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Maurizio Sacconi: si passi dallo statuto del lavoro allo statuto dei lavoratori

Maurizio Sacconi, presidente dell’undicesima Commissione Lavoro  e Previdenza sociale del Senato

Maurizio Sacconi, presidente dell’undicesima Commissione Lavoro e Previdenza sociale del Senato, già ministro del Lavoro, della Salute e delle Politiche sociali nel Governo Berlusconi IV ed ex funzionario di Agenzia Onu, descrive tutti i cambiamenti nel mercato del lavoro.
Domanda. Il Jobs Act, approvato con l’ostilità dei sindacati si sta rivelando utile? Qual è il giudizio sui risultati ottenuti a favore dei giovani e dei precari?
Risposta. Dobbiamo riconoscere che non tutti i sindacati hanno espresso ostilità e che in modo particolare la Cisl, nel complesso, ha dato un giudizio sufficientemente positivo sul complesso dei decreti delegati in attuazione del cosiddetto Jobs Act. I datori di lavoro hanno atteso l’approvazione del primo decreto delegato relativo ai contratti a tempo indeterminato per procedere ad assunzioni con questa tipologia contrattuale, non si sono cioè accontentati dell’entrata in vigore dell’azzeramento dei contributi con il primo gennaio, ma hanno voluto cumulare anche la nuova disciplina dei licenziamenti con l’azzeramento dei contributi stessi a dimostrazione che il provvedimento è stato apprezzato.
D. Quale tipo di datori di lavoro?
R. Ragionevolmente il Jobs Act è stato apprezzato soprattutto dalle imprese più strutturate e dimensionalmente maggiori; non dimentichiamo che lo stesso articolo 18 non si applica al di sotto dei 15 dipendenti. Tuttavia la crescita dell’occupazione esige una più generale e diffusa mobilitazione dei datori di lavoro, dei piccoli imprenditori che chiedono regole semplici e certe. Il Jobs Act non ha avuto il coraggio di utilizzare la delega che pure era stata conferita al Governo per una più forte semplificazione della gestione del rapporto di lavoro, la stessa Commissione Lavoro del Senato aveva suggerito di rivedere molti degli adempimenti in materia di salute e sicurezza nel lavoro seguendo le indicazioni della società italiana di medicina del lavoro. Purtroppo ciò non è accaduto e non si è generata quella semplificazione ulteriore che avrebbe incoraggiato ad assumere le più piccole imprese che meno sopportano il carico della complessità burocratica.
D. Per quale motivo il Governo non ha portato avanti la vostra richiesta?
R. Perché ha una maggioranza nel cui seno sono ancora presenti molti pregiudizi ideologici nei confronti del lavoro, e in particolare delle imprese, pregiudizi che conducono alla complessità delle disposizioni la cui semplificazione richiede invece il coraggio di rimuovere quei pregiudizi e di rinunciarvi.
D. La Commissione Lavoro del Senato da lei presieduta ha lavorato per definire ipotesi legislative a sostegno dei lavoratori per favorire la collaborazione tra impresa e lavoro. A che punto siamo?
R. Abbiamo definito un testo base successivo all’iniziale disegno di legge- delega, testo immediatamente dispositivo, e il Governo ci ha chiesto di attendere l’esito del confronto tra le parti sociali sul rinnovo del modello contrattuale per verificare l’eventuale esigenza di una disciplina sulla rappresentatività e sulle relazioni industriali che sarebbe inserita, a detta del Governo, in questo stesso provvedimento. L’intenzione prevalente nella Commissione è condurre ad approvazione la legge, in quanto contiene quelle modalità di relazione tra lavoratore e imprenditore che devono rappresentare il definitivo abbandono delle logiche conflittuali che hanno caratterizzato il Novecento ideologico: dobbiamo uscire dalla dimensione conflittuale per entrare in quella partecipativa e cooperativa quanto più diffusamente.
