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Cesare San Mauro: fondazione roma europea, per fondare una roma piu' europea, meno «non europea»

Cesare San Mauro, segretario generale della Fondazione Roma Europea

La Fondazione Roma Europea è nata nel dicembre 2001 dalla volontà e dall’impegno di Cesare San Mauro, sulla base dell’esperienza dell’omonima associazione che per il precedente decennio ha operato da protagonista nel territorio romano in ambito politico e culturale. L’obiettivo è quello di valorizzare, promuovere e sviluppare il ruolo di Roma nella scena europea, valutandone pregi e difetti, e coinvolgendo alcune tra le più importanti realtà imprenditoriali romane e nazionali: aziende private, municipalizzate e compagnie pubbliche che hanno scommesso sul progetto elaborato dai fondatori e arricchito poi dai componenti gli organi della Fondazione. Le attività, nel corso degli ultimi anni, sono state numerose ed eterogenee: organizzazione di convegni, dibattiti, tavole rotonde e incontri su questioni complesse ed attuali come lo stato delle reti e delle infrastrutture romane, il disagevole quadro dei trasporti pubblici e privati della città eterna, i luoghi della ricerca scientifica e tecnologica, il dialogo tra le religioni, Internet e Roma virtuale, e molto altro. «Il leit motiv è, come nella musica, ascoltare. Per poi elaborare e crescere. Insieme».
Esiste anche un’Associazione Amici di Roma Europea, circolo a numero chiuso riservato alle persone fisiche. Gli amici si riuniscono nell’Antico Caffé Greco una volta al mese, in incontri che prevedono l’intervento di un interlocutore scelto tra i principali protagonisti della vita istituzionale, della cultura, della politica, dell’informazione, dell’industria.
Roma Europea è guidata dal suo fondatore, San Mauro, segretario generale. È professore di Diritto dell’Economia nella Facoltà di Giurisprudenza dell’Università La Sapienza di Roma, avvocato patrocinante in Cassazione e titolare di uno studio legale, autore di numerose pubblicazioni di carattere scientifico, componente di comitati e commissioni di studio e di valutazione. È stato direttore generale di una multinazionale della telefonia e presidente di un’azienda di trasporti, è presidente dell’Advisory Committee di una multinazionale delle comunicazioni e membro del consiglio di amministrazione di aziende di interesse nazionale e internazionale. È stato segretario generale del Comitato per i referendum elettorali di Mario Segni, consigliere comunale di Roma per la Dc e del Patto Segni, presidente dell’Autorità per i servizi pubblici locali.
Domanda. Molti incarichi di rilievo. Perché questa Fondazione?
Risposta. Nella mia vita mi sono dedicato e mi dedico a tre cose apparentemente diverse: sono professore universitario, avvocato, ma sono stato anche manager, ho ricoperto il ruolo di direttore generale della compagnia telefonica 3. Oggi sono appagato dall’Università, che mi fornisce un incredibile rapporto con i giovani, e dall’Avvocatura, per affrontare le sfide e migliorare la qualità della vita nel nostro Paese.
D. È riuscito e come a migliorare qualcosa?
R. Qualcosa. Non solo per l’esperienza legale ma anche per l’esperienza politica. Come presidente dell’Autorità per i servizi pubblici locali a Roma abbiamo introdotto un modello gestionale diverso, che era quello del contratto di servizio, per valutare l’efficienza delle aziende su dati obiettivi; abbiamo costruito e adottato quel modello, che poi nel tempo purtroppo non è stato seguito. In termini di qualità del servizio Roma continua a essere non europea, sebbene avessimo posto le condizioni normative perché lo divenisse europea.
D. Com’è oggi Roma?
R. È sporca, insicura, scarsamente illuminata, non è capitale del mondo. Sulla base di certi parametri avevamo introdotto elementi normativi che avevano portato ad alcuni risultati. Nella mia esperienza politica come segretario generale del Comitato per il referendum elettorale di Mario Segni, avevamo adottato un sistema diverso dalla proporzionale pura di carattere maggioritario, secondo cui i cittadini avrebbero scelto il Governo. Il sistema e la battaglia erano giusti, ma l’evoluzione della storia e dei personaggi che poi sono stati protagonisti purtroppo non ha corrisposto alle attese, tanto che il movimento referendario, che aveva generato così tanti entusiasmi, in pochi anni si è dissolto.
