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MICHELE VIETTI: GIUDICI, PIÙ PROFESSIONALITÀ E AUTOREVOLEZZA

Michele Vietti

Eletto lo scorso luglio dal Parlamento riunito in seduta comune, come uno degli otto componenti non togati del Consiglio Superiore della Magistratura, l’on.le Michele Vietti ha ottenuto il massimo riconoscimento: essere considerato al di sopra delle parti. Pur essendo esponente di rilievo di un partito politico, l’Udc, sui 26 voti dei consiglieri ne ha riportati ben 24 con due sole schede bianche, riuscendo eletto alla carica di vicepresidente di quell’organo la cui guida è istituzionalmente riservata al Capo dello Stato, Giorgio Napolitano. Il quale ha definito il suo nuovo vice come il «presidente di tutti». Laureatosi in Giurisprudenza nel 1977 nell’Università di Torino, Vietti ha scelto la professione di avvocato ma presto ha seguito la propria passione politica. È stato consigliere del Comune a Torino, del Teatro Stabile e del Museo del Cinema. Deputato per la prima volta nel 1994, dal 1998 al 2001 è stato consigliere del Csm, ha presieduto la Commissione per il Regolamento e ricoperto l’incarico di vicepresidente della I Commissione. Rieletto deputato, è stato sottosegretario al Ministero della Giustizia e al Ministero dell’Economia e delle Finanze rispettivamente nel secondo e nel terzo Governo Berlusconi succedutisi dal 2001 al 2006. Nel 2007 è stato eletto vicesegretario dell’Unione di Centro e l’anno seguente, confermato alla Camera, ha assunto l’incarico di presidente vicario del Gruppo dell’Udc. Ha svolto un’intensa attività parlamentare e ha presieduto le Commissioni ministeriali per le riforme del diritto societario, del diritto fallimentare, delle professioni intellettuali. È professore di Diritto societario comparato nell’Università San Pio V di Roma, di Diritto commerciale nell’Università Luiss di Roma ed è stato docente nella Scuola di specializzazione per le Professioni forensi dell’Università Roma Tre.
Domanda. La magistratura è da qualche anno al centro di aspre polemiche per un presunto debordare dai suoi poteri. Secondo lei, quale funzione le va riconosciuta?
Risposta. La magistratura svolge una funzione indispensabile e insostituibile in ogni comunità organizzata. Senza di essa non ci sarebbe chi fa rispettare le leggi, chi applica le regole al caso concreto, chi distribuisce i torti e le ragioni, chi condanna e chi assolve. Vivremmo ancora nella logica della sopraffazione da parte del più forte. Pertanto, prima e al di là di tutte le polemiche, bisogna rispettare la Magistratura e la sua funzione che è alta e nobile.
D. In concreto come si manifesta questa delicata funzione che le è stata affidata?
R. Tradizionalmente l’immagine della giustizia viene rappresentata con la spada e la bilancia. La spada richiama il concetto della forza, la bilancia quello dell’equilibrio. Difendere la funzione giurisdizionale e il ruolo della magistratura è essenziale: le polemiche non devono mai farci dimenticare la funzione di protezione sociale che la magistratura svolge. Non per nulla fin dagli albori dello Stato moderno alla magistratura è stata riconosciuta la dignità di «potere»; da Montesquieu in poi, al potere legislativo e a quello esecutivo, è stato affiancato, con pari dignità, il potere giudiziario.
D. Questo avveniva in passato, e in passato appunto tutti sono apparsi per lo più d’accordo su questa distinzione. Ma oggi in Italia sembra che non esista più un confine preciso. Che cosa sta avvenendo?
R. Sono un convinto sostenitore della separazione dei poteri, il che però vuol dire che ciascuno deve poter esercitare il suo. Il Parlamento ha il diritto di scrivere le regole, ma nessuno può illudersi che il giudice possa essere solo la mitica «bocca della legge». Non c’è dubbio che la magistratura partecipi alla definizione del diritto vivente. Questa è la frontiera su cui si registrano le permanenti frizioni tra politica e giustizia. La politica rivendica la propria legittimazione popolare, che la magistratura non ha, ma questo non può esonerarla dal rispettare essa stessa le regole e dal rimettersi al vaglio del giudice delle leggi, cioè della Consulta, ossia della Corte Costituzionale. Il confine, comunque, diventa inevitabilmente meno marcato laddove nascono nuovi diritti ancora da tutelare, fenomeno tutt’altro che inconsueto in una civiltà moderna come la nostra, in continua evoluzione.
D. Quali sono, secondo la sua conoscenza ed esperienza di avvocato e di parlamentare, questi nuovi diritti? Essi possono definirsi veramente tali, anziché semplici aspirazioni, o legittime aspettative, o addirittura infondate o esagerate pretese, talvolta perfino in contrasto con il sentimento comune e con i valori preponderanti della società?
R. Oggi non siamo più in presenza di soli diritti reali e delle tradizionali obbligazioni, che hanno costituito oggetto di legislazione dall’antica Roma al ventesimo secolo. Le nuove esigenze e richieste di singoli individui e di vari strati della società di cui si chiede il riconoscimento attengono a bisogni emergenti nella coscienza sociale, che riguardano la vita e la morte, la libertà, la sensibilità etica, il costume, il danno esistenziale e ambientale. Ma potrei continuare ancora a lungo.
