di assistenza sanitaria con l'obiettivo non semplicemente di curare, ma di prendersi cura della persona in tutti i bisogni che un paziente manifesta nel momento della malattia e della sofferenza. Questo compito resta per noi oggi centrale. Come ogni università, siamo nello stesso tempo chiamati a rispondere al bisogno di preparare il futuro. La società ci chiede di formare nuove classi dirigenti e nuove generazioni di professionisti. È un compito culturale che tocca da vicino il lavoro dei docenti e l'impegno di promuovere nel Paese la ricerca, l'innovazione e l'impresa. In questi primi vent'anni di vita del Campus Bio-Medico abbiamo sempre, poi, ritenuto importante mantenere strettamente collegate ricerca, didattica e assistenza, e integrare tra loro i corsi di laurea in un unicum che rappresenta la nostra specificità.
D. In che consiste l’integrazione?
R. Abbiamo lavorato intensamente, per sviluppare corsi di formazione e di ricerca che chiedessero ai docenti d'interagire molto tra loro. Volevamo evitare che i singoli corsi d'insegnamento e gli esami si riducessero a episodi isolati tra loro, a scapito di una formazione integrale degli studenti. Oggi abbiamo studenti di Ingegneria biomedica che apprendono il linguaggio e i problemi della medicina in corsi integrati all'interno della Facoltà di Medicina e nei reparti ospedalieri. Di contro abbiamo medici che sottopongono ai nostri ingegneri i bisogni che emergono giorno dopo giorno nell'attività terapeutica. Da quel dialogo tra figure professionali diverse che parlano una lingua comune, nascono le soluzioni tecnologiche che permettono di curare meglio e spesso in modo anche più economico ed efficiente. Sul fronte della ricerca, per fare un altro esempio, abbiamo affidato il coordinamento degli investimenti a un organismo di governo dedicato. In questo modo, abbiamo le condizioni per coordinare gli interessi e le competenze delle singole unità di ricerca in un disegno complessivo che permetta di convogliare l'attività dei laboratori verso obiettivi comuni, ottimizzando le risorse disponibili.
D. Come ottenete un comportamento omogeneo del personale?
R. Avendo un fine ultimo chiaro e condiviso. Quando affermiamo che la nostra mission è la centralità della persona, caratterizziamo il rapporto della struttura con gli studenti nella didattica e con il paziente nell'attività sanitaria. La realizzazione di questa mission interpella tutti. Un ospedale accogliente e attento alla persona non dipende solo da medici e infermieri, ma anche dal personale dei desk d'informazione, che fornisce le prime risposte in modo non sbrigativo, o dal personale addetto agli arredi e alle pulizie, che lavora ogni giorno per garantire ambienti piacevoli. In questo gioco di squadra intorno al valore della centralità della persona si realizza l'alleanza terapeutica tra struttura, personale e paziente.
D. Qual’è la struttura sanitaria migliore per il malato?
R. Non c'è una struttura migliore di altre. Ambulatori, ospedali e strutture per la lunga degenza rispondono tutte nel modo più adeguato a differenti bisogni del paziente, secondo la complessità delle cure di cui necessita. Oggi dobbiamo congedarci da una concezione ospedale-centrica del sistema sanitario, riducendone in questo modo anche i costi. Non di meno, i Policlinici universitari restano la risorsa più preziosa per il Servizio Sanitario Nazionale, perché sono le uniche strutture in grado di affrontare le patologie più complesse e sono anche il motore della ricerca in medicina. Queste caratteristiche, tra l'altro, non possono essere eguagliate da cliniche private. In una nuova fase storica in cui il Servizio Sanitario Nazionale non potrà soddisfare le esigenze di tutti e si accentuerà il ruolo delle assicurazioni private, credo che i Policlinici debbano sviluppare sistemi più aperti al privato.
D. In che modo viene compiuta la selezione del personale?
R. Quando muovevamo i primi passi e i numeri del personale erano ancora ridotti, chiedevo ai candidati: «Hai un sogno nel cassetto? Se sì, vieni a lavorare con noi, lo realizzeremo insieme». Tuttora cerchiamo una salda motivazione: persone che lavorano per un ideale da realizzare e che sono contente di farlo. Il Campus Bio-Medico è nato grazie a una serie di persone che sono state dei pionieri e hanno sfidato la sorte. Non tutti credevano in quest'avventura. Il mio maestro, professor Aldo Torsoli, annunciò in un articolo che nasceva non una nuova università, ma un'università e un policlinico di tipo nuovo, ispirati alla centralità della persona e all'integrazione tra ricerca, assistenza sanitaria e didattica. Ritengo che abbiamo mantenuto questa promessa e lo provano il buon nome che ha il Campus Bio-Medico, gli studenti che chiedono di esservi ammessi, il grado di soddisfazione dei pazienti.
