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GIUSEPPE CAIAZZA (S&S): PUBBLICITÀ, CONSUMATORI, PRODOTTI E MERCATO, OGGI

Laureato in Economia aziendale nell’Università Bocconi di Milano e specializzatosi nella Wharton Business School in Pennsylvania e nell’IMD di Losanna, Giuseppe Caiazza ha svolto metà della carriera all’estero, ricoprendo significativi incarichi. È stato direttore marketing in Italia e direttore della filiale argentina del Club Med, direttore delle relazioni esterne in Italia e del marketing nella sede europea di Londra della Ford Motor, direttore generale del marketing e della comunicazione della Toyota Motor in Europa. Dal 2008 è in Saatchi & Saatchi, tra le maggiori agenzie di pubblicità del mondo.

Domanda. Come è organizzata ed opera la sua agenzia in Italia?

Risposta. Siamo organizzati in due comparti: per territori e per settori merceologici, come il mondo della consulenza e dei servizi. Nel nostro mestiere i settori Auto e Beni di largo consumo sono quelli che spendono di più quindi hanno un’importanza particolare. I clienti in campo mondiale sono Procter & Gamble e Toyota. Avendo anni di esperienza nel settore dell’auto, dal 2008 sono a capo del Business Automotive di Saatchi & Saatchi per Europa, Medio Oriente e Africa, a questo si è aggiunto prima l’incarico di presidente di Saatchi & Saatchi Italia, con il preciso obiettivo di sviluppare una strategia per la crescita della società nei prossimi anni. Successivamente sono stato nominato amministratore delegato di Saatchi & Saatchi Italia, con l’obiettivo di attuare questa strategia, sempre cumulando l’incarico europeo.

D. Qual’è la vostra strategia di crescita per l’Italia?

R. Avviata a metà del 2010 e sviluppata nel 2011, si basa su 5 pilastri fondamentali: profittabilità economica, eccellenza creativa, esportazione di creatività, soddisfazione del cliente e soddisfazione delle persone. Pensata per essere sviluppata da qui a 5 anni, nel 2011 ha già fornito risultati più soddisfacenti del previsto. In primo luogo dal punto di vista economico-finanziario, dal momento che abbiamo raggiunto un aumento dell’8 per cento del nostro business. E ancora, grazie alla nostra capacità di lavorare dall’Italia su scala globale, abbiamo realizzato importanti campagne internazionali. L’eccellenza creativa è stata testimoniata dalla vittoria all’Art Directors Club Italiano: abbiamo vinto più premi di qualsiasi altra agenzia. Infine abbiamo centrato anche gli obiettivi di soddisfazione dei nostri clienti e, aspetto più rilevante, la soddisfazione delle persone che lavorano con noi. Questo è essenziale, perché sono proprio le persone il nostro asset principale.

D. Quando all’estero si apprezza la creatività italiana e il made in Italy, si loda il prodotto venduto o l’Italia nel complesso?

R. Dal 2002 al 2010 sono stato all’estero, tra Londra e Bruxelles. Chi sta fuori dall’Italia la vede da lontano, con i suoi pregi e i suoi difetti, ma sente soprattutto quello che gli stranieri pensano di essa. Questi sono anni difficili per il nostro Paese, per cui devo dire che non sempre i commenti sono lusinghieri, ma uno dei pochi aspetti che continuano ad esserci riconosciuti e per cui siamo apprezzati è la creatività. Essendo questo il «prodotto» che nasce nell’azienda per la quale lavoro, traggo una grande soddisfazione nel sapere che Saatchi & Saatchi è considerata un’eccellenza creativa non solo in Italia, ma anche fuori confine. Quando ho citato il raggiungimento dell’obiettivo della nostra creatività all’estero, mi riferivo ai tre progetti realizzati in Italia e che hanno avuto una grande diffusione e un apprezzamento internazionale: il lancio della nuova Yaris della Toyota, campagna pianificata in oltre dieci Paesi in Europa, la campagna «Angry Birds Live» per T-Mobile, e la campagna «No Smoking» per l’Unione Europea.

D. In che è consistita quest’ultima?

R. La campagna fa leva su un forte insight, vale a dire quello per cui gli ex-fumatori sono non solo irresistibili ma anche i migliori ambasciatori della «causa». La campagna si è poi avvalsa di un notevole strumento interattivo: iCoach. Si tratta di una piattaforma online di educazione alla salute che aiuta i fumatori a rinunciare al fumo. La piattaforma, totalmente gratuita, è disponibile nelle 23 lingue ufficiali dell’Unione Europea e ha già dimostrato la sua efficacia: oltre il 30 per cento delle persone che l’hanno provata ha smesso di fumare.

