FELICIO ANGRISANO: LE FUNZIONI ECONOMICHE DI CAPITANERIE DI PORTO E GUARDIA COSTIERA
Il 20 luglio 1865 il re Vittorio Emanuele II firmò a Firenze, allora capitale d’Italia, il decreto istitutivo del Corpo delle Capitanerie di Porto, nato dalla fusione del Corpo di Stato Maggiore dei porti e da quello dei Consoli di Marina: militare il primo, con attribuzioni di carattere tecnico e nautico; civile il secondo, con funzioni amministrative. Da qui nasce la lunga storia delle Capitanerie di porto, che in occasione dell’anniversario ha celebrato a Civitavecchia i 150 anni con una solenne cerimonia. Dal 2013 l’Ammiraglio Ispettore Capo Felicio Angrisano è comandante generale del Corpo delle Capitanerie di porto - Guardia costiera, nella quale nel 1989 si sono costituiti i reparti con natura tecnico-operativa. Oltre ad aver ricoperto molti incarichi, tra cui quello di commissario straordinario delle Autorità Portuali di Napoli e di Bari, membro del Consiglio direttivo di Assoporti, membro permanente del CISM (Comitato Interministeriale di Sicurezza Marittima) e del COCIST (Comitato di Coordinamento Interministeriale per la Sicurezza dei Trasporti e delle Infrastrutture), l’Ammiraglio è autore di diverse pubblicazioni e docente presso l’Accademia navale di Livorno ed alcune università.
Domanda. 150 anni delle Capitanerie di Porto. Un bilancio?
Risposta. Lo scorso luglio il Corpo ha celebrato 150 anni: un Corpo che si è adeguato alle esigenze dei porti e dei traffici marittimi, all’esigenza di chi per lavoro o per necessità va per mare e che dal 1991 a oggi ha vissuto il culto del soccorso dei migranti e dell’accoglienza. Quindi snello, flessibile e moderno che cerca di farsi trovare pronto con il mutare delle esigenze e che produce ricchezza economica perché, come Guardia Costiera, siamo noti per l’attività che svolgiamo nel Canale di Sicilia ma, in qualità di autorità marittima, svolgiamo un compito fondamentale per l’economia del Paese; anche l’ultimo Piano strategico nazionale della portualità e della logistica, le cui linee-guida sono state di recente approvate dal Consiglio dei Ministri, affida un ruolo essenziale al Corpo in quanto primo anello della filiera del trasporto marittimo. La merce, per arrivare in banchina, attraversa una fase preliminare che è legata all’attività da noi assicurata. Ad invarianza di norme, di recente, insieme all’Amministrazione doganale, siamo riusciti a sdoganare le merci 72 ore prima che la nave arrivasse in porto: un successo perché alcuni terminal hanno aumentato la propria capacità ricettiva anche del 35 per cento e meno la merce è nei porti, più essi producono: il tempo, insieme all’affidabilità e alla certezza delle regole, è il fattore che induce un investitore a scegliere i porti italiani. Cerchiamo di perseguire tutti e tre i fattori.
D. Non è stato sempre così. Come è avvenuto il cambiamento?
R. Cerchiamo di essere al passo con le esigenze del datore di lavoro che è l’utenza, alla quale chiediamo come vorrebbe che operassimo per essere elementi di un sistema strategico in grado di far crescere il Paese. Per esempio, nei grandi centri balneari siamo aperti sabato e domenica per le attività amministrative. Così come al Comando Generale - ed è proprio questa l’Italia che piace agli italiani: un’organizzazione che soddisfa le esigenze altrui, capace di rinunciare a qualcosa. Non possiamo che implementare ulteriormente il nostro impegno durante l’estate. All’anno il Corpo costa alle casse dell’erario meno di 60 milioni: per tutto il nostro operato è veramente poco.
D. Non vi sovrapponete alla Marina Militare?
R. Le Capitanerie di Porto dipendono dalla Marina Militare per i compiti militari, per l’ordinamento e per la disciplina ma siamo a bilancio e dipendiamo dal Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti. Nell’audizione del 22 luglio scorso alla Commissione lavori pubblici del Senato il Ministro Graziano Delrio ha ribadito che nel nostro ruolo non ci sono sovrapposizioni di funzioni perché svolgiamo compiti specifici che non possono essere eseguiti da nessun altro. In mare oggi operano la Guardia di Finanza per gli aspetti fiscali, la Marina Militare per gli aspetti di difesa e le Capitanerie di Porto che svolgono attività di tutela delle attività marittime. Quando la funzione necessita del contributo degli altri c’è coordinamento, non sovrapposizione. Nasciamo come Ministero della Marina Mercantile con le due direzioni generali per la Pesca e per l’Ambiente oggi collocate negli specifici Ministeri delle Politiche Agricole e dell’Ambiente; quindi per gli aspetti militari dipendiamo dal Ministero della Difesa ma le nostre tre dipendenze funzionali portano a un risparmio perché da soli riusciamo a fare tre servizi: si pensi se ognuno dei Ministeri citati dovesse tutelare gli 8 mila chilometri costieri con la propria organizzazione.
