ILARIA BORLETTI BUITONI: FAI, UN FONDO PER L'AMBIENTE CHE È ATTIVO SIN DAL NOME
Da un’idea di Elena, figlia del filosofo Benedetto Croce, a sua volta ispirata dal National Trust inglese, il 28 aprile 1975 nasceva il Fondo Ambiente Italiano che, non a farlo apposta, aveva in sé già il germe dell’azione nell’acronimo FAI. Lo scopo, sin dal primo momento, coincideva con l’attivazione di mezzi per la tutela, la conservazione e la valorizzazione del patrimonio artistico, naturale e paesaggistico italiano. Giulia Maria Mozzoni Crespi, Renato Bazzoni, Alberto Predieri e Franco Russoli firmavano l’atto costitutivo e lo statuto di una fondazione senza scopo di lucro, che da allora si è retta con il contributo privato a partire dal primo, quello dell’avvocato Piero di Blasi, che donava 1.000 metri quadrati a Panarea, nell’arcipelago delle Eolie. Da allora molta la strada per arrivare alle ultime significative acquisizioni, quella ad esempio del Bosco di San Francesco ad Assisi, area donata al FAI da Intesa Sanpaolo nel 2008, a cui ha messo mano anche l’artista Michelangelo Pistoletto tracciando il solco rappresentante l’opera «Il terzo paradiso», visibile dall’alto.
Si tratta di 60 ettari di tipico paesaggio umbro dominato dalla Basilica di San Francesco e ricco di colline, radure, oliveti, querce, biancospini e ginestre; con il torrente Tescio che l’attraversa, i resti di un complesso benedettino del XIII secolo - tra cui la Chiesa di Santa Croce, il Ponte di Santa Croce e un mulino in attività fino al secolo scorso - e una torre di avvistamento. Tra le altre donazioni, il negozio Olivetti in Piazza San Marco a Venezia e Villa Fogazzaro Roi a Oria di Valsolda, in provincia di Como. Oggi il FAI ha all’attivo 45 beni, di cui 24 regolarmente aperti al pubblico.
Ecco in sintesi i numeri dal 1975 ad oggi: oltre 67 milioni di euro raccolti e investiti in restauri; 5.283.000 metri quadrati di paesaggio protetto; 5 milioni di visitatori nei vari beni; 6.700 beni aperti al pubblico e valorizzati nelle 19 edizioni della Giornata Fai di Primavera, con 6 milioni di visitatori e 100 mila studenti coinvolti nel ruolo di «apprendisti ciceroni»; un milione di studenti sensibilizzati sul tema della tutela del patrimonio artistico e paesaggistico; oltre 50 mila luoghi del cuore segnalati a Comuni e Sovrintendenze come «a rischio di abbandono e degrado» e 21 beni salvati grazie al censimento; 80 mila iscritti; 114 delegazioni in 20 regioni italiane con oltre 7 mila volontari in tutta Italia; più di 500 aziende sostenitrici ogni anno.
Oggi alla guida del FAI è Ilaria Borletti Buitoni, già membro del consiglio di amministrazione dal 2008 e presidente regionale del FAI-Umbria dal 2007; nel 2009 ha preso le redini della fondazione sino ad allora presieduta da Giulia Crespi e spiega lo scopo rinviando al quanto l’associazione comunica: «La fondazione si occupa di proteggere, restaurare, riaprire al pubblico e far tornare a vivere splendidi gioielli dell’arte e della natura del nostro Paese. È un lavoro impegnativo che non ammette soste: dai castelli e complessi monasteriali ai giardini e luoghi di natura, dalle ville e case d’arte alle piccole gemme che impreziosiscono il territorio, tutti i nostri beni necessitano quotidianamente di cure e attenzioni per garantire nel tempo la loro corretta conservazione».
«Da una parte–continua la presentazione–, i grandi progetti di restauro conservativo, adeguamento impiantistico, manutenzione degli impianti tecnologici di sicurezza; dall’altra i tanti piccoli e grandi interventi di manutenzione ordinaria su opere e ambienti, azioni costanti che permettono un continuo monitoraggio sullo stato di conservazione e una corretta programmazione degli interventi di restauro. Un lavoro immenso che non sarebbe possibile realizzare senza il sostegno concreto di tanti italiani che credono in noi e condividono i nostri valori».
