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FABIO PICCIOLINI: UN FRONTE COMUNE TRA CONSUMATORI, PICCOLE E GRANDI IMPRESE

Fabio Picciolini, presidente del Consumers’ Forum

Dotato di una ultraventennale esperienza bancaria maturata nella Banca d’Italia, nella partecipazione ai lavori per il passaggio all’euro, nei rapporti con organismi ed enti sopranazionali, nella supervisione dei mercati finanziari, Fabio Picciolini, già Segretario nazionale dell’Adiconsum, associazione per la difesa dei consumatori promossa dalla Cisl, è stato eletto alla presidenza del Consumers’ Forum, organizzazione indipendente avente lo scopo di svolgere iniziative per diffondere la cultura del consumo responsabile. Picciolini fa parte di varie istituzioni: Comitato nazionale per il passaggio alla Sepa, area unica dei pagamenti in euro; Forum finanza sostenibile, Comitato di consultazione del consorzio Patti Chiari, Gruppo di lavoro per la prevenzione amministrativa delle frodi sulle carte di pagamento. Ha scritto saggi e articoli su temi creditizi e finanziari, sistema dei pagamenti, sistema bancario, privatizzazioni, riforma del risparmio, Autorità indipendenti, riciclaggio, usura, credito al consumo, frodi creditizie, furto di identità, banca on line, mutui ecc. Ha svolto seminari e convegni e insegnato in master universitari a Roma e Milano.

Domanda. Quale scopo ha Consumers’ Forum, l’associazione costituita nel 1999 e da lei attualmente presieduta?

Risposta. La mia attività svolta in 20 anni nel consumerismo mi ha portato, con un’elezione democratica, a guidare quest’associazione unica in Italia e in Europa, in quanto è riuscita a porre intorno a un tavolo soggetti che presentano normalmente situazioni più o meno conflittuali tra loro. Ne fanno parte le principali associazioni di consumatori, le 13 maggiori aziende italiane rappresentative nei vari settori - tra le quali Telecom, Wind, Vodafone, Enel, Eni, Gruppo Ferrovie dello Stato -, tre fra le maggiori Università italiane, ossia Roma 3, Siena e Torino, nonché un’istituzione diffusa come l’Unioncamere.

D. Cosa intende essere, in sintesi?

R. Una specie di «pensatoio» grazie al quale, superando i problemi quotidiani ed evitando i piccoli contrasti di tutti i giorni, si riesca a costruire qualcosa insieme, ad esprimere in campo nazionale ed europeo una posizione comune tra consumatori e imprese, a vantaggio di tutti. È un obiettivo ambizioso ma molto stimolante, un compito che i successi riportati in questi primi mesi stimolano a proseguire. Abbiamo previsto che, una volta l’anno, i soggetti indipendenti finalizzati soprattutto a tutelare i cittadini, si riuniscano dando vita a un forum di cui si parli di finanza, telecomunicazioni, energia elettrica, risorse idriche ecc. Consumers’ Forum deve riuscire a mettere seduti intorno a un tavolo e far ragionare le diverse anime del mercato. È questo l’impegno che mi è stato affidato per i prossimi 3 anni.

D. Qual’è la tendenza, per il futuro, del movimento per la difesa dei consumatori?

R. È in programma la pubblicazione, in questi giorni, di un nuovo Regolamento per la gestione di tutte le associazioni esistenti, che in verità sono diventate troppe: 18 riconosciute e non meno di 100 a carattere regionale. È stato elaborato un testo in base al quale gli iscritti dovranno essere controllati, in modo che il Ministero per lo Sviluppo Economico possa verificare se tali associazioni raggiungano i requisiti minimi richiesti dal Codice del consumo. Quest’ultimo, prescrive che esse rappresentino il 5 per mille degli abitanti e siano presenti in almeno 5 regioni. Altrimenti non potranno essere riconosciute come rappresentative e non potranno partecipare al Consiglio nazionale dei consumatori e utenti; quindi non potranno intervenire all’assemblea per l’assegnazione dei fondi che il Ministero destina a tali organizzazioni.

