ADELCHI D’IPPOLITO: QUELLA GIUSTIZIA CHE OCCORRE PER SUPERARE LA CRISI ECONOMICA

a cura di ANNA MARIA BRANCA
«Accorciare i tempi dei processi» è un proposito o piuttosto un leitmotiv negli interventi e nelle relazioni svolte in solenni occasioni da un magistrato di lunga esperienza nella giustizia italiana, e in particolare in quella penale, Adelchi D’Ippolito, che ha operato per anni in prima linea nelle procure della Repubblica in Calabria e successivamente di Roma. Consigliere di Cassazione, relatore «d’eccellenza» in corsi socio-politici, professore a contratto per molti anni nella facoltà di Giurisprudenza, esperto anche di reati contro la pubblica amministrazione dei quali si è occupato durante i suoi molti anni di permanenza presso le procure di Catanzaro e di Roma, Adelchi D’Ippolito, dopo avere profuso un fortissimo impegno nell’applicazione delle leggi in inchieste e procedimenti giudiziari di risonanza nazionale per alcuni dei quali è stato anche esposto a rischi e minacce di attentati da parte di cosche mafiose, ha «trasferito» il proprio impegno e la propria cultura giuridica nel campo della pubblica amministrazione: ha infatti trascorso questi ultimi 5 anni di attività nell’ufficio legislativo del ministero dell’Economia e Finanze, occupandosi della predisposizione dei provvedimenti governativi in materia di reati sia contro la pubblica amministrazione come corruzione e concussione, sia contro i privati come riciclaggio, usura, falsificazione di monete ed altro; tutti reati che, oltre che avere un’evidente rilevanza sul piano strettamente criminale, hanno un effetto «frenante» per l’economia del Paese. Strenuo difensore dell’indipendenza della magistratura dalla politica, in questa intervista Adelchi D’Ippolito fa il punto sulla situazione e sulle prospettive della giustizia al termine di una lunga fase di tensione fra due tra i massimi poteri costituzionali dello Stato, quelli appunto esecutivo e giudiziario, e in attesa di una possibile, nuova era, proficua per i cittadini e per l’economia.
Domanda. Che cosa l’ha portato a scegliere questa professione?
Risposta. Lavoro da moltissimi anni nelle istituzioni, ho sempre lavorato dalla parte dello Stato, quindi dalla parte di tutti. Ho scelto di fare il magistrato anche se nella mia famiglia non ve ne erano; mio padre e mio nonno erano medici. Fare il magistrato mi sembrava stare dalla parte di tutti, tutelare gli interessi dei più deboli. Ho sentito questa spinta da quando ero bambino, non ho mai pensato di fare il calciatore, il pilota di Formula 1 o l’astronauta. Una professione quindi difficile, delicata e impegnativa. Una volta diventato magistrato a 25 anni, dopo tre anni trascorsi in tribunale in Lombardia, fui nominato responsabile della Direzione distrettuale antimafia in Calabria, un compito difficile in un territorio di ‘ndrangheta, mafia, criminalità organizzata; dove sono rimasto per 10 anni.
D. Quali ricordi ha di quegli anni?
R. Ho ricevuto numerose minacce di morte che per molti anni hanno costretto me e i miei familiari a vivere sotto scorta. Per dare un’idea della difficoltà che vivevo con la mia famiglia in quegli anni, racconto sempre che i miei figli, che allora frequentavano le elementari, erano costretti a recarsi a scuola sempre accompagnati da due carabinieri armati. Sono rimasto in Calabria fino a 37-38 anni, per poi trasferirmi alla procura della Repubblica di Roma, dove mi sono occupato in particolare di reati contro la pubblica amministrazione, quindi di corruzione e concussione. Ho seguito la prima fase dell’inchiesta sulla tangentopoli romana, durante la quale sono stati tratti in arresto vari imprenditori e faccendieri, lavorando anche, in relazione ad alcuni processi di particolare gravità, in collegamento con magistrati di altre procure di Italia, in particolare con quelli di Milano. Fu un periodo lungo e impegnativo della mia vita, ma anche ricco di soddisfazioni. Certamente durante la fase delle indagini il momento «più difficile» era quello in cui si dovevano adottare provvedimenti restrittivi della libertà personale. Ciò doveva comportare una fortissima assunzione di responsabilità nella consapevolezza della invasività di una misura tanto grave ed estrema.
