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BERNARDINO REGAZZONI: SVIZZERA E ITALIA, MOLTO IMPORTANTI L’UNA PER L’ALTRA

Bernardino Regazzoni, ambasciatore della Svizzera  presso il Quirinale

a cura di ANNA MARIA BRANCA

 

Nato a Lugano, dopo la laurea in Filosofia, Bernardino Regazzoni nel 1988 entrò nel Dipartimento federale degli Affari esteri della Confederazione Elvetica. Dopo uno stage compiuto nell’Ufficio Integrazione europea e nell’Ambasciata svizzera ad Abidjan, capitale della Costa D’Avorio, nel 1990 fu trasferito a Kinshasa, capitale del Congo ex belga, con l’incarico di primo collaboratore del capomissione svizzero in questo Paese. Rientrato a Berna nel 1993 per assumere la funzione di capo del Servizio Francofonia della Divisione per l’Europa e il Nord-America, nel 1996 fu nominato capo aggiunto della stessa per le relazioni politiche bilaterali con le suddette aree. Quindi si sono susseguiti una serie di incarichi: consigliere del capo del Dipartimento federale degli Affari esteri per gli affari diplomatici; ambasciatore nella Repubblica socialista democratica dello Sri Lanka e nella Repubblica delle Maldive, con residenza a Colombo; ambasciatore nella Repubblica di Indonesia, nella Repubblica democratica di Timor Est e presso l’Asean, Associazione delle Nazioni del Sud-Est asiatico, con residenza a Giacarta. Finché nel dicembre del 2009 è stato nominato ambasciatore a Roma presso il Quirinale. In questa intervista illustra aspetti delle passate e attuali relazioni tra la Svizzera e l’Italia, poco note ma utilissime per la conoscenza reciproca.

Domanda. Cosa ha trovato al suo arrivo in Italia, e che cosa ha attuato del suo programma?

Risposta. I mandati diplomatici non durano più di cinque anni, quindi, essendo io da tre anni in Italia, sono in una fase matura. Il programma della mia missione deriva dall’intenso e definito partenariato esistente tra Svizzera e Italia; in questo quadro possiamo stabilire delle priorità. Si tratta di due Paesi, dal punto di vista economico, molto importanti l’uno per l’altro. Mi piace sottolineare i dati economici perché sono fattori concreti, per cui parto sempre da un riferimento economico. Nell’interscambio l’Italia è il secondo partner in assoluto della Svizzera in campo mondiale, ma anche per l’Italia la Svizzera è un partner significativo, tra il quinto e il settimo secondo gli anni. La presenza di imprese svizzere è altissima in Italia, dove siamo il sesto investitore in assoluto, praticamente in tutti i settori economici; gli investimenti ammontano a circa 20 miliardi di euro. Queste imprese impiegano circa 80 mila persone. Alcune di esse, per esempio nel settore farmaceutico, svolgono anche attività di ricerca in Italia. Poi c’è il dato geografico, essendo Paesi vicini. L’Italia è un’appendice meridionale del continente europeo, il 25 per cento circa delle sue esportazioni attraversano la Svizzera, quindi anche per il transito delle merci sono Paesi di grande rilievo l’uno per l’altro. Il mio compito consiste nel curare le relazioni economiche, nello sviluppare gli accordi atti a creare le condizioni migliori nei settori dei trasporti e dell’energia, perché ciò che vale per le merci vale anche per l’energia, per esempio per il nuovo gasdotto Tap. Altro aspetto di rilievo nel mio mandato è la comunicazione, perché le attività economiche sono poco conosciute sia in Italia che in Svizzera, e si sottovaluta l’importanza di questo partenariato.

D. Che cosa può fare, pertanto, lei?

R. Impegnarmi con i limiti e i vantaggi che ho in quanto rappresentante di un Governo amico, per cui ho creduto utile diffondere anche in un pubblico più vasto degli addetti ai lavori una conoscenza più approfondita delle attività svolte in questo partenariato. Un argomento di cui spesso si parla, invece, è la questione fiscale che mi ha occupato non poco prima e durante i negoziati in corso; nella fase attuale l’argomento assume un particolare rilievo, ma è uno dei tanti delle nostre relazioni economiche. Il punto che più mi sta a cuore è lo squilibrio tra la realtà del nostro partenariato economico e la scarsa percezione che se ne ha. La mancanza di conoscenza reciproca è dannosa perché, nel momento in cui sorge un problema, si rischia di adottare soluzioni inadeguate.

