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LUCA PALAMARA: GIUSTIZIA, RIFORME SÌ, MA NELL'INTERESSE DEI CITTADINI

La giustizia ha bisogno urgente di riforme: questo, a gran voce, chiede la magistratura associata. Una riforma nell’interesse dei cittadini; perché ciò avvenga bisogna immediatamente varare provvedimenti a costo zero. Fra tutti, è necessario in particolare rivedere la geografia giudiziaria e l’organizzazione degli uffici, che è di epoca ottocentesca». Tirato solitamente in ballo come rappresentante di una categoria o addirittura di una casta gelosa dei propri privilegi, in lotta per diventare il primo potere dello Stato, dominata da elementi che aspirano solo a rapide e fruttuose carriere politiche, il presidente dell’Associazione Nazionale Magistrati Luca Palamara risponde semplicemente, pacatamente e razionalmente ai dubbi e alle domande suscitate, nel cittadino comune, dalle contrastanti versioni e rappresentazioni a lui date del mondo della Magistratura. E nell’interesse del cittadino comune ad avere una vera giustizia Specchio Economico intervista il numero uno dei suoi maggiori protagonisti.

Domanda. Come rivedere l’organizzazione giudiziaria?
Risposta. Abbiamo realizzato uno studio evidenziando quanti uffici giudiziari nel Paese, dal Nord al Sud, sono dotati di personale, sia appartenente alla magistratura sia amministrativo, inferiore alle 20 unità. Occorre il coraggio di procedere a un rafforzamento degli uffici, secondo criteri non meramente soppressivi o di accorpamento di Tribunali inutili, ma basati sulla revisione delle circoscrizioni giudiziarie. Questo è il tema principale per ammodernare il sistema della giustizia, che non può essere disgiunto da quello dell’organizzazione interna degli uffici. Noi per primi diciamo che gli uffici debbono funzionare meglio, per primi sosteniamo che per i profili interni bisogna estendere le cosiddette prassi virtuose, prendendo a modello i Tribunali di Torino o di Bolzano e attuandoli nel resto d’Italia. È chiaro che queste riforme vanno fatte in maniera molto seria e non approssimativa, tenendo conto della specificità delle situazioni e dei luoghi. Stabilito che Tribunali con un organico adeguato possono funzionare meglio di quelli con organico scarso, bisogna considerare il numero dei procedimenti da trattare, che non è omogeneo sul territorio: alcuni uffici giudiziari ne hanno moltissimi e altri meno.

D. Per sanare la giustizia malata basta l’organizzazione degli addetti?
R. Certamente no. Accanto all’ammodernamento degli uffici occorre quello delle procedure, fattore anche questo fondamentale. Il processo civile è il termometro del funzionamento di un Paese democratico. Occorre dare seguito ai principi approvati dal Senato nell’ottobre del 2008, che costituiscono un buon punto di partenza. Non bisogna fermarsi, bisogna semplificare le procedure, avviare concretamente il processo civile telematico. Non vorremmo perdere altro tempo a parlarne senza poi dargli concreta attuazione; non vorremmo trovarci di fronte a uno strumento che, quando entrerà in vigore, sarà già obsoleto. Affinché il processo telematico possa funzionare, occorre predisporre tutto ciò che è necessario al suo funzionamento, le esigenze del personale amministrativo, quelle dei singoli uffici giudiziari chiamati ad operare. In un momento in cui l’economia è in crisi il corretto funzionamento del processo civile è essenziale; per investire in Italia le imprese straniere vogliono essere sicure di poter recuperare gli investimenti senza perdersi in lungaggini processuali. Sono questi i temi che ci interessano e che noi magistrati per primi vogliamo vedere affrontati.

D. E sul processo penale?
R. Bisogna essere molto chiari. Da tempo ne chiediamo l’informatizzazione. Non è più ammissibile che nel 2010, nell’epoca di internet, saltino processi perché non si è riusciti ad eseguire le notificazioni, perché non si trova l’imputato o l’elezione di domicilio è irreperibile. Serviamoci degli indirizzi di posta elettronica certificata per inviare le comunicazioni al difensore. Mettiamo mano a una ragionata depenalizzazione di reati, perché non tutto può essere reato. È ragionevole che, per la guida di auto senza patente, si possa ricorrere a tre gradi di giudizio? Semplifichiamo le fattispecie penali, rinforziamo le sanzioni per le offese ai bene costituzionalmente tutelati, rivediamo il sistema delle informazioni e tutto quello che consente la deflazione del dibattimento attraverso forme alternative. Se tutto questo si realizza, si può parlare di processo breve, ma prima occorre intervenire in queste situazioni non trascurando un ulteriore e grave problema: affinché la macchina della giustizia funzioni occorre dotarla di risorse materiali e umane.

D. Quali ulteriori risorse finanziarie occorrerebbero?
R. La manovra finanziaria dello scorso anno ha operato, per il 2009 e per il prossimo biennio, il cosiddetto taglio orizzontale delle risorse materiali, nella misura del 20-30-40 per cento. E non parliamo dei problemi riguardanti il personale amministrativo: come svolgere le udienze se l’organico è ridotto, se negli ultimi anni non sono state mai accolte le richieste relative alla sua riqualificazione? Solo quando si eliminano queste situazioni si può pensare di far funzionare meglio la macchina della giustizia. Ecco perché noi diciamo «no» alle riforme che non migliorano il processo. Non abbiamo alcuna finalità di scontro, non vogliamo essere trascinati su questo terreno. Diciamo «no al processo breve» perché rischia di creare ulteriori seri problemi al funzionamento della giustizia; quanti processi salterebbero nel prossimo futuro?