D. Quali effetti avrà questo?

R. Questa novità probabilmente, anzi quasi sicuramente produrrà un accorpamento tra varie associazioni. Anche perché il nuovo Regolamento prevede l’esistenza di federazioni di associazioni. Oggi sono presenti almeno 4 tipi di associazioni dei consumatori: di estrazione sindacale che sono Adiconsum-Cisl, Federconsumatori-Cgil e Adoc-Uil; di estrazione ambientalistica, che sono Legambiente-Mdc ed Arci-Mc; associazioni di consumatori rappresentate da studi legali come la Codacons; infine di tipo particolare come Altroconsumo, che è espressione di un gruppo editoriale internazionale operante anche attraverso un giornale, e altre due o tre associazioni indipendenti, senza grandi sponsor, una delle quali è l’Adusbef del senatore Elio Lannutti.

D. Molte di esse, allora, non sono indipendenti, cioè espressione esclusiva dei consumatori?

R. Fermo restando il fatto che tutte le associazioni devono avere una loro indipendenza e un proprio bilancio, è ovvio che l’Adiconsum, nata su proposta della Cisl, ha un proprio bilancio, proprie elezioni democratiche e tutto ciò che serve a una struttura autonoma e indipendente. Un altro esempio può essere la Lega Consumatori che nasce dalle Acli. Una peculiarità italiana è che, tranne Altroconsumo, purtroppo le associazioni dei consumatori né singolarmente né raggruppate hanno un collegamento in sede europea, per cui la loro voce a Bruxelles è abbastanza flebile.

D. Lo sviluppo del consumerismo è dovuto a un’esigenza dei consumatori cresciuta con l’aumento dei redditi familiari?

R. Forse è stato il contrario. Lo sviluppo è stato stimolato dall’intuizione di alcune persone, come lo scomparso Vincenzo Dona, fondatore dell’Unione Nazionale dei Consumatori. Nelle associazioni di derivazione sindacale o delle Acli era normale un’evoluzione verso la tutela non solo del cittadino ma anche del consumatore. Ma la buona volontà di operare di ognuno ha creato una specie di Far West; è stata questa la storia, fortunata, anche della mia associazione in quanto, pur non essendo essa presente in Europa, decisi di raggiungere una forte collocazione in tale ambito, di avere rapporti con altre associazioni e anche con fondi europei cui nessuno aveva mai pensato.

D. Perché si creò tale situazione?

R. Fino al 1998 non esisteva una legge sui consumatori, ci si muoveva come in una prateria, per cui nacquero associazioni anche prive o con scarso radicamento nel territorio. Da quell’anno molto è cambiato per essere un’associazione nazionale riconosciuta di consumatori, per sedere in quel «parlamentino» che è il Consiglio nazionale consumatori e utenti istituito presso il Ministero dello Sviluppo Economico. Questo ha consentito alle associazioni di strutturarsi meglio e di arrivare al decreto legislativo n. 206 del 2005, ovvero al Codice del consumo che ha portato finalmente chiarezza sulle associazioni dei consumatori, sul loro aspetto organizzativo, sulle regole che le imprese devono osservare nel confronto con i cittadini consumatori e con i cittadini utenti.

D. Non è stato anche l’effetto della ridotta influenza dei sindacati?

R. Non so se sia stata una scelta obbligata o voluta. È difficile pensare che il sindacato come si conosceva nel passato, rivendicazionista, che attraverso i rinnovi contrattuali faceva aumentare le retribuzioni dei propri iscritti, potesse continuare ad avere questo rapporto con i cittadini e i lavoratori. Il sindacato ha, infatti, un limite: organizza e rappresenta soltanto chi ha un lavoro. Questo ha portato sia esso sia i movimenti ambientalisti a capire che la semplice contestazione ambientalista e la pulizia delle spiagge, per così dire, non erano più sufficienti. Ma prima del 1998 non c’era nulla, e dal 2000 il settore finanziario, nel quale operavo, è stato forse il più coinvolto dalla forte spinta del consumatore-investitore ad essere tutelato, come avviene oggi per la crisi che stiamo vivendo. A questo bisogna aggiungere l’intensa attività da noi svolta a Bruxelles: se riusciamo ad avere norme che ci tutelano in maniera efficace, è perché le nostre indicazioni sono recepite nelle direttive europee, che pertanto inseriscono al primo posto la tutela del consumatore all’interno dei trattati.

D. Il sistema bancario oggi è molto criticato. È giusto o no?

R. Come persona fisica o giuridica, il cittadino, qualunque sia la sua attività, non può fare a meno di una banca e di un sistema finanziario; tornare al baratto o al mattone è impossibile, costerebbe troppo, bloccherebbe lo sviluppo dell’economia, anzi svilupperebbe l’economia illegale. Dal 1996, con il primo Codice deontologico dell’Associazione Bancaria Italiana, si è avviato un dibattito approfondito con la stessa associazione e successivamente con le principali banche nazionali per raggiungere accordi e strumenti idonei a compiere passi avanti. Prima di questo, senza nessun accordo ma spontaneamente, grazie al contributo della Chiesa e di forze responsabili del Paese tra le quali i piccoli commercianti e alcune associazioni dei consumatori, si svolse dal 1992 al 1996 la grande lotta per introdurre una norma contro l’usura, che il sistema bancario non desiderava.