D. A quanto ammontano gli scambi commerciali?

R. Complessivamente, nelle due direzioni, nel 2011 sono ammontati a 32 miliardi di euro, importo ragguardevole nel quale ha notevole rilievo l’export italiano, rilevante in questo momento; in quell’anno la Svizzera è stata la quarta destinazione di tale export. In questi tempi si sottolinea il ruolo svolto dai Paesi emergenti; avendo trascorso nella mia carriera 8 anni in tali Paesi, sono convinto della loro importanza, ma nel mercato svizzero l’export italiano è davanti a quello di qualunque Paese emergente, e questo vale anche in campo europeo. La Svizzera non fa parte dell’Unione Europea, ma per il grado di integrazione economica è come se ne facesse parte. L’interscambio tra esse ammonta a un miliardo di franchi per giorno lavorativo, cioè ogni giorno lavorativo Svizzera e Unione Europea si scambiamo merci per tale importo. Dopo gli Stati Uniti, la Svizzera è il secondo mercato in assoluto per l’Unione Europea; tra l’8 e il 9 per cento delle importazioni o esportazioni dell’Unione Europea si svolgono dalla o verso la Svizzera. Questi dati danno la misura dell’interconnessione esistente; e abbiamo in comune anche altri aspetti.

D. Cos’altro accomuna la Svizzera ai partner dell’Unione? R. Il tessuto giuridico è estremamente omogeneo: sulla base di accordi bilaterali con l’Unione Europea abbiamo adottato la libera circolazione della forza lavoro, un accordo di libero scambio esiste dal 1972, facciamo parte dello «spazio Schengen», abbiamo accordi per il trasporto terrestre e aereo, quindi lo stesso tipo di legislazione vigente nell’Unione Europea. L’opinione di chi ci considera «fuori dall’Europa» è completamente errata, non vale né per l’Unione Europea né per le relazioni bilaterali tra Svizzera e Italia.

D. Possiamo ritornare sul tema dei trasporti?

R. Nel settore dei trasporti, che mi sta molto a cuore, l’Ambasciata e l’Associazione per lo sviluppo sostenibile hanno realizzato recentemente uno studio sul corridoio 24 Genova-Rotterdam, lungo il quale transitano il 25 per cento delle esportazioni italiane, per un importo di circa 180-190 miliardi di euro, dirette verso i 4 Paesi attraversati, Svizzera, Germania, Francia e Benelux.

D. In che consiste il corridoio?

R. In un’infrastruttura necessaria per lo smaltimento delle merci, di importanza prioritaria se consideriamo che finora tutto passa su strada, anche se questa sta arrivando ai limiti della capienza. La Svizzera ha compiuto una scelta decisiva per il loro trasferimento dalla gomma alla rotaia; ha investito consistenti capitali nella costruzione della galleria di base del San Gottardo che, pronta nel 2016, funzionerà a pieno regime nel 2019; lavori ai quali partecipano massicciamente imprese italiane.

D. Chi se ne avvantaggerà?

R. Non si tratta di un investimento solo per la Svizzera, ma di un contributo alla soluzione dei problemi di viabilità in Europa per almeno 4 decenni, in una visione comune ed europea, e che si concreta sul piano bilaterale dei rapporti tra Italia e Svizzera. Un recente memorandum firmato a Berna tra i ministri Doris Leuthard e Corrado Passera prevede la creazione di interporti merci, il potenziamento delle linee esistenti, la previsione delle linee a venire, la possibilità di cofinanziamenti o pre-finanziamenti di infrastrutture attraverso la frontiera; è un aspetto ancora poco conosciuto, mentre la costruzione della galleria è un fatto più spettacolare.