D. Non è un compito previsto dalle leggi e dai comportamenti delle persone?
R. Sì certo, ma è una misura che si deve adottare come estrema ratio e quando ogni altra appare non sufficiente, comunque mai un provvedimento da adottare a cuor leggero, neanche nei confronti di veri criminali, per cui si deve operare nel più rigoroso rispetto della legge, con una valutazione serena, responsabile, priva di pregiudizi e aderente alle risultanze processuali. Perché sbagliare è possibile, considerato che il magistrato è un essere umano e, come tale, può appunto sbagliare. Ma l’errore non deve essere dovuto a superficialità o disattenzione. In momenti tanto delicati, in relazione a decisioni che vanno così fortemente, alcune volte in modo addirittura irreversibile, ad incidere sulla vita dei cittadini, si deve sempre scrupolosamente adoperare il massimo dell’impegno.
D. Non può accadere talvolta comunque di sbagliare?
R. Può accadere che talvolta i provvedimenti adottati non siano confermati nei successivi gradi di giurisdizione, ma questo attiene alla fisiologia del processo, articolato in diversi gradi proprio per cercare di ridurre al massimo l’errore umano. Il magistrato deve sempre essere ed apparire autonomo ed indipendente. Davanti a lui tutti sono e devono essere uguali.
D. Quale episodio ricorda con maggiore gratificazione?
R. Oltre alla scoperta degli autori di alcuni efferati omicidi, in Calabria sgominammo una banda di taglieggiatori che pretendeva denaro da tutti i commercianti di un paese, danneggiandone l’economia; con una serie di rischi, anche personali, riuscimmo ad arrestarli e a restituire la serenità a quella collettività. A Roma mi sono occupato di procedure relative a concorsi universitari per varie cattedre; numerosi professori sono stati processati perché l’indagine accertò che, attraverso il concorso, non si selezionavano i più bravi e meritevoli, ma si «restituivano favori» magari ricevuti in concorsi precedenti. L’inchiesta ha avuto una tale risonanza da indurre il legislatore ad intervenire sulla normativa concorsuale, modificandola significativamente. In un’altra indagine abbiamo fatto una sensazionale scoperta: l’uccisione di bambini per alimentare il traffico di organi umani.
D. Come siete giunti a tale scoperta?
R. L’indagine partì casualmente da un Paese africano nel quale l’autopsia su alcuni bambini deceduti rivelò che erano privi di organi interni. Si scoprì che l’Italia era un punto di passaggio e di snodo di quell’orribile traffico internazionale. Scoprimmo addirittura l’esistenza di locali adattati a pseudo cliniche in cui si prelevavano organi da cadaveri da trapiantare in persone paganti; un traffico di proporzioni enormi se si pensa alle molte migliaia di bambini che scompaiono ogni anno nel mondo. In Italia è stato istituito presso la Polizia un registro in cui figurano i nomi di persone misteriosamente scomparse, in particolar modo bambini, che in alcuni casi si ha ragione di ritenere siano finiti in questo tremendo mercato di traffico di organi.
D. Altri casi meno raccapriccianti?
R. Le indagini sul consiglio di amministrazione della Rai, sulla cosiddetta «mafia dei colletti bianchi», sulla colpa professionale, in particolare quella medica, per accertare se da tali imperizie o negligenze fossero derivate disabilità o comunque danni ai pazienti.
D. Com’è avvenuto che, dopo trent’anni, ha cambiato lavoro?
R. Mi è stato proposto, dall’allora ministro dell’Economia e delle Finanze Giulio Tremonti, di passare all’ufficio legislativo del ministero stesso; mi sono sentito onorato trattandosi di un ufficio d’élite, ho riflettuto molto e ho accettato ritenendo di poter così arricchire la mia esperienza professionale. La proposta era culturalmente stimolante, avrei svolto un ruolo tecnico, da giurista, adatto alla mia storia e formazione professionale. Trattasi di un ruolo prettamente tecnico che naturalmente non ha interferenze con le scelte politiche di esclusiva competenza e responsabilità del ministro. Infatti l’ufficio legislativo fornisce gli strumenti tecnici per realizzare un progetto politico le cui responsabilità e scelte sono del ministro.