D. Una vostra parola chiave è la partecipazione: come spiegarla?

R. Guardiamo gli anni 80, epoca d’oro della pubblicità o della cosiddetta «attention economy». Le aziende comunicavano le proprie qualità e caratteristiche interrompendo la visione di spettacoli e la lettura di giornali. L’obiettivo era quello di catturare l’attenzione dei consumatori, distogliendola da altro. Un’altra parola chiave era «return on investment», cioè si misurava il ritorno dell’investimento di ognuna di quelle interruzioni di attenzione. Oggi il sistema è cambiato. Le aziende non dovrebbero più considerare l’insieme dei consumatori soltanto come un mercato, ma come una comunità; non devono più chiedere o interrompere la loro attenzione, ma devono aspirare alla loro partecipazione. Più che interrompere devono sedurre. Il risultato da ottenere è un «return on involvement» grazie al quale si ottiene un maggior «return on investment».

D. Quindi cosa vuol dire essere oggi la «participation company», se questo è il background del contesto?

R. Vuol dire essere una società che ha la capacità di sviluppare soluzioni creative, per i prodotti o per i servizi dei nostri clienti, che le persone desiderano guardare, riguardare, passarsi, condividere e addirittura, in alcuni casi, contribuire a crearne di nuovi. Quindi oggi il metro per valutare il successo di una campagna, detto molto banalmente, è la domanda: «Se i miei amici vedono questa campagna, vorranno rivederla»? E, se la rivedono, vorranno condividerla con tutti i loro contatti? Queste sono le domande chiave.

D. Che cosa intende dire?

R. Che tutto questo ha un senso non solo perché sono cambiati i tempi, i mezzi di comunicazione, i paradigmi di consumo delle persone. Ma perché alla fine ciò non fa altro che creare media gratis e aumentare il ritorno sugli investimenti di chi ha investito inizialmente. Noi misuriamo quasi scientificamente la quota di free-media, ossia di pubblicità gratuita, oltre l’investimento pagato, che le nostre campagne riescono a generare grazie al loro contenuto sia qualitativo, perché crea un pour parler nel web, sia quantitativo, perché è quantificabile il numero di articoli e di click che una campagna genera, se è interessante. Questo vuol dire essere una «participation agency». Questo è un metodo il cui successo in altri Paesi ho modo di verificare grazie al mio incarico europeo, specialmente in quelli anglosassoni, e che ritengo un’opportunità anche per il mercato della pubblicità italiano; e ovviamente un’opportunità di lavoro per chi si organizza in maniera tale da saperla cogliere.

D. Com’è strutturato al momento il mercato italiano? Voi avete puntato anche sul digitale?

R. Il mercato italiano oggi è in calo, gli investimenti pubblicitari alla fine del 2011 saranno circa il 2 per cento in meno di quelli del 2010, mentre il dato mondiale è in crescita. È un mercato caratterizzato ancora da un dominio assoluto della televisione. Nei prossimi 12 mesi il web potrebbe diventare il secondo media dopo la tv, ma con una quota che è ancora molto più bassa rispetto alla media europea. In Italia esistono problemi strutturali, la banda larga per citarne uno; però il dato interessante per me è la proiezione emersa nell’ultimo Forum dello IAB secondo la quale entro il 2015 il 20 per cento della comunicazione in Italia sarà digital o via web. È una percentuale già esistente in molti Paesi europei. Per esempio per la nostra holding internazionale, il Publicis Groupe, la quota derivante dai ricavi digital si attesta intorno al 30 per cento sul totale del fatturato; il resto è ripartito tra gli altri mezzi.

D. Il 30 per cento è la percentuale maggiore rispetto agli altri media?

R. La televisione domina ancora globalmente, ma non quanto in Italia e comunque domina nella sua accezione più flessibile. Cioè noi viviamo in un’epoca particolare in cui alcuni definiscono i contemporanei «screen agers», gente che vive nell’era degli schermi. Quando ci si siede a casa, la sera, sul divano, spesso si ha lo schermo del telefonino, quello del televisore e probabilmente anche del computer o dell’ipad se si deve finire del lavoro. Il concetto di televisione va oltre quello schermo perché la si può vedere anche sull’ipad o sull’iphone. Essa offre la possibilità di scegliere tra i vari tipi di canali; questo fa sì che la tv sia ancora il mezzo dominante, ma in un’accezione più moderna.

D. Quanto tempo occorrerà in Italia per la tv digital?

R. All’interno di un mercato che scende, l’unica direttrice che aumenta è la digital, che è ancora molto indietro rispetto alla media europea, ma ogni anno cresce a doppia cifra. Nel caso italiano bisogna vedere se investimenti strutturali, quali quello per la banda larga, saranno compiuti o meno. In altri Paesi, ovunque si vada, ci si connette wi-fi, in Italia è diverso.