D. Quanto questa sarà lunga?

R. 57 chilometri. Permetterà il passaggio delle Alpi in pianura, a 500 metri di altitudine. Creerà anche rapporti di natura diversa di avvicinamento e quasi di pendolarismo. Un effetto del genere l’abbiamo avuto con l’apertura della galleria del Lötschberg, lunga 37 chilometri, tra il Vallese e il Canton Berna, grazie alla quale città prima per definizione lontane, sono diventate una la periferia dell’altra. Il rapporto fra Zurigo e Milano si evolverà in maniera sorprendente anche in coincidenza con l’Expo del 2015, alla quale parteciperemo. Rispetto alle circa 4 ore odierne, si impiegheranno 2 ore e 40 minuti per arrivare da Zurigo a Milano, città che potrà diventare così un grande hub ferroviario europeo.

D. E la collaborazione nel settore dell’energia?

R. In questo settore l’aspetto più conosciuto del partenariato tra Svizzera e Italia è l’importazione di energia elettrica da parte dell’Italia, alla quale forniamo il 40 per cento circa delle sue importazioni. Meno conosciuta è la produzione di energia con capitale svizzero in Italia, dove le 4 principali società di produzione energetica svizzere sono presenti con filiali, con una quarantina di centrali tra termiche, idroelettriche, eoliche o solari con un investimento complessivo di circa 4 miliardi di euro. Inoltre si prospetta la costruzione del Tap, Trans Adriatic Pipeline, corridoio transadriatico del quale il Governo italiano è un convinto sostenitore, e che dovrebbe unire Grecia e Albania con la Puglia trasportando gas proveniente dall’Azerbaijan. Il consorzio di gestione per il 42 per cento è svizzero e norvegese, per il resto è tedesco. D. Il capitale italiano non c’entra?

R. Per il momento no, ma la compagine azionaria è aperta. È essenziale comunque che con questo gasdotto possa crearsi in Italia un hub del trasporto di gas nel Mediterraneo e in Europa. Esiste da decenni il Transitgas, gasdotto che trasporta gas dal Mare del Nord verso l’Italia attraverso la Svizzera; il Tap potrebbe servire anche a condurre gas dall’Adriatico al Nord delle Alpi.

D. Cosa fare per la comunicazione?

R. La Confederazione svizzera controlla il 51 per cento della Swisscom, che è presente in Italia con il 94 per cento del capitale della Fastweb. Intendo la comunicazione, tuttavia, anche al di là dell’aspetto settoriale. Come ho detto, mi sono prefisso di contribuire a spiegare il mio Paese in Italia. Prossimamente si svolgerà a Roma il primo Forum per il dialogo Italia-Svizzera, iniziativa che ho lanciato con la rivista di geopolitica «Limes» per riunire per la prima volta gli attori dei due Paesi, oltre che governativi, anche provenienti dall’economia, dai media e dal mondo della cultura.

D. Quali differenze ha notato tra i Governi Berlusconi e Monti?

R. Nella prima parte del mio mandato la ricchezza delle relazioni tra i due Paesi è stata messa in ombra dalla questione fiscale che ha finito per occupare tutto lo spazio con argomenti polemici e toni non necessari tra Paesi amici. Questi toni si sono in seguito smorzati; nel 2012 finalmente è cominciato un negoziato costruttivo ancora in corso. Nei settori delle infrastrutture e dei trasporti i rapporti hanno continuato a svilupparsi, anche perché richiedono un arco temporale di decenni, con momenti di accelerazione o di stallo, fenomeni normali.

D. In campo fiscale su che cosa state negoziando?

R. Su 6 temi. È il negoziato fiscale più vasto e articolato avuto con i Paesi vicini. Il primo riguarda un possibile accordo sul famoso «Rubik», un’imposta sul capitale per il pregresso che non è un’amnistia, lo sarebbe se si trattasse di una frazione del dovuto, che viene calcolato con tre parametri fondamentali: il periodo dal quale il denaro è depositato su un conto estero, il periodo dopo il quale sarebbe stato oggetto di prescrizione e quanto avrebbe reso nel Paese d’origine. Il secondo tema è l’accesso al mercato, la possibilità per le banche dei due Paesi di offrire servizi finanziari attraverso la frontiera, ma non di aprire banche universali in Italia. Il terzo è l’adeguamento allo standard Ocse dell’accordo di doppia imposizione, in vigore dagli anni 70. È paradossale che abbiamo adeguato ad esso negli ultimi tre anni gli accordi con decine di Paesi, tranne che con l’Italia.