D. La Fondazione Roma Europea quest’anno compie 15 anni. Com’è nata?
R. Il tema centrale che ho portato avanti in questi anni è stato questo: il titolo della Fondazione ha già in sé la speranza di costruire una grande capitale di taglio europeo. Durante gli 8 anni come consigliere comunale a Roma, ricoprendo anche il ruolo di presidente della Commissione Bilancio, e gli anni di presidenza nell’Autorità per i servizi pubblici locali di Roma, terminati nel 2001, avevo costituito un’associazione, divenuta fondazione, con la grande passione civile di Giuseppe De Rita, il più attento lettore degli ultimi 40 anni della realtà italiana, fondatore del Censis. L’intenzione era quella di fare per Roma qualcosa di molto simile al Censis, una fondazione in cui le capacità di analisi fossero le stesse rigorose che il Censis investiva per l’intero Paese, quindi coinvolgendo tutti i soggetti e dando l’opportunità ai vari protagonisti di dire la propria. Iniziammo ad incontrare i protagonisti della vita politica, culturale e civile italiana con cadenza mensile al Caffè Greco e in altri posti storici di Roma, perché ciascuno potesse dire la propria mosso dal desiderio di portare Roma, ma anche l’Italia, a uno standard europeo.
D. Che cosa è cambiato da quando è nata la Fondazione a oggi?
R. Roma Europea ha portato un metodo che è quello del confronto, dell’approfondimento, dello studio sui tantissimi temi, non il metodo urlato e sguaiato dei talk show dove vince chi urla di più. Siamo stati i primi a introdurre dibattiti pubblici sul tema del dialogo interreligioso tra cattolici e Islam, abbiamo fatto delle analisi sul tema del patrimonio culturale e turistico della città e dei grandi centri metropolitani in Italia con un «benchmark» europeo. Da due anni facciamo un ciclo d’incontri con gli ambasciatori dell’Unione Europea presso l’Italia, al quale non solo hanno partecipato i principali Paesi dell’Unione, ma anche i vari ambasciatori degli Stati Uniti, mentre nei prossimi eventi è prevista la presenza dell’ambasciatore russo e, speriamo, dell’ambasciatore cinese. Chiediamo loro «come vedono Roma», siamo interessati al loro punto di vista, cioè in cosa nella loro esperienza internazionale può farsi di pratico per migliorare la qualità della nostra capitale e del Paese. Da questi incontri sono venuti fuori dei suggerimenti veramente interessanti.
D. In Italia si svolgono tantissimi incontri e convegni di questo genere, spesso rimangono solo parole: il materiale raccolto dalla vostra Fondazione è impiegato razionalmente per aiutare la città e il Paese?
R. Pubblichiamo gli atti e formuliamo proposte specifiche. Proprio dall’ultimo incontro con gli ambasciatori, il Corriere della Sera riportò esattamente una serie di proposte, poi convogliate in un incontro con l’allora sindaco Ignazio Marino, che ritenne di non recepire. A noi spetta dare suggerimenti operativi, l’abbiamo fatto sulla città ma l’abbiamo fatto anche per l’Italia con proposte di riforme istituzionali. La capacità di attivazione che emerge da questi incontri non è mera chiacchiera.
D. Questi incontri possono diventare proposte da fornire al Governo?
R. Sì, in particolare gli incontri sul tema dell’area metropolitana cui abbiamo dato un grande contributo tanto da essere ricevuti dall’allora presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. Presentammo un modello giuridico abbastanza simile a quello attualmente in vigore nelle regioni di Berlino e Bruxelles. Il problema di Roma, infatti, è che con l’attuale sistema istituzionale non si va da nessuna parte perché o si fa una Regione Roma o non si risolve nulla: bisognerebbe dotare Roma di poteri speciali, come per le Regioni.