D. Niente più a che fare con il campo penale allora?
R. Sono il vicecapo dell’ufficio legislativo che si occupa in particolare di quelle materie che hanno contiguità con il penale. Il ministero dell’Economia ha un ruolo centrale nella pubblica amministrazione, passa da esso ogni legge per la necessaria copertura finanziaria. Varie materie hanno poi una diretta rilevanza penale. Si pensi al riciclaggio di denaro, alla corruzione, ai reati societari e alla materia fallimentare; e poi ai rapporti con la Polizia giudiziaria e con la Guardia di Finanza, che dipende funzionalmente dal ministro dell’Economia.
D. Vi è rimasto anche durante il Governo Monti?
R. Dopo Tremonti, ministro dell’Economia ad interim è stato lo stesso presidente del Consiglio Mario Monti, e poi il prof. Vittorio Grilli. In base alla legge Bassanini sullo spoils system, sono stato confermato sia da Monti che da Grilli.
D. Che cosa farà in futuro?
R. È difficile fare delle previsioni: certo, io sono molto legato al mio lavoro di magistrato e rispetto ad esso conservo ancora un grandissimo entusiasmo ed una forte motivazione: non posso però non riconoscere quanto sia ricca, importante e formativa l’esperienza che sto maturando presso l’ufficio legislativo del ministero.
D. Com’è la magistratura di oggi, rispetto a quella di quando ha cominciato?
R. Come ogni categoria, anche la magistratura è fatta da uomini, alcuni di grande valore, altri meno. Nel complesso, però, va evidenziato che la magistratura ha sempre svolto un fondamentale ruolo di garanzia nella vita civile del nostro Paese, pur se non può negarsi che in comportamenti di singoli magistrati ci siano stati eccessi e sbavature. E neppure, però, può negarsi come la magistratura abbia rappresentato un insormontabile baluardo a difesa della collettività contro gravissimi e dolorosissimi fenomeni quali il terrorismo. Una problematica molto delicata è rappresentata dal magistrato che entra in politica. Certamente il magistrato ha tutti i diritti di ogni cittadino, quindi anche quello di partecipare attivamente alla vita politica del Paese. Ma riterrei che questa scelta, per come si è detto pur totalmente legittima, debba essere irreversibile, nel senso che il magistrato, una volta schieratosi in politica, non dovrebbe più tornare a svolgere funzioni giudiziarie. Infatti, partecipare attivamente all’agone politico significa schierarsi da una parte, e questo, per il magistrato, viene ad intaccare la sua posizione di super partes che deve necessariamente caratterizzare l’esercizio della funzione giurisdizionale. Al riguardo non può non notarsi come il giudice, oltre a dover essere terzo ed imparziale, debba come tale essere percepito dai consociati, per cui il giudice che si schiera perde di fatto e immediatamente un elemento fondamentale per l’esercizio della giurisdizione, quello appunto dell’autonomia e dell’indipendenza. Va anche considerato, per completezza di argomentazione, che dietro ogni magistrato che «entra» in politica c’è una forza politica che richiede il suo impegno.
D. I magistrati hanno mai chiesto una legge che impedisse al magistrato di ritornare a svolgere le funzioni giudiziarie terminato il mandato politico?
R. È un argomento delicato sul quale esistono posizioni diverse, ed ognuna di essa è sostenuta da argomentazioni di una qualche validità; ad esempio molti magistrati sostengono che avere gli stessi diritti di ogni cittadino significhi poter fare politica e poi tornare a svolgere il proprio lavoro come accade agli ingegneri, agli avvocati, ai medici ecc. C’è chi, invece, ci vede, in ragione della specificità delle funzioni giurisdizionali, l’impossibilità di continuare ad esercitarle per i motivi sopra ampiamente descritti, dopo lo svolgimento di un mandato elettorale. Queste diverse posizioni hanno impedito che un disegno di legge in questo senso andasse avanti e potesse ordinare in modo organico questa complessa e difficile materia. Io, per esempio, sarei anche dell’idea che un magistrato non debba svolgere la propria attività politica nel luogo in cui ha svolto le proprie funzioni.
D. Visto che esistono posizioni diverse, ritiene giusto che questa diversità di posizioni possa essere di ostacolo ad una buona legge?