D. Ritiene positiva l’introduzione dell’euro?

R. Costituì un altro fattore di abbattimento dei tassi d’interesse bancari e finanziari, dal 10 al 3 per cento. Questo portò alcune associazioni dei consumatori e il sistema bancario a concordare l’abbattimento anche dei tassi d’interesse sui mutui. Un altro passaggio fu la crisi dei maggiori gruppi industriali italiani, che causò il primo intervento della Banca d’Italia per una tutela più stretta di consumatori e utenti bancari. Fu il momento in cui si cominciò a parlare, a Bruxelles, della riforma del credito al consumo e dell’introduzione, nel 2004, della Mifid per il risparmio, la direttiva europea del Parlamento e del Consiglio europeo. Ricordo la grande affermazione di tutto il movimento consumeristico quando nel 2006, con le «lenzuolate Bersani», per la prima volta in Italia le associazioni dei consumatori ebbero un «potere legislativo», in quanto ad un accordo tra esse e l’ABI sui tassi d’interesse per l’estinzione dei mutui fu riconosciuta una validità erga omnes.

D. Che cosa è avvenuto dopo?

R. Effetti a catena, ad esempio la possibilità per il consumatore, in caso di reclamo o contenzioso, di avere una doppia tutela: quella, alla quale credo poco, dell’Ufficio reclami interno alla banca, nella quale i casi di vittoria del consumatore sono molto pochi; e quella successiva, svolta in tempi certi e predeterminati, dall’arbitro bancario e finanziario, ossia della Camera di conciliazione della Consob. E i cui risultati a favore del consumatore dimostrano che, ove vi sia un organismo indipendente, il consumatore è più tutelato. Tutto ciò non ha eliminato le tutele individuali e collettive cui il consumatore ha diritto.

D. Ma come si comportano le banche nella presente crisi?

R. Nonostante le difficoltà, il sistema bancario italiano non scarica sulla clientela i proprie problemi interni; il settore nel quale non ha retto e sul quale stiamo discutendo è il sostegno alla famiglia e all’impresa; non sono aumentate le risorse finanziarie a queste destinate sotto forma di prestiti per investimenti o per l’acquisto di abitazioni, e questo è un ostacolo che blocca la ripresa.

D. Ma è vero che molte imprese neppure li hanno chiesti?

R. Certo, ma questo non riguarda la piccola impresa. Quella media o grande ha un proprio cash flow abbastanza elevato, o può approvvigionarsi all’estero, o comunque ad essa il sistema bancario fornisce i mezzi; il problema riguarda gli artigiani e i piccoli commercianti, costretti a chiudere a causa della restrizione del credito e dell’accorpamento a poco più di 400 banche, molte delle quali dello stesso Gruppo, di un sistema bancario che ne aveva oltre mille. È necessario che le piccole imprese, in maggioranza a conduzione familiare, possano contare su fondi di solidarietà. Le soluzioni ci sono.

D. Perché si comunica che il debito pubblico cresce ma non che è via via svalutato dall’inflazione?

R. Il problema non è stato mai affrontato. L’Italia ha sempre cercato di distinguere la spesa improduttiva da quella per investimenti, ma l’Unione Europea non ha ancora accettato questa norma per cui, se lo Stato interviene nelle infrastrutture, aumenta il debito pubblico. Inoltre si parla di grandi infrastrutture come l’Alta Velocità in Val di Susa e il Ponte sullo Stretto di Messina; sarebbe meglio investire in infrastrutture completate anziché lasciate a metà.

D. Che pensa del Governo tecnico?

R. È utile in momenti particolari, ma non può essere la prassi. Un anno fa non c’era alternativa, perché c’era chi aveva perso e chi non voleva assumersi la responsabilità della stabilizzazione. Ora però non si riesce ad abolire le Province nonostante se ne parli da anni, e con l’errato federalismo fiscale ogni Regione continua a praticare certi sistemi. Il Governo Monti ci ha consentito di recuperare una credibilità internazionale, ma molto non è riuscito a fare.

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