D. Voi assicurate un valore aggiunto ai vostri clienti?

R. Per svolgere egregiamente il lavoro dobbiamo conoscere bene i consumatori dei prodotti e dei servizi dei nostri clienti. Il nostro punto di partenza è capire quali sono i «consumer insight» più rilevanti, quali sono le verità essenziali per il consumatore, cosa si aspetta dal prodotto, cosa gli piace, cosa non apprezza ecc. È un lavoro non banale, di assoluta e totale responsabilità nostra, e per questo abbiamo sviluppato tecniche brevettate che spesso vanno ad aggiungersi ai dati di tipo quantitativo che riceviamo dai clienti. Li abbiamo definiti «Xploring».

D. E in cosa consistono?

R. Si tratta di un metodo qualitativo di verifica presso il consumatore messo a punto da Saatchi & Saatchi. Ha come obiettivo primario quello di capire ciò che veramente conta per le persone attraverso le loro esperienze. Non parliamo quindi di interviste, ma di condivisione. La tecnica prevede di passare del tempo con il target e di condividere emozioni e pensieri e capire così cosa lo spinge a consumare un determinato bene o servizio. A differenza dei classici focus group nei quali le persone tendono a dirci ciò che vogliamo sentirci dire, con lo Xploring scopriamo delle verità sulla loro vita perché ci siamo entrati, non abbiamo rivolto delle domande ma abbiamo stimolato delle conversazioni. Se si vuol sapere come si caccia un leone non si va allo zoo ma si entra nella savana.

D. Nel vostro dna ci sono anche i lovemarks: di che si tratta?

R. Essere un lovemark significa ricevere dai consumatori fiducia incondizionata. Un lovemark appartiene a tutti e usa le idee e le emozioni per stabilire relazioni felici e durature con il consumatore. Il nostro focus quotidiano consiste nell’ideare per i nostri clienti soluzioni creative che permettano loro di connettersi in maniera sempre più rilevante con i consumatori, amplificando emozioni, facilitando i dibattiti e la condivisione.

D. In che consiste il «best practice sharing»?

R. Nelle società di consulenza il «best practice sharing», ossia la condivisione delle migliori esperienze operative, è un fattore di successo perché permette di aumentare la qualità del servizio nello stesso tempo, o i risultati di business. Nel nostro caso, per esempio, i nostri talenti continuano ad interagire all’interno del nostro network internazionale, apprendendo ogni giorno nuovi strumenti, nuovi trend e nuove tecnologie per creare idee che stimolino la partecipazione del maggior numero di persone. Tutte queste esperienze vengono poi condivise con i nostri clienti a vantaggio della loro attività.

D. La vostra campagna di lancio del Carrefour Planet contiene un riferimento creativo alla spesa che si trasforma in shopping. Come avete sviluppato questo concetto?

R. Planet è un format innovativo creato da Carrefour per reinventare gli ipermercati con un’offerta, un servizio e una «shopping experience» che fanno invidia ai retailer specializzati. Per questo la tradizionale spesa diventa un piacere, quasi un passatempo. Il progetto di Carrefour Planet è un bell’esempio di comunicazione integrata. Ci siamo occupati della campagna di lancio, dei volantini e delle promozioni e attraverso la nostra struttura specializzata in Shopper Marketing, Saatchi & Saatchi X, anche di tutto l’in-store design. È dagli inizi del 2000 che, primo fra tutte le agenzie, il network Saatchi & Saatchi ha arricchito la propria offerta con X, un’agenzia specializzata a parlare agli shopper, le persone che stanno facendo un acquisto. Il nostro metodo per lo shopper marketing sta nell’avere una struttura di specialisti che sono però perfettamente integrati nella vita e nel lavoro dell’agenzia, e questo per offrire ai clienti soluzioni in grado di trasformare la spesa in una piacevole esperienza.

D. Come giudica la situazione del mercato pubblicitario in Italia, in particolare il ruolo delle agenzie?

R. La mia impressione è che in questo mercato ci siano in generale meno vincoli, meno regole, rispetto agli altri Paesi. È un mercato, a mio avviso, meno strutturato, più confuso e, di conseguenza, meno prevedibile di altri. Un esempio: normalmente nei mercati anglosassoni, quando un’azienda vuole scegliere un’agenzia come partner, non lo fa con frequenza annuale, ma con una prospettiva di partnership di media-lunga durata. Si indicono gare formali retribuite e selettive, non si fanno lavorare 9-10 agenzie senza retribuirle. Essendovi meno trasparenza e minori informazioni, i grandi gruppi internazionali che operano nel nostro settore hanno, quindi, meno interesse ad investire perché non riescono a prevederne i risultati. Se poi a questo si sommano la situazione di bassa crescita del Paese, gli scarsi investimenti strutturali come per la banda larga, le difficoltà del sistema universitario e le rigidità del mercato del lavoro, si capisce come l’eccellenza creativa sia uno dei pochi fattori critici di successo su cui possiamo e dobbiamo continuare ad investire.

Tags: agenzia marketing consumatori design advertising pubblicità brand dicembre 2011

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