D. Riuscite a tutelare la costa?
R. Francamente sì, ma non di fronte alle condotte scellerate delle persone; comunque i numeri ci danno grandi soddisfazioni. Il tema di Expo 2015 «Nutrire il pianeta» riassume il nostro compito: contribuiamo nel Mediterraneo a far sì che l’alimentazione ittica si rigeneri, combattiamo l’attrezzatura fuori legge che ne lede la produttività, vigiliamo per evitare gli incidenti delle navi che incidono sulla vita delle persone, sull’ambiente e sulla pesca. Quale organizzazione può reggere questo confronto su chilometri di costa, 24 ore al giorno per 365 giorni l’anno?
D. Come si svolge l’operazione «Mare sicuro 2015» e come contrastare la piaga dell’abusivismo su spiagge e luoghi demaniali?
R. Quest’anno ogni giorno sono impegnate nella vigilanza più di 3 mila persone con circa 150 unità navali. È un’attività che inizia già subito dopo Pasqua con il controllo degli stabilimenti balneari per verificare se vengono costruiti e montati secondo le regole concessorie, poi durante l’estate per esaminarne la regolarità. Altra iniziativa rilevante voluta dal Ministero è costituita dal «Bollino Blu» per le imbarcazioni da diporto: chi l’espone non subisce ulteriori controlli, con il risultato di essere meno oppressivi nei confronti dei diportisti e di avere più tempo per dedicarci alle persone scorrette. Per quanto riguarda l’abusivismo, dal 2002 le funzioni amministrative in merito alla gestione del demanio marittimo sono state trasferite alle Regioni. Le inchieste e le sentenze al TAR o al Consiglio di Stato stanno venendo pian piano a soluzione e nel litorale di Ostia sono stati effettuati abbattimenti che proseguiranno. Questa è la nostra linea, vogliamo tutelare la costa nella sua integrità perché il litorale è fonte di valore: tuteliamo quindi turismo, ambiente, pesca, economia del mare; un compito arduo, ma che siamo capaci di assolvere, perché conosciamo la realtà e le singole esigenze. Non c’è un’amministrazione in Italia che riesca ad essere al centro delle attività economiche del mare come noi su tali temi. Forniamo persino la certificazione necessaria alle navi per poter navigare.
D. Cosa si può imparare dalle Guardie costiere straniere?
R. Sono loro che devono imparare da noi e questo lo posso dire perché fino all’anno scorso ho presieduto il Forum dei servizi delle Guardie costiere europee. Non è mia opinione che tutti vogliano assomigliarci, è la comunità europea che ha riconosciuto l’Italia come eccellenza nella guardia costiera.
D. Le attività di search and rescue (SAR), ossia di ricerca e soccorso, sono tra le più impegnative. Come affrontate l’emergenza in genere e, negli ultimi tempi, quella umanitaria dei migranti in fuga dai loro Paesi?
R. Secondo le convenzioni internazionali, l’intera area marittima è divisa in aree di responsabilità SAR, e ogni Stato ha appunto individuato una propria area di responsabilità, predisponendo uno strumento in grado di soccorrere chi sia in pericolo. In Italia il titolare del soccorso in mare è il Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti e la nostra area può arrivare anche fino a 200 miglia dalla costa, area in cui l’Italia si assume la responsabilità di salvare chi è in procinto di perdersi in mare. Dal 1991 ad oggi abbiamo salvato mezzo milione di persone, 95 mila quest’anno, l’anno scorso 180 mila: noi dobbiamo salvare, senza se e senza ma. Non vogliamo che il Mediterraneo sia un cimitero, ma un mare di vita; sarà però sempre una corsa affannosa alla ricerca di imbarcazioni cariche di disperati. Ma vogliamo risolvere il nostro problema italiano o il problema dell’umanità? Tutti e due, ma serve stabilizzazione internazionale.
D. La missione Triton si è mostrata all’altezza? In cosa differisce nelle conseguenze pratiche da Mare Nostrum?
R. Mare Nostrum è stata una missione svolta solo dall’Italia ed è stato fatto un lavoro egregio che si è concluso; è intervenuta l’Europa e altri Stati europei ci hanno offerto altre imbarcazioni e, grazie ad essi e anche al personale medico del Cisom, il Corpo italiano di soccorso dell’Ordine di Malta, siamo arrivati a salvare 95 mila persone.
D. Avete da poco ricevuto tre elicotteri AgustaWestland per le attività di soccorso?
R. Questi elicotteri sono stati comprati con i fondi dell’Unione Europea; sono già operativi da tempo anche perché urge arrivare prima che il bisogno si manifesti. Salvare vite umane non ha prezzo.
D. Cosa si potrebbe fare per rendere all’altezza delle aspettative il sistema dei porti e in genere delle infrastrutture?