D. Cosa chiedete agli studenti?
R. Il numero di posti disponibili per ogni primo anno di corso è stabilito dal Ministero dell'Università e la selezione è regolata per legge da test di ammissione. I test hanno pregi e difetti. Noi cerchiamo di supplire in particolare ai limiti delle prove scritte, svolgendo anche colloqui orali, che hanno lo scopo di valutare le potenzialità di apprendimento e gli aspetti motivazionali del candidato. Ma non possiamo ammettere tutti, quest'anno hanno chiesto di iscriversi a Medicina 3.300 studenti, di fronte a 120 posti disponibili. C'è chi sostiene che con il numero chiuso si rischia di creare un'università per élites, ma quando tale numero viene imposto, tutte le università diventano di élite. Occorre accertare, piuttosto, se l'effetto élite sia un bene o un male. È un bene, se consente di aumentare la preparazione, la capacità e la competenza degli iscritti.
D. Come si spiega un'istituzione privata operante in ambito pubblico?
R. Noi a volte ci definiamo «struttura pubblica non statale», perché tutto quello che facciamo ha in realtà una rilevanza pubblica. Di privato c'è solo lo sforzo per ridurre l'onere finanziario che grava sullo Stato. Ricorriamo all'aiuto dei privati attraverso loro partecipazioni azionarie e contributi a fondo perduto. Riteniamo di svolgere nella società un ruolo utile a tutti. Offrire opportunità di formazione ai giovani e cure mediche di qualità ai cittadini sono funzioni d'interesse pubblico.
D. E cosa chiedete alle istituzioni?
R. Il Campus Bio-Medico è nato e continua a crescere come entità no-profit, grazie a investimenti privati con finalità etiche e non di lucro. Quello che offre, lo offre non solo ad alcuni, ma a tutti. I tagli alla sanità ci stanno mettendo inevitabilmente in grandi difficoltà, anche perché colpiscono un settore che già da anni subisce una riduzione di fondi. Sia nel settore pubblico che in quello privato convenzionato ci sono realtà che impiegano nel modo migliore i soldi dei cittadini per restituire loro servizi di qualità, così come ci sono sacche d'inefficienza. Bisogna riuscire a superare la logica dei tagli orizzontali, praticati nella stessa misura su tutto e tutti, per valorizzare le strutture sanitarie che costituiscono un esempio di virtuosità.
D. Può tornare la meritocrazia?
R. Per agire secondo criteri meritocratici è importante che le istituzioni si dotino di strumenti sempre più efficaci nell'analisi di qualità. Siamo convinti che il Campus Bio-Medico abbia dimostrato di essere un progetto virtuoso, incluso il suo Policlinico, che può rappresentare un modello gestionale per una Sanità in equilibrio. Nello stesso tempo siamo consapevoli che questo Governo ha preso in mano il Paese con gravi problemi e con poco tempo a disposizione per raddrizzare la rotta. Nonostante misure sempre più dure, l'atteggiamento del Campus Bio-Medico nei confronti delle istituzioni resta quindi quello di dialogare e comprenderne le ragioni, per trovare insieme soluzioni che permettano di continuare a rispondere ai bisogni di salute della popolazione.
D. Da quanto tempo è presidente del Campus Bio-Medico?
R. Ne ho seguito la realizzazione sin dall'inizio e ho contribuito alla sua crescita. In un primo tempo sono stato consigliere delegato, quando alla presidenza era Umberto Zanni, presidente della Ras, dal quale ho imparato a gestire un'impresa. Il Campus Bio-Medico di Roma prevede però fin dalla sua nascita una doppia conduzione al vertice. Da una parte il Presidente, responsabile ultimo per la gestione economico-amministrativa di tutta l'istituzione. Dall'altra il Rettore, come carica più alta dell'Università.
D. Quali i progetti per il futuro?
R. Nel 2013 inaugureremo sui terreni del campus universitario il nuovo Edificio per la Didattica, allo scopo di mettere a disposizione degli studenti aule, biblioteche e altre strutture didattiche rispondenti al loro numero, che negli anni è cresciuto. Siamo anche in dirittura d'arrivo con il nuovo Centro di Radioterapia presso il Policlinico Universitario, che si affianca a quello già attivo dal 2004 presso il Polo oncologico di Via Longoni. Ci teniamo molto a questo progetto, perché risponde a bisogni urgenti della popolazione nel territorio che copre il nostro Policlinico. Le liste d'attesa sono un disservizio grave, di fronte a pazienti affetti da patologie tumorali, sono un dramma. Continueremo poi a lavorare in futuro allo sviluppo di percorsi terapeutici sempre più integrati con il territorio e con i medici di base. In questo contesto abbiamo avviato negli ultimi due anni il primo Master in Medicina Generale e stiamo sperimentando sistemi di telemedicina, che ci permettono di tenere sotto controllo il paziente a casa, evitando i disagi e i costi di un ricovero. Un altro fronte che continuerà a occuparci nei prossimi anni sarà lo sviluppo di tecnologie robotiche in medicina, grazie alla collaborazione stretta tra i nostri medici e ingegneri.
D. Che occorre per superare questo momento particolarmente difficile?
R. In un momento così difficile, come quello che stiamo attraversando, bisogna guardare al futuro, continuare ad avere progetti e impegnarsi in quella che è una delle prerogative del nostro Paese: la buona sanità. Magari intervenendo di più sulla sua gestione.
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