D. Lo Statuto dei lavoratori va completato e modernizzato per renderlo coerente con la nuova situazione economica e sociale dominata dalla globalizzazione? È giusto passare dallo Statuto dei lavoratori allo Statuto dei lavori?
R. Il Jobs Act non ha attuato la delega per la redazione di un nuovo testo unico sostitutivo dello Statuto dei lavoratori, anche se ha prodotto pacchetti di norme che sostanzialmente di quello sostituiscono profili importanti; un testo unico che amerei fosse chiamato «Statuto dei lavori» in omaggio all’intuizione di Marco Biagi, utile proprio per un’agevole comprensione e attuazione delle norme. Non dimentichiamoci tuttavia che le grandi sfide che vengono portate al lavoro dalle nuove tecnologie, da quella che è stata chiamata la «seconda rivoluzione delle macchine», richiedono non soltanto un adattamento e una semplificazione delle regole, ma soprattutto una politica del lavoro fondata sull’investimento nelle conoscenze delle competenze delle persone. Questa è la moderna politica del lavoro che muove dalla consapevolezza che gli impieghi routinari sono la gran parte del lavoro italiano e che sono destinati, giorno dopo giorno, ad essere sostituiti dalle macchine intelligenti; noi dobbiamo accompagnare questa migrazione epocale di lavoratori ad un’altra opportunità lavorativa o formarli, in modo tale che essi possano usare appieno le nuove tecnologie.
D. Ritiene che le nuove tecnologie non eliminino il lavoro dell’uomo?
R. Non c’è dubbio che la seconda rivoluzione delle macchine sostituisca spesso l’uomo nella sua dimensione intelligente, tanto quanto la prima rivoluzione lo aveva sostituito nella dimensione fisica. Tuttavia penso a uno scenario ancora aperto a due esiti opposti: quello della mortificazione dell’uomo e quello della sua esaltazione, cioè della sublimazione della funzione umana intellettiva, destinata comunque a rimanere superiore alle macchine. Il problema è investire adeguatamente nelle conoscenze e nelle competenze delle persone, affinché sappiano svolgere funzioni di progettazione, costruzione, manutenzione, gestione di macchine che, per quanto intelligenti, non sono mai del tutto autosufficienti.
D. Quindi dovrebbe essere rivoluzionato anche il mondo dello studio e della scuola?
R. Assolutamente sì. Secondo le indagini dei modelli Ocse sulle conoscenze e sulle competenze, quella italiana è una società debole dal punto di vista della tecnologia e della matematica, deve recuperare quanto prima questi ritardi e saper combinare tutti gli elementi della conoscenza che comprendono inesorabilmente anche e soprattutto queste materie, oltre a quella cultura umanistica di riferimento che è formativa della persona anche in funzione della conoscenza scientifica.
D. Il problema è che le cose non vanno di pari passo perché la tecnologia procede in modo esponenziale.
R. Non c’è dubbio che questa è la sfida cui sono chiamati i decisori, la vera politica del lavoro che sono chiamati a realizzare: una politica di inclusione delle persone nella dimensione delle nuove tecnologie, sapendo che la velocità di queste ultime può essere anche utile per gli stessi processi di apprendimento. In teoria possiamo mettere in relazione tra di loro i cambiamenti tecnologici e i cambiamenti nelle conoscenze delle persone, ma dobbiamo rimuovere gli ostacoli che sono dentro di noi, dentro quelle vecchie ideologie esercitate soprattutto nella scuola e nel lavoro, e che qui hanno saputo dare il peggio di sé costituendo un ostacolo allo sviluppo umano.
