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MARIO VALDUCCI: AEROPORTI, AUMENTARNE EFFICIENZA E QUALITÀ, PIÙ CHE IL NUMERO

Intervista all’on. Mario Valducci, presidente della Commissione Trasporti della Camera dei Deputati

 

di Romina Ciuffa

Il cielo unico europeo è quello che si profila all’orizzonte del trasporto aereo continentale. Il futuro è alle porte: saranno infatti i satelliti a guidare gli aerei, permettendo di realizzare le cosiddette autostrade dell’aria nelle quali incolonnare, a 850 chilometri orari, serie di velivoli commerciali destinati al trasporto passeggeri, una vera e propria rivoluzione che consentirà di triplicare la capacità di controllo del traffico aereo in Europa. Una sfida tecnologica che l’Europa ha già intrapreso e che costringe i singoli Paesi europei ad attrezzarsi se vogliono far parte di un mercato dalle potenzialità ancora elevate. Ma se tanti aerei volano, altrettanti decollano e atterrano, e allora la sfida si sposta da cielo a terra.
La corsa alla capacità di gestire il traffico non è più nell’aria, ma si svolge sui nastri d’asfalto delle piste aeroportuali. L’Italia è pronta al grande balzo? La Commissione Trasporti della Camera si è posta il quesito e ha svolto un accurato lavoro di indagine che ha dato vita a un’approfondita relazione, presentata nei giorni scorsi. Ne parliamo con il presidente della Commissione on. Mario Valducci. Firmatario con Silvio Berlusconi dello Statuto di Forza Italia nel 1994, dal 1997 è responsabile del partito per gli Enti locali. Eletto alla Camera dei Deputati nel 1994, nel 2001 è stato sottosegretario al Ministero delle Attività Produttive.

Domanda. Non ritiene che l’alto numero di aeroporti sia un fattore limitante per lo sviluppo del sistema?
Risposta. Certo. Ma bisogna partire dalla parte positiva. Dei 100 aeroporti che abbiamo, ben 47 sono commerciali. Questo è sicuramente un patrimonio per un Paese come il nostro che ha il turismo tra i settori di maggiore sviluppo economico e strategico. Ovviamente questo alto numero evidenzia anche la necessità di rendere efficiente il sistema aeroportuale, che invece presenta alcuni grandi problemi. Il primo è costituito dal fatto che solo 7 aeroporti registrano un volume di traffico superiore ai 5 milioni di passeggeri. E questo significa che soli 7 aeroporti coprono l’85 per cento del traffico passeggeri del nostro Paese; e che, di conseguenza, ben 40 aeroporti si spartiscono il restante 15 per cento, ossia uno scarso volume di traffico passeggeri.

D. Il lavoro della Commissione è stato accurato. Quali aspetti ha evidenziato nella relazione svolta?
R. La prima considerazione enunciata è che dobbiamo rendere efficiente l’attuale sistema, senza pensare alla creazione di nuovi aeroporti. E cioè che un eventuale nuovo aeroporto debba essere visto solo come la ricollocazione di un aeroporto già esistente. Ricollocazione che può avvenire, per esempio, per problemi di impatto ambientale, di inquinamento acustico o atmosferico, perché molto a ridosso delle città. Mi riferisco ad esempio all’aeroporto romano di Ciampino, del quale la Regione Lazio ha già stabilito il trasferimento di gran parte dei voli che vi gravitano, in particolare dei «low cost», nella vicino Viterbo. Questa è stata scelta per la presenza di un aeroporto militare; lo sviluppo infrastrutturale dovrà essere incentrato sull’intermodalità, cioè su quel sistema di collegamenti che devono rendere l’aeroporto facilmente raggiungibile e quindi utilizzabile.

D. E la seconda considerazione?
R. Riguarda appunto i collegamenti infrastrutturali che la Commissione ha analizzato nello svolgimento del proprio compito. I nostri aeroporti, anche i più importanti, hanno uno scarso livello di intermodalità. Questo significa, ad esempio, che nessun aeroporto è collegato con una metropolitana cittadina, che solo 6 aeroporti hanno collegamenti su ferro e che gli attuali collegamenti su gomma risultano superati. Facciamo l’esempio di Fiumicino: lungo l’autostrada, che fu realizzata quando questo aeroporto nacque, vi sono ora grandi centri commerciali e il polo fieristico; un’arteria diretta che collegava l’aeroporto con la città è ora una trafficata strada di scorrimento rispondente a diverse esigenze. Deve essere evidente che la carenza di intermodalità è un problema chiave. Ad oggi nessun aeroporto è collegato all’alta velocità. Quindi l’altro punto su cui dobbiamo concentrarci, sia come Governo che come Regioni ed Enti locali, è lo sviluppo di una maggiore intermodalità degli aeroporti principali in cui il Paese vuole investire. È un tema cruciale. Riteniamo che nei prossimi 10 anni il volume di traffico possa raddoppiare dagli attuali 110 milioni di passeggeri ai 230-240 milioni nel 2020. È assolutamente necessario investire da subito in un settore così strategico, per essere pronti tra 10 anni.