D. Perché questo non è avvenuto?

R. E questo è il quarto tema: la condizione per adeguare lo scambio di informazioni è escludere la Svizzera da ogni «black list» di Paesi creata in Italia quando le loro informazioni sono giudicate insufficienti; adeguando l’accordo allo standard Ocse, è logico per noi essere tolti da tali liste. Quinto è l’adeguamento dell’accordo sulla fiscalità dei lavoratori frontalieri, secondo il quale il 38 per cento dell’imposta prelevata alla fonte viene versata dal fisco dei Cantoni limitrofi a quello italiano per i Comuni italiani di frontiera. Sesto punto, il trattamento fiscale di Campione d’Italia, enclave italiana in territorio svizzero. Il negoziato su questi 6 temi attraversa un momento positivo di discussioni approfondite. Nella conferenza stampa di fine 2012 il presidente del Consiglio Mario Monti ha accennato a questi negoziati che ci auguriamo continuino a livello tecnico anche nella fase in cui resta in carica il Governo dimissionario.

D. In che modo la Svizzera affronta la crisi economica mondiale?

R. Rispetto al debito pubblico ci siamo dotati nello scorso decennio di strumenti efficaci equivalenti al pareggio in bilancio, come il «freno all’indebitamento» inserito nella Costituzione nel 2001. In periodi di alta congiuntura economica esso impone di destinare le eccedenze di bilancio alla riduzione del debito, in periodi di bassa congiuntura esso consente invece di creare deficit che servono a non deprimere l’economia. Questo ci ha messo al riparo dall’aumento del deficit e in grado di abbattere i debiti strutturali; il problema del debito pubblico è così sotto controllo. La crisi del debito nell’area dell’euro ha provocato un forte apprezzamento della nostra moneta, arrivata nel 2011 al pareggio con l’euro, mentre un anno prima si cambiava ancora a 1,50 franchi per un euro. Per la nostra industria che vive di esportazioni (circa il 50 per cento del prodotto interno) un tale rapporto di cambio costituiva una grandissima ipoteca, ragione per la quale la Banca Nazionale Svizzera ha stabilito, il 6 settembre 2011, una soglia massima di 1,20 franchi per euro, sotto la quale non si scende. L’obiettivo è stato raggiunto con l’acquisto massiccio di euro sul mercato. Quello del «franco forte» è l’aspetto principale che la crisi economica assume in Svizzera. Abbiamo un grande interesse per un quadro finanziario e politico stabile in Europa, e abbiamo fiducia nell’Europa e nell’Italia circa la capacità di adottare misure di risanamento e di rilancio dell’economia.

D. Quali i progetti per la partecipazione svizzera all’Expo 2015?

R. L’evento è un’occasione di sviluppo delle relazioni tra Svizzera e Italia. Avrà luogo a qualche decina di chilometri dalla frontiera. Siamo stati il primo Paese a presentare un progetto di padiglione, molto originale perché il tema è lo sviluppo sostenibile. Sarà costituito da cibo destinato a essere consumato e che finirà prima o poi, nel periodo dell’Expo; se i visitatori consumeranno subito, o meno, tutto ciò di cui è fatto, sarà l’esempio del rapporto fra l’umanità, il pianeta Terra e le generazioni future. Per la partecipazione, il Parlamento svizzero ha concesso al Governo un credito di 15 milioni di franchi più 8 milioni provenienti da imprese private.

D. In poche parole come descriverebbe la Svizzera?

R. Quello che ci si aspetta dalla natura e dalle montagne: paesaggi bellissimi. Ma anche tutto ciò che non ci si aspetta: città come Berna dove tutto il Centro storico è patrimonio dell’Unesco, città dove si contempla e si crea l’arte contemporanea come a Zurigo e Basilea, dove in giugno si svolge Art Basel, la fiera d’arte più grande del mondo. In Svizzera si investe enormemente in ricerca e sviluppo, i Politecnici sono centri di eccellenza per la ricerca scientifica, vi operano migliaia di ricercatori italiani e non solo. Arte e scienza sono gli aspetti meno conosciuti della Svizzera. 

Tags: Febbraio 2013 Anna Maria Branca Svizzera ambasciate in Italia

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