D. Se oggi lei avesse un figlio da preparare al lavoro, a quale liceo o università gli consiglierebbe di iscriversi?
R. Credo che dovremmo accompagnare i nostri figli cercando di fare incontrare le vocazioni di ciascuno con le opportunità che ragionevolmente verranno dal mercato del lavoro, il che significa anche un percorso educativo che sappia integrare esperienze pratiche e conoscenze teoriche, che superi cioè la separazione tra scuola e lavoro, che sappia rivalutare anche la manualità fin dalla più giovane età senza le inibizioni ideologiche per cui questo significherebbe lavoro minorile. Cosa che non è, perché deve essere esperienza lavorativa commisurata all’età della persona. Dobbiamo aiutare la persona a cercare dentro di sé le proprie vocazioni, capacità e potenzialità, offrire più percorsi di apprendimento mettendoli tutti sullo stesso piano dal punto di vista della dignità sociale, senza che le convenzioni sociali ci costringano ad imporre a nostro figlio a tutti i costi la scelta liceale. Dovremo comunque incoraggiarlo sempre a scegliere i percorsi più impegnativi, e non quelli illusoriamente più facili nel nome di un pezzo di carta oggi ormai inutile ai fini dell’inclusione nel mercato del lavoro.
D. La riforma Fornero sulle pensioni va modificata per renderla più flessibile e favorire il ricambio generazionale?
R. Va integrata quantomeno sotto due profili. Uno è quello di una transizione che essa non ha assolutamente previsto e che ci è costata già 12 miliardi di euro di impegni di spesa per i cosiddetti «esodati». Il che significa una disciplina, immaginiamo, comprendente un arco di 10 anni, che aiuti persone già adulte e vicine ai vecchi requisiti di pensione anticipatamente compensato da una moderata penalizzazione. Possiamo così accettare che la rigidità della maggiore età di pensione possa valere, solo per persone oggi ancora giovani e in grado di attrezzarsi per un più lungo percorso lavorativo, dando anche alle imprese il tempo di organizzarsi per mantenere nel proprio organico ultrasessantenni. Quindi una disciplina transitoria che non modifichi la stabilità di lungo termine del sistema previdenziale, ma che, nell’arco dei prossimi anni, consenta uscite moderatamente anticipate secondo determinati requisiti di anzianità anagrafica e contributiva. L’altro aspetto invece è quello di incoraggiare di più, con agevolazioni fiscali, l’afflusso di risparmio al primo pilastro previdenziale, cioè alla previdenza obbligatoria, in modo da consentire che il lavoratore o il datore di lavoro possano irrobustire la posizione previdenziale individuale attraverso versamenti volontari recuperando in modo modulare periodi di studio, di apprendimento, di non lavoro anche utilizzando il Trattamento di fine rapporto o l’accantonamento della previdenza complementare.
D. Il peso delle tasse va ridotto: quali devono essere le priorità?
R. La riduzione del prelievo fiscale deve rivolgersi prioritariamente alla proprietà immobiliare, al lavoro e alle piccole imprese. La proprietà immobiliare è una caratteristica della società italiana, piaccia o non piaccia, perché il sistema creditizio, le debolezze del mercato immobiliare, il desiderio di radicamento nel territorio che spesso è il territorio dei padri, hanno indotto all’acquisto diffuso e popolare di case, terreni agricoli, negozi, capannoni. L’essere transitati repentinamente da una tassazione di favore a una tassazione di sfavore ha bloccato il patrimonio della nazione, lo ha reso illiquido, ha così contratto e rattrappito la propensione a consumare per la gran parte delle famiglie italiane. Non si tratta solo di azzerare il prelievo fiscale sulla prima casa, ma di costringere le municipalità a una tassazione più moderata sull’insieme della proprietà immobiliare utilizzando i parametri del federalismo municipale, i cosiddetti fabbisogni standard dai quali si possono dedurre degli algoritmi di commissariamento del Comune quando in disavanzo strutturale, bloccandolo così nella sua propensione a scaricare sulla proprietà immobiliare la propria inefficienza. Per altro verso tutto il lavoro - non soltanto le nuove assunzioni a tempo indeterminato - deve essere caratterizzato da un minore costo indiretto, quindi un minore prelievo contributivo strutturale e non deciso per un periodo limitato di tempo. Vi sono contributi che possono essere ridotti per renderli proporzionati alle prestazioni che si ricevono. Mi riferisco ai contributi per l’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni, ai contributi di malattia in molti settori, a quelli per gli ammortizzatori sociali. Superiamo così quella sorta di metadone concentrato sulle nuove assunzioni a tempo indeterminato che contraddice l’esigenza di autosostenibilità del sistema previdenziale, perché carica sul bilancio dello Stato la responsabilità di sostenerlo. Propongo, insomma, di sostituire l’azzeramento dei contributi per i soli contratti a tempo indeterminato con una riduzione di tutto il costo del lavoro, ma di tipo strutturale e permanente. Le piccole imprese infine, specie nella fase iniziale, hanno bisogno di modalità forfettarie, di pagare tasse per cassa e non per competenza, di essere sottratte all’Irap secondo una più corretta definizione della «stabile organizzazione».