D. Quali sono le vostre previsioni?
R. Secondo stime prudenziali, negli uffici giudiziari di Roma il 50 per cento; in altri uffici, tra il 30 e il 50 per cento. Dati più specifici sono stati forniti dal Consiglio Superiore della Magistratura. Ci troviamo di fronte a una prognosi infausta, non possiamo accettare la previsione dell’uno per cento che, oltretutto, si basa su una previsione statica: quanti processi si estinguerebbero al momento dell’entrata in vigore della legge. Dobbiamo adottare una concezione dinamica che tenga conto dei nuovi processi che entrano; ma, soprattutto, vogliamo sottrarci a una campagna mediatica, che respingiamo con forza, secondo la quale il cattivo funzionamento della giustizia ha come unico responsabile il magistrato, che lavorerebbe solo 4 ore al giorno. A questa rappresentazione negativa della giustizia non ci stiamo, perché scarica solo sul magistrato la responsabilità di tutto quello che non va. Numeri alla mano, in occasione della giornata per la giustizia del 5 maggio scorso abbiamo elencato una serie di dati positivi che testimoniano la vera attività del magistrato.

D. Da chi dipende allora il pesantissimo arretrato esistente?
R. È vero che noi abbiamo sulle spalle 5 milioni e mezzo di cause civili e un milione e mezzo penali, ma i motivi sono molteplici, l’abbiamo dimostrato in vari studi: tra essi l’enorme numero di procedimenti in entrata, l’elevato tasso di litigiosità, l’eccessiva farraginosità delle procedure, la diversa organizzazione e dislocazione degli uffici giudiziari, l’enorme numero di avvocati presenti in Italia. Tutto ciò rende difficile fronteggiare la crescente domanda di giustizia. Ma questo non lo dice Luca Palamara, non lo dice l’Associazione Nazionale Magistrati: abbiamo una serie di dati tratti dagli studi della Cepej, la Commissione europea per l’efficienza della giustizia, che mostrano come il tasso di produttività dei magistrati italiani sia uno dei più alti in Europa, sicuramente più che in Francia, Germania e Spagna. Sono dati che smentiscono categoricamente l’opera di delegittimazione dei singoli magistrati e dell’intera Magistratura. Opera che, agli occhi dei cittadini, appare negativa, perché è vero che le istituzioni giudiziarie devono rispettare le altre istituzioni, ma meritano a loro volta rispetto.

D. Quali dovrebbero essere i rapporti con la classe politica?
R. È sul tappeto la riforma non dei processi ma della Magistratura, in particolare dei rapporti tra questa e la classe politica. Con tale riforma non si risolve il problema di un migliore funzionamento della giustizia. L’interesse dei cittadini è che i processi funzionino, che si svolgano in tempi ragionevoli. Le riforme costituzionali, l’assetto del Consiglio Superiore della Magistratura, la separazioni delle carriere fra magistrati inquirenti e magistrati giudicanti, l’obbligatorietà dell’azione penale, riguardano un altro campo, il rapporto tra politica e Magistratura.

D. Qual’è la vostra posizione in proposito?
R. Non vogliamo essere portati su un terreno di scontro, vogliamo evitare la strumentalizzazione delle singole inchieste giudiziarie, non possiamo accettare la divisione dei magistrati in buoni e cattivi, in rossi e neri. Vogliamo adempiere imparzialmente il compito che la Costituzione ci attribuisce, quello cioè di applicare la legge nei confronti di tutti. Il nostro «no» a queste riforme non deve essere scambiato come un arroccamento della magistratura a difesa dei propri privilegi; noi per primi desideriamo essere propositivi, vogliamo cambiare per primi, e lo stiamo facendo al nostro interno; propugniamo un’autoriforma anche in riferimento al Consiglio Superiore della Magistratura, alla valutazione delle professionalità, alla scelta dei dirigenti. Sono questi i temi cruciali che oggi inducono la Magistratura ad affrontare un rinnovamento non più rinviabile, che consenta di superare tutti i problemi legati alle cosiddette logiche di appartenenza. Chiediamo che il capo di un ufficio giudiziario sia nominato per il merito e per la professionalità.

D. Le varie figure di giudici onorari - giudici di pace, goa, got ed altro - come attualmente operanti sono utili al funzionamento della giustizia?
R. Quello della Magistratura onoraria è un altro problema ineludibile, da affrontare. Il punto fermo è la Costituzione, secondo la quale alla magistratura si può accedere solo mediante concorso. Comunque non possiamo trascurare l’apporto dato dalla Magistratura onoraria al funzionamento della giustizia. Esistono anche questioni pratiche, come quelle di carattere previdenziale, da regolamentare. Ritengo che l’argomento debba essere oggetto di un esame serio, lungo e attento, tenendo fermi però i «paletti» cui ho accennato.

D. In conclusione, qual è il problema di fondo?
R. Soprattutto nel processo penale dobbiamo concentrarci non sulle formalità inutili che fanno perdere tempo, ma sulle reali garanzie difensive. Questo è il problema di fondo. Il processo penale oggi non funziona, ma il Governo si propone di introdurre il processo breve quando è all’esame del Parlamento un disegno di legge che rischia di squassarlo ancora di più: mi riferisco alla norma che impedisce al presidente del collegio di eliminare i testi sovrabbondanti della difesa. Questo significa che se un difensore adduce 300 testi e il giudice deve interrogarli, non si giungerà mai a sentenza. Questi sono i temi che dovrebbero realmente interessare il legislatore. Per concludere mi richiamo all’invito del Capo dello Stato Giorgio Napolitano: impegnarsi in riforme di carattere organico e sistematico, di cui ha bisogno il sistema giudiziario; quindi basta con le guerre, affrontiamo seriamente i problemi.

Tags: codice penale diritto penale politica magistratura Gennaio 2010 Luca Palamara

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