D. Che cosa afferma la relazione in merito alla scarsa efficienza del sistema aeroportuale di terra?
R. È indubbio che la qualità del servizio è carente. I nostri aeroporti spesso non sono all’altezza dei volumi di traffico che gestiscono. Il riferimento va soprattutto allo scalo di Fiumicino, che oggi è stato ritenuto dall’Italia l’hub principale, ma che ha impianti per la distribuzione dei bagagli obsoleti e insufficienti. Il Governo però si è mosso, ha varato una legge che, grazie a una tariffa di tre euro inserita nel ticket, consentirà di potenziare gli scali più importanti, quelli sopra i 5 milioni di passeggeri, a condizione che le società di gestione di questi scali investano in tale direzione. D’altronde è emerso con evidenza che le nostre società di gestione aeroportuali devono ancora compiere grandi passi nella qualità del servizio, e devono cercare una maggiore collaborazione con i vettori principali. Perché con un lavoro congiunto società di gestione e vettore principale possono potenziare gli scali nella maniera più efficiente. Il vettore conosce bene le esigenze di cui ha bisogno. Un caso analogo è avvenuto nell’aeroporto di Monaco di Baviera, oggi ritenuto uno dei più efficienti, nel quale alcuni anni fa un terminal è stato addirittura progettato e realizzato insieme dalla società di gestione e dalla Lufthansa. Ritengo quindi auspicabile una maggiore collaborazione tra società aeroportuali e compagnie aeree.

D. Che idea ha degli aeroporti?
R. Amo definirli le cattedrali del terzo millennio. Ovvero centri nei quali transitano centinaia di milioni di persone. L’aeroporto rappresenta per un Paese uno dei principali biglietti da visita. E poiché siamo leader mondiali dei beni culturali, artistici e architettonici, potremmo abbellire i nostri aeroporti con opere che ora giacciono abbandonate negli scantinati dei nostri tanti musei. È un aspetto che dobbiamo assolutamente approfondire. Non solo, ma la realizzazione di nuovi scali potrebbe costituire un’occasione per gli architetti italiani che rappresentano nel mondo la grande scuola del designe italiano, per contribuire in modo più che adeguato alla promozione del made in Italy.

D. A prescindere dal comparto riguardante i passeggeri, non le sembra incompiuto il nostro sistema di trasporto aereo in riferimento ad altri segmenti di mercato?
R. Per quanto riguarda gli altri segmenti, in effetti è poco sviluppato quello relativo alle merci, specialmente per un Paese come il nostro che ha una forte componente di prodotti ad alto valore aggiunto in termini di innovazione e di tecnologia; il trasporto del «fresco», ad esempio, avviene massimamente su gomma. Insomma, se vi fosse un trasporto merci aeroportuale più adeguato rispetto ad oggi, potremmo sviluppare i comparti più deficitari. Un altro settore cui intervenire è quello dei piccoli aerei. Attualmente paghiamo la differenza esistente con altri Paesi europei, come la Francia e la Spagna, dovuta alle maggiori limitazioni imposte dalla nostra legislazione. Il numero di aerei di piccole dimensioni immatricolati in Italia è molto inferiore a quelli di Francia e Germania. In seno alla Commissione si ritiene che l’Enac, Ente Nazionale per l’Aviazione Civile, che oggi gestisce sia i grandi jumbo che i piccoli aerei, possa delegare la gestione di questi ultimi all’Aeroclub d’Italia, mantenendo tutte le proprie funzioni nell’ambito dei grandi aerei commerciali.

D. Per l’Enac la relazione ha evidenziato due problemi: il suo sottodimensionamento e la necessità di trasformarsi in un’Autorità indipendente, secondo l’orientamento della Commissione europea. Quali sono le prospettive?
R. Secondo l’Unione Europea, l’Enac dovrebbe diventare un’Autorità intesa in senso anglosassone. In Italia, invece, c’è la tendenza delle Autorità ad essere molto legate al Governo. Inoltre siamo dinanzi a una contraddizione, perché l’Enac rappresenta le aree destinate al settore aeroportuale, che sono di proprietà demaniali e quindi del Governo. In questa veste esso sottoscrive intese con le varie società di gestione aeroportuali per l’ammodernamento e lo sviluppo delle infrastrutture di servizio. Ma come Autorità dovrebbe anche svolgere un’attività di controllo e di ispezione degli aeroporti; in questo senso, il fatto di rappresentare un bene pubblico, e quindi di essere uno dei protagonisti del sistema aeroportuale, contrasterebbe con l’imparzialità che un’Autorità deve invece avere. Il legislatore dovrebbe, pertanto, considerare la necessità di distinguere questi due ruoli. Questo è un nodo certamente da risolvere. Però bisogna anche ricordare come l’Enac e l’Enav, Ente di Assistenza al Volo, garantiscono al nostro sistema di trasporto aereo un livello di sicurezza che ha pochi eguali nel mondo.