R. La legge nasce sempre dal dibattito e dal confronto tra idee diverse, quindi non sempre è agevole raggiungere una posizione totalmente unitaria, specie in relazione ai punti più delicati. Comunque la valutazione senza pregiudizi delle diverse posizioni porta a maturare posizioni di sintesi tra le diverse esigenze. In questo settore, per esempio, alcuni importanti passi avanti sono stati compiuti come quello per cui il magistrato che abbia svolto incarichi politici non possa tornare a svolgere le proprie funzioni nella stessa sede.
D. Qual è il bilancio di questi suoi anni al ministero?
R. Un bilancio sicuramente molto positivo; ho avuto l’opportunità di lavorare in un Ufficio legislativo di un grande ministero, accanto a dei colleghi di grande valore dai quali ho imparato molte cose e soprattutto la possibilità di conoscere, per così dire dall’interno, alcune problematiche legate all’attività legislativa e amministrativa, rispetto alle quali avevo nel passato avuto un diverso tipo di approccio. In definitiva, sono convinto che questa esperienza abbia arricchito il mio bagaglio professionale e che mi sarà di sicura utilità quando tornerò a svolgere le funzioni giurisdizionali.
D. Quali leggi di questi 5 anni ritiene più valide?
R. Ho guardato sempre con molto interesse le leggi sulle liberalizzazioni perché sono convinto che esse possono favorire ed incentivare il crescere dell’occupazione giovanile e quindi della ricchezza del Paese.
D. Un Governo non dovrebbe avere il potere di decidere quale legge fare?
R. Alcune volte le leggi sono frutto di mediazioni tra varie parti politiche; il Governo è titolare del potere esecutivo, ma le leggi sono approvare dal parlamento, nel quale convivono varie posizioni, tra le quali molte volte è difficile trovare un punto di convergenza.
D. Nella magistratura non vi sono troppe associazioni ?
R. Esistono varie correnti e una pluralità di pensiero ma di per sé ciò può rappresentare una ricchezza. È noto che un dibattito che abbia a svilupparsi tra più idee, magari anche tra loro confliggenti, sia più ricco e può portare a risultati migliori. La degenerazione può, in ipotesi, esservi quando l’associazionismo scade in difesa di piccoli interessi di bottega. È innegabile, però, che la magistratura associata costituisca un passaggio decisivo nella difesa della propria autonomia e indipendenza, necessario presupposto per lo svolgimento di una funzione giurisdizionale che garantisca i cittadini e li renda tutti uguali davanti alla legge.
D. Non è stata data troppa rilevanza alla magistratura dal mondo dell’informazione?
R. In effetti, alcune volte si è trovata sovraesposta perché ha dovuto svolgere dei ruoli di supplenza in relazione a degli spazi non colmati dal potere politico. Per dovere e per responsabilità istituzionale, essa ha dovuto esercitare un controllo di legalità su ogni potere dello Stato, anche sulla politica. Nello svolgere tale doverosa funzione innegabilmente si sono verificati momenti di forte tensione che hanno alimentato lo «scontro» con gli altri poteri dello Stato.
D. Come mai una volta tutto questo non accadeva?
R. Sono cambiati il mondo e il sistema di comunicazione. Una volta si aveva notizia di un avviso di garanzia dopo tre mesi, adesso lo si sa in tempo reale su internet. Questo non va bene se proviene dal magistrato, ma l’esistenza di un avviso di garanzia o di un provvedimento cautelare è a conoscenza di più soggetti, da ognuno dei quali può provenire l’informazione.
D. Come cambierebbe il mondo della giustizia?
R. La lunghezza dei processi incide anche sull’economia del Paese perché nessun investitore straniero investe in un Paese in cui la giustizia non funziona. Io impegnerei tutte le risorse per abbreviare la durata dei processi incidendo sulle tante procedure che costituiscono trappole formali e non presidio di valori sostanziali. Adotterei un sistema di notificazioni completamente telematico per evitare che, dopo 10 udienze, un vizio di notifica costringa a ricominciare. Depenalizzerei un folto numero di piccoli reati sanzionandoli con una pena amministrativa. Rifletterei sull’utilità dei tre gradi di giudizio. Affronterei la tragica situazione delle carceri introducendo misure alternative favorendo la detenzione domiciliare. Infine attuerei un sistema di drastica semplificazione delle troppe leggi esistenti. Lascerei solo poche norme chiare e comprensibili per tutti.
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