R. I nostri porti sono vecchi e abbiamo potuto constatarlo quando ci siamo trovati di fronte al gigantismo navale, di difficile gestione, ma questo l’avevo previsto già tanti anni fa. Sono molto fiducioso e credo molto nel Piano strategico perché è un buon lavoro che parte dalla banchina del porto e arriva fino alla destinazione della merce ma tutto quello che succede con la nave in porto viene lasciato alla nostra capacità. Vanno equilibrati gigantismo navale e vecchiezza dei porti; quindi stiamo facendo in modo che i nostri porti non escano dal mercato mondiale adottando misure che abbassano o riducono il rischio della manovra, però queste misure costano. Ormai è pressoché unanime il convincimento che dai porti si possa e si debba rilanciare l’economia del Paese.
D. Cosa pensa del passaggio delle grandi navi a Venezia? È più urgente tutelare Venezia o i posti di lavoro collegati alla crocieristica?
R. Io devo tutelare la sicurezza della navigazione e domandarmi se una tale nave può rappresentare un pericolo: potrebbe in effetti costituirlo ma oggi ci sono le condizioni affinché la nave arrivi e riparta. Quindi bisogna, e lo dice anche il decreto Passera-Clini, trovare una strada navigabile alternativa per queste navi; prima si trova, prima il Governo e l’autorità portuale si muoveranno. Abbiamo fatto il nostro dovere senza farci condizionare ma agendo nel perimetro delle nostre responsabilità oltre il quale non ci è possibile andare: adesso spetta al Governo trovare le soluzioni.
D. Come la Guardia costiera tutela i beni archeologici sommersi?
R. Le Autorità Marittime hanno una competenza che deriva dal Codice della navigazione del 1942. Allorquando venga individuato un reperto archeologico il ritrovatore deve farne denuncia all’Autorità Marittima. Dallo stesso ritrovamento derivano provvedimenti interdittivi della zona a cura della stessa Autorità Marittima. La competenza del Corpo ha valenza generale, quella tecnica è mirata ed è in capo al Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e, per esso, alla Soprintendenza per i Beni Archeologici. Le medesime individuano gli elementi di protezione del bene per il possibile eventuale recupero. L’Autorità Marittima è chiamata dunque a ricercare quell’equilibrio che permetta di tutelare gli interessi archeologici, la sicurezza della navigazione, la storia. Solo attraverso l’adozione di adeguate misure di tutela degli interessi pubblici sottoposti a tale specifica salvaguardia è possibile gestire questo inestimabile patrimonio archeologico che il mare di tanto in tanto restituisce.
D. Come impedire la pesca illegale e non sostenibile che rovina l’ambiente, in un mar Mediterraneo sempre più caldo per via del riscaldamento globale e povero di risorse ittiche a causa di pesca eccessiva e inquinamento?
R. Negli ultimi 20 anni c’è stato un salto di educazione nella pesca e abbiamo condotto una lunga lotta alle spadare, reti lunghissime che vengono poi abbandonate, imbrigliando pesci spada, ma anche delfini e capodogli. Questa tecnica è stata bandita e resa illegale e negli ultimi anni abbiamo sequestrato 4 milioni di metri di reti; cerchiamo di anticipare il danno all’ambiente e alla pesca e lo sforzo è diretto a far sì che non si realizzi il comportamento illecito. C’è però da verificare un’altra questione, e secondo me l’Europa dovrebbe pensarci: molti mari sono diventati poveri, ma non solo per il surriscaldamento delle acque, ma anche per una catena alimentare resa disordinata: quando mi dicevano che nel Mar Adriatico non ci sono più i calamari non riuscivo a capire, poi ho scoperto che i tonni, pesci di superficie, quando non trovano più da mangiare scendono in profondità mangiando i calamari, molluschi di fondo; con la riproduzione notevole di tonni si depauperano alcuni settori dell’economia ittica.
D. È soddisfatto? C’è qualcosa che non ha fatto o che vorrebbe concludere?
R. Ho cercato di dare il meglio e il massimo di me stesso, e continuo a tutelare il Corpo. Resterò in carica fino al 30 ottobre in qualità di ammiraglio di squadra, ma a causa degli interventi operati in materia di spending review il prossimo comandante vedrà ridimensionato il proprio grado ad ammiraglio di divisione, mantenendo le stesse funzioni e responsabilità: questo non è un discorso politico e cercherò di ripristinare lo stato precedente che non ho gradito perché per il lavoro che facciamo e per le responsabilità che abbiamo subire questa amputazione secondo me è sbagliato, e questa è l’unica cosa che ancora vorrei fare difendendo il Corpo fino all’ultimo giorno.
D. È soddisfatto di quanto ha fatto?
R. «Stancamente» soddisfatto. La cosa brutta è avere coraggio quando si lavora e alla mia età mi infastidiscono l’ingiustizia e l’offesa dell’intelligenza delle persone. Lo scorso Natale nel messaggio di auguri ho offerto la mia stanchezza, solo quello mi è rimasto.
D. Non ricorda un successo?
R. Vedermi come uomo di successo non è nella mia indole: ho cercato di dare quello che potevo, anche in maniera molto severa. E il mio successo è stato sempre quello di partire dai miei errori facendo un esame di coscienza. Siamo un modello per i giovani e, grazie a chi desiderava che scomparissimo, siamo diventati più uniti e più forti. Quindi il mio successo è essermi sempre guardato dentro per conoscere i miei limiti.
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