D. Abbiamo 100 aeroporti di cui una quarantina passeggeri, e di essi solo 7 di livello nazionale. Si registra molto municipalismo, accentuato dalla modifica apportata nel 2000 al Titolo V della Costituzione. Che cosa spinge le Regioni e gli altri Enti locali a puntare sugli aeroporti?
R. Il loro interesse nasce in primo luogo dalla carenza infrastrutturale della rete dei trasporti locali e nazionali. Se esistessero collegamenti stradali e ferroviari adeguati ed efficienti, non si andrebbe a costruire un aeroporto a 100 chilometri da un altro. Un ulteriore elemento è che con la modifica del Titolo V della Costituzione lo Stato concorre con le Regioni a determinare la rete degli aeroporti. Di fatto le Regioni sono autonome nella decisione di realizzare o meno un aeroporto nel proprio territorio. Infine esiste un fattore municipalistico e campanilistico: creare una pista di un chilometro e mezzo è sicuramente più semplice che costruire una superstrada di 100 chilometri o una linea ferroviaria della stessa lunghezza.

D. Ma affinché funzionino, le infrastrutture non bisogna pagarle?
R. È esatto. È per questo che la Commissione ha affermano che, se si vuole realizzare un aeroporto con fondi privati, non vi sono ostacoli, pur nel rispetto del necessario equilibrio economico-finanziario. Il problema nasce però quando si chiede a Regioni, Province e Comuni di fornire l’infrastruttura esigendo di fatto dallo Stato le risorse finanziarie per il suo funzionamento e la sua gestione. Questi servizi, quindi, potranno essere resi, ma previa l’assunzione degli oneri finanziari da parte della società di gestione dell’aeroporto.

D. Quanto all’efficienza del sistema, si può affermare che un grande numero di aeroporti equivalga a un grande numero di passeggeri?
R. Guardiamo i dati. Escludendo i la Gran Bretagna che è un’isola, Germania e Spagna registrano 165 milioni di passeggeri l’anno, l’Italia 105 milioni, la Francia 125 milioni. Non credo che l’Italia abbia una capacità di attrazione inferiore ai Paesi che ho citato, anzi. Questo significa che, di fronte a un potenziale notevole come ha riconosciuto nel proprio lavoro la Commissione, abbiamo una scarsa capacità di attrarre altri passeggeri. Fa riflettere il fatto che 40 aeroporti abbiano un numero di passeggeri tra i 15 mila e i 150 mila. È evidente che registrano uno squilibrio finanziario che finisce per gravare sui conti dello Stato, visto che usufruiscono dei servizi dell’Enav, dei Vigili del Fuoco ecc.

D. Quali dovrebbero essere le linee per il settore, nel prossimo futuro?
R. La Commissione è chiara su questo. Entro 10 anni raddoppieremo il numero dei passeggeri. Bisogna investire ora per essere pronti all’epoca. Ma, dato che realizzare le infrastrutture intermodali necessarie è un’impresa rilevante, bisogna non disperdere le energie ma concentrarsi su quegli aeroporti che effettivamente necessitano di esse a causa del numero di passeggeri serviti, anche perché le risorse finanziarie non sono illimitate. Questo pensiamo che vada fatto e che sia l’indirizzo seguito dal Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti.

D. Le Ferrovie dello Stato hanno instaurato la concorrenza nel corto raggio. Di fatto il treno sembra non più complementare ma competitivo, e ha migliorato l’intermodalità. Quali sono le prospettive?
R. Le Fs hanno previsto due collegamenti in Alta Velocità con gli aeroporti di Fiumicino e Venezia perché i due sistemi di trasporto sono complementari. Per i vettori i viaggi più sono lunghi più sono convenienti, per cui essi trovano le loro economicità sui voli europei e intercontinentali. Il trasporto ferroviario rappresenta una complementarietà, come dimostrano le tratte Barcellona-Madrid e Londra-Parigi; per quest’ultima il servizio ferroviario ha scalzato di fatto quello aereo.

D. L’infrastruttura dei trasporti non va ritenuta di interesse nazionale?
R. Così è. Per questo pensiamo a una ripartizione che definisca nazionali gli aeroporti con più di 5 milioni di passeggeri l’anno, regionali quelli da uno a 5 milioni, locali gli altri. Con un’approssimazione del 10 per cento, ovviamente. È una ripartizione che il Governo dovrebbe fare nella redazione del Piano nazionale del sistema aeroportuale. Solo quelli di interesse nazionale dovrebbero avere una partecipazione azionaria dello Stato.

D. Qual è il contributo dell’Enav all’evoluzione del sistema?
R. È grandissimo. L’Enav possiede una scuola di formazione di altissimo livello, si mostra ai vertici per l’efficienza e per l’innovazione rispetto ai partner europei, può vendere queste capacità ad altri Paesi europei che non possono vantare altrettanta storia e qualità.
(con la collaborazione di Francesco Rea)

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