D. Il Governo Renzi per la prima casa sta già facendo qualcosa?
R. Sì, però non basta la prima casa perché dobbiamo moderare l’insieme della tassazione immobiliare e ricondurre a una dimensione equilibrata la tassazione sugli immobili anche distribuendola diversamente tra proprietari e inquilini. Per esempio le tasse che hanno a riferimento i servizi locali non possono che essere degli inquilini anche per sollecitare il sinallagma tra il livello della tassazione e la qualità dei servizi.
D. La  contrattazione va cambiata dando più spazio a quella aziendale?
R. In un solo modo: lasciando le disposizioni che ci sono come il famoso articolo 8 sulla contrattazione di prossimità aziendale o territoriale, che può per molti aspetti prevalere sul contratto nazionale e sulle stesse leggi regolatrici del lavoro; e riportando la detassazione del salario deciso da questa contrattazione, cioè quello di «produttività», a un livello sensibile. Abbiamo bisogno di ampliare la platea dei lavoratori che possono beneficiare di questa detassazione, quindi almeno i lavoratori fino a 40-50 mila euro di reddito, come dobbiamo alzare il livello della quota di salario detassabile almeno a 10 mila euro, quanto molti accordi prevedono in favore di operai e impiegati. Questo salario meritato non può essere soggetto all’aliquota marginale, ma deve avere quell’aliquota secca del 10 per cento o anche meno che era stata introdotta e poi è stata così limitata da essere non percepibile. Questo è il modo per incoraggiare lo spostamento della contrattazione dal centro, ai territori e alle aziende.
D. Il diritto di sciopero soprattutto nei servizi va disciplinato e regolato?
R. È urgente regolare il diritto di sciopero nei trasporti; ambito nel quale più si è esercitato un inaccettabile ricatto di segmenti sindacali poco rappresentativi perché devono essere tutelati i diritti alla mobilità delle persone. Più in generale dovremmo proteggere gli utenti dei beni pubblici come i visitatori dei siti archeologici. Vi sono proposte di legge, una mia e una del senatore Pietro Ichino, il cui esame è iniziato presso le Commissioni Affari costituzionali e Lavoro del Senato, rivolte a richiedere una verifica di rappresentatività dei soggetti che proclamano lo sciopero e tutelare meglio gli utenti con la conoscenza preventiva degli scioperanti e quindi dei servizi che funzionano, fasce orarie effettivamente rispettate, allungamento dell’abbonamento in relazione al tempo di sciopero, incentivazione dello sciopero virtuale, sanzioni più efficaci per l’occupazione di strade e ferrovie e altro ancora. È interessante lo sciopero virtuale nei servizi pubblici perché si realizza con atti simbolici come una fascia al braccio, gli utenti non ne soffrono mentre l’azienda dovrebbe versare ad un fondo comune, ad esempio per la formazione dei lavoratori, un multiplo di ciò che pagano i lavoratori.