D. Una volta avanzata la proposta, fate in modo che vada avanti?
R. Noi facciamo in modo che venga seguita, ma se poi la classe politica ritiene di non procedere non possiamo fare altro, ciò non pertiene alla nostra funzione. Noi svolgiamo «politica» nel senso di analisi della «polis», quindi nel senso etimologico che le è proprio, non facciamo competizioni elettorali o partiti, non supportiamo uno schieramento o l’altro, e ciò è dimostrato dal fatto che nelle attività di Roma Europea sono stati coinvolti tutti i protagonisti, da Francesco Storace a Fausto Bertinotti, dagli amministratori delegati delle grandi aziende ai presidenti dell’autorità indipendenti, dai presidenti della magistratura al cardinale vicario, al rabbino capo, al segretario generale della Lega islamica, al presidente dell’Unione degli atei e dei razionalisti, che hanno partecipato ai nostri incontri e fatto le loro proposte. Scarsa è invece la capacità di recepire queste ultime da parte della classe politica. Bisognerebbe fare una cosa diversa che non può fare la Fondazione, ossia fare di quel programma una lista politica con degli elettori, ma questa cosa non appartiene a Roma Europea.
D. Che progetti avete?
R. Continueremo con i nostri cicli di attività in un clima anche complesso, perché obiettivamente le attenzioni al mondo dello studio e della ricerca sono calate insieme ai finanziamenti complessivi, anche da parte di grandi player che, è giusto ricordarlo, un tempo hanno sostenuto e sponsorizzato le iniziative di ricerca del Paese, ma che oggi non ci sono più. E non c’è ancora in Italia quella cultura e quella dimensione di necessità sociale del mecenatismo, e funzionano solo alcune attività di charity sponsorizzate da grandi personaggi, come Umberto Veronesi con la sua Fondazione italiana sulla ricerca e la lotta contro il cancro, che è riuscito ad acquisire grandi capitali privati per finalità sociale.
D. E come vi sostenete?
R. Ci sosteniamo con i soci, che possono essere o aziende o persone fisiche; naturalmente gli importi sono diversi, le aziende hanno anche una presenza nel consiglio di amministrazione, le persone fisiche hanno una quota annua. Non abbiamo mai avuto finanziamenti pubblici.
D. Non lo avete richiesto o non vi è stato concesso?
R. Non lo abbiamo cercato, e quindi non lo abbiamo trovato. L’idea è quella di essere indipendenti e di poter dire sì o no alla classe politica, questa è una libertà importante. Peraltro, se li avessimo avuti oggi sarebbero comunque venuti a mancare con i tagli della spending review, a causa dei quali molte associazioni si sono trovate a chiudere. Abbiamo promosso anche degli incontri presso gli istituti di cultura europei in Italia, come la British School, ossia l’accademia britannica di ricerca e studio; questi hanno dei budget giganteschi rispetto ai nostri. Senza finanziamenti come fanno le giovani generazioni a scoprire il presente? E come fanno a scoprire anche il passato della nostra civiltà? Lo dico come professore universitario: stiamo a un livello di abbassamento di cultura media degli studenti molto preoccupante.
D. Il ministro Dario Franceschini le ha dato un ruolo, quale?
R. Franceschini è partito da un interessante prospettiva, quella di rendere autonomi nella gestione i venti principali musei italiani. Tra questi, una delle più importanti pinacoteche italiane è la Galleria nazionale delle Marche, sita a Urbino nel Palazzo ducale dove sono presenti i massimi capolavori di Piero Della Francesca e di Raffaello. Con un bando internazionale il ministro ha scelto direttori che sono anche i presidenti del Consiglio di amministrazione di questi musei, e sono venuti diversi operatori internazionali a dirigere questi musei. La Galleria nazionale delle Marche è diretta da un austriaco, ed io sono stato nominato membro del suo consiglio di amministrazione con l’obiettivo di aumentare i profitti, quindi rendere questi musei fruibili dal punto di vista della biglietteria, della libreria, della ristorazione, del merchandising e di tutti i servizi. Purtroppo non riusciamo a rendere produttivo il nostro patrimonio: altri che hanno il nulla riescono a venderlo, noi che abbiamo il top non riusciamo a farlo. Posso concludere dicendo che la speranza italiana è legata all’attrazione negli investimenti internazionali, perché da noi non ci saranno più investimenti pubblici.  

Tags: Febbraio 2016

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