D. Se siamo in presenza di tante nuove istanze, più o meno fondate, più o meno legittime, più o meno condivise, quale deve essere e qual è, allora, il preciso compito della Magistratura?
R. L’ampliamento della sfera dei diritti spetta al potere legislativo, che ultimamente lo esercita su iniziativa del potere esecutivo, ossia del Governo. Il giudice è chiamato ad applicare la legge nel contesto di una realtà dinamica e complessa, e dunque ad interpretarla. È su questo presupposto che nasce l’interrogativo se il suo compito si avvicini o possa avvicinarsi a quello del legislatore, e quale sia la sua legittimazione.
D. Ma su questo possono influire i criteri con quali vengono selezionati oggi i magistrati?
R. Nel dibattito in corso sulla giustizia rientra anche il sistema del loro reclutamento. Il quesito posto è se basti superare un concorso per assumere una funzione così delicata ed essenziale. Va scartata la proposta avanzata da qualcuno di selezionare i giudici ricorrendo ad elezioni, perché questo metodo non garantirebbe l’assoluta autonomia e indipendenza dei prescelti. Ma poiché dal superamento del concorso al momento del pensionamento trascorre quasi mezzo secolo, occorrono un aggiornamento e una verifica continua della professionalità dei magistrati.
D. Il Consiglio Superiore della Magistratura deve svolgere numerosi compiti, che spesso sono anche molto delicati. Uno di questi è appunto quello di garantire la massima professionalità possibile dei magistrati. Come adempie questo impegno? In che modo può misurare la professionalità di più aspiranti quando è in palio un unico posto, una sola promozione?
R. Alla professionalità riconosciuta dalla selezione iniziale, derivante dal superamento del concorso, deve seguire un lavoro costante e attento di aggiornamento dei magistrati, di approfondimento delle conoscenze, di arricchimento delle esperienze, di osservanza continua anche dei principi della deontologia professionale, su cui inevitabilmente si innestano le valutazioni del Consiglio.
D. A partire dagli anni 80, secondo alcuni la magistratura si è sostituita agli altri due poteri dello Stato in più occasioni e in vari modi. Si è assistito in un primo tempo, negli anni 70, al fenomeno definito dei «Pretori d’assalto»; successivamente, negli anni 80, alla cosiddetta «Supplenza dei magistrati»; per giungere a un sistema che ha fatto definire l’Italia «La Repubblica dei procuratori». Alle critiche e accuse per questi sconfinamenti oggi se ne aggiungono altre: per il crescente passaggio di magistrati nella politica, sia nel Parlamento che nel Governo; per l’attribuzione alla magistratura in genere o a parte di essa dell’intenzione di voler addirittura rovesciare Governi in carica e maggioranze parlamentari con azioni politiche piuttosto che giudiziarie, attuate da giudici e pubblici ministeri, non da politici democraticamente eletti dal popolo. Sarà in grado il Consiglio Superiore della Magistratura di dare un contributo positivo al superamento di contrasti tra poteri dello Stato, di rafforzare l’immagine della categoria, di confermare la fiducia che comunque ha in essa il cittadino comune?
R. Nel corso di questi miei primi mesi da vicepresidente ho avuto modo di rendermi conto che il lavoro che mi attende è in primo luogo quello di sminare, evitare i contrasti dentro e fuori la magistratura. Se da qui alla fine del mio mandato riuscirò a disinnescare una mina al giorno lungo il percorso della giustizia, molto probabilmente avrò reso un buon servizio al Paese. La difesa dei magistrati passa innanzitutto attraverso la garanzia della loro autorevolezza e credibilità. Bisogna evitare anche solo cadute di stile che possono comprometterle agli occhi dei cittadini. Proprio in mancanza di quell’investitura popolare, a cui ho già detto di essere contrario, il potere giudiziario deve trovare la propria legittimazione in una rigorosa selezione del personale. Spetta al Csm esserne custode sia in positivo, quando decide su carriere, capi degli uffici e formazione, sia in negativo, quando si esprime in sede disciplinare sulla deontologia.
D. Gli intenti sono lodevoli. Ma non è più complicato raggiungerli se da una parte le decisioni del Csm sempre più spesso vengono impugnate dinanzi ai Tribunali amministrativi che ne vanificano l’opera? E se, dall’altra, aumenta il numero dei magistrati che passano alla politica e alla scadenza del mandato tornano nella magistratura?
R. Indubbiamente questo continuo aumento dei ricorsi al Tar, che riguarda non solo i provvedimenti del Csm ma ogni mancata promozione, vincita di un concorso, trasferimento, nomina ecc., allunga i tempi e rende precaria ogni decisione. Quanto all’andirivieni dalla magistratura alla politica, la mia opinione è che sarebbe necessario un intervento normativo per rendere definitiva la scelta del magistrato che intende entrare in politica, obbligandolo ad abbandonare la toga per sempre. Se si vuole davvero difendere l’autonomia e l’indipendenza della magistratura, occorre preservarne l’imparzialità.

Tags: Ministero della Giustizia amministrazione giudiziaria giustizia magistratura dicembre 2010 Michele Vietti

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