D. La rappresentatività dei sindacati va regolata per legge o va favorita l’intesa tra le parti sociali?
R. Diffido della regolazione con legge delle libere organizzazioni sociali, le quali devono essere riconosciute come espressione dell’autonomia della società, in quanto vivono della libera contribuzione dei loro iscritti. Se una regolazione dovrà essere fatta dovrà essere quanto più leggera e di sostegno all’autonomia sociale, non invasiva e tale da limitarla.
D. Il presidente del Consiglio Matteo Renzi è allergico al rapporto con il sindacato. Considera i sindacalisti come se fossero degli antagonisti alla Landini. Invece i sindacati non sono tutti eguali. Potrebbe essere conveniente per tutti dialogare con i sindacati riformisti come avvenne con l’accordo sulla scala mobile e il patto per l’Italia. Che ne pensa?   
R. Ovviamente, avendo lei citato accordi che ho ben conosciuto, rimango favorevole a un dialogo sociale che sappia distinguere tra gli interlocutori che si irrigidiscono e non cercano l’intesa rispetto a quelli che, al contrario, si rendono disponibili. Noi però dobbiamo favorire un’evoluzione riformista di tutto il sindacato, di tutto il grande sindacato confederale, incoraggiando quello spostamento di cui dicevo dall’idea conflittuale delle relazioni industriali all’idea cooperativa e partecipativa. Sta all’iniziativa del Governo, perché il dialogo sociale non è sempre una perdita di tempo, può essere utile se è concreto, veloce e tale da sollecitare le responsabilità di ciascuno. Di sicuro il Governo non può mai rinunciare all’ascolto perché quando, come nel caso delle leggi Fornero, si è rivelato affetto da autismo, ha commesso gravissimi errori producendo norme che dimenticavano la realtà. Realtà che poi si è puntualmente vendicata.
D. Non trova che sulle leggi sul lavoro si tuteli troppo il lavoratore trascurando l’imprenditore?
R. Io credo che, più in generale, dobbiamo incoraggiare la propensione ad assumere e riflettere su tutto ciò che la scoraggia. E sono molte le cose che in Italia scoraggiano le assunzioni. Questo è sempre stato un Paese con una bassissima intensità occupazionale, cioè a parità di crescita economica, altri Paesi hanno avuto maggiore propensione a tradurla in posti di lavoro. In Italia invece ci sono sempre stati rattrappimento e diffidenza rispetto al fattore lavoro, al punto che siamo stati l’economia che più ha utilizzato le tecnologie a risparmio di lavoro, e ne siamo diventati produttori leader nel mondo. L’imprenditore in Italia ha sempre preferito le macchine agli uomini. Ora dobbiamo rifiutare quest’idea che le relazioni umane possano essere sempre problematiche, come ci insegnano le nostre piccole imprese dove il datore di lavoro e i lavoratori condividono gomito a gomito le fatiche e anche i risultati. Nel momento in cui interviene questa sfida delle macchine intelligenti abbiamo a maggior ragione il dovere di rimuovere tutti gli ostacoli alla propensione al lavoro.
D. Che cosa vuol dire in chiusura?
R. Regole certe, semplici e certamente applicate vogliono dire rapporti di lavoro normali, non ideologizzati, con la propensione a condividere. Sarebbe assurdo se noi ancora ci attardassimo in relazioni di lavoro conflittuali, tipiche di un mondo che sta sparendo, cioè quello del lavoro routinario e del lavoro massificato.
D. Se oggi lei fosse di nuovo ministro del Lavoro, cosa farebbe per prima?
R. Produrrei lo Statuto dei lavori come testo unico e definitivamente sostitutivo dello Statuto dei lavoratori, coraggiosamente semplificante le regole del lavoro sia nella gestione che nei rapporti di lavoro, unitamente a un grande investimento nelle conoscenze e nelle competenze.   

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