Domanda. Qual è la strada italiana per una tutela ambientale a 360 gradi?
Risposta. Nonostante i tempi difficili, ho accettato la presidenza perché ritengo che la «strada FAI» sia oggi l’unica percorribile in Italia per affrontare il problema dello stato del patrimonio culturale, non essendo più l’amministrazione pubblica in condizione di affrontarlo da sola. Le fondazioni come il FAI sono private, ma svolgono una funzione pubblica, e per questo motivo sono le uniche in grado di occuparsi di quest’opera di mantenimento e di valorizzazione del patrimonio culturale. Proprio come facciamo noi.
D. È recente il crollo dell’intera Domus dei Gladiatori di Pompei, danno gravissimo al nostro patrimonio. Era necessario giungere a tanto per attirare l’attenzione del ministero dei Beni e delle Attività culturali?
R. Pompei è stato un esempio, poi divenuto molto significativo: si è trattato di un caso drammatico di come una mancata manutenzione continua, soprattutto in siti delicati come quelli archeologici, possa provocare danni immensi. In realtà lo stato del patrimonio culturale italiano è drammatico ovunque, perché ad esso non sono destinate risorse adeguate e ciò pone a rischio la conservazione di centinaia di chiese, di siti archeologici, di musei grandi e piccoli, di monumenti, di un patrimonio che, valorizzato, potrebbe costituire una grande ricchezza, ma che lo Stato non è assolutamente in grado di mantenere.
D. Qual è l’azione del FAI per far sì che la situazione italiana nel settore culturale migliori?
R. Svolgiamo essenzialmente due attività. Innanzitutto ci occupiamo dei beni che ci vengono affidati, che sono specifici, monumentali, o naturali come il Bosco di San Francesco, restaurandoli, riaprendoli al pubblico, gestendoli. Svolgiamo un compito di tutela del patrimonio culturale, ma non solo: ci occupiamo attivamente di sensibilizzazione nei confronti della gente.
D. L’articolo 2 del vostro statuto afferma che la fondazione ha come scopo esclusivo l’educazione e l’istruzione della collettività alla difesa dell’ambiente e del patrimonio artistico e monumentale: in quale modo è data attuazione a tale disposto?
R. Tre sono i grandi eventi nazionali che il FAI organizza durante l’anno: il più noto è la Giornata di Primavera, una grande festa nazionale in cui ogni anno si aprono in esclusiva agli italiani le porte di centinaia di beni in tutte le regioni. I «Luoghi del cuore» è, invece, il censimento nazionale che dal 2003 chiede agli italiani di segnalare quei luoghi degradati, in pericolo imminente o meno, che si vorrebbero tutelati e salvati. Il progetto ha l’obiettivo di coinvolgere concretamente tutta la popolazione e di contribuire alla sensibilizzazione sul valore del nostro patrimonio artistico, monumentale e naturalistico. Attraverso il censimento, il FAI sollecita le istituzioni locali e nazionali competenti affinché prendano atto del vivo interesse dei cittadini nei confronti delle bellezze del Paese e mettano a disposizione le forze necessarie per salvaguardarle; ma esso è anche il mezzo per intervenire direttamente, dove possibile, nel recupero di uno o più beni votati. Infine, «Alla riscossa - Giochi di assalto ambientale» è un gioco a squadre che permette agli italiani di riappropriarsi della storia e della cultura delle proprie città, divertendosi.
D. Lei crede che i giovani oggi siano sensibili a questi temi, e che lo siano più o meno delle precedenti generazioni?
R. A mio parere sono sensibili perché comprendono che vivere in un Paese che riconosce il patrimonio culturale significa vivere meglio. Francesi e inglesi abitano in luoghi che riconoscono il proprio patrimonio culturale, e i giovani sanno che si vive meglio quando si parla di paesaggio in termini diversi. La cementificazione non piace.
D. Come si può parlare di una «cementificazione» anche per i giovani, che non hanno gli strumenti per operare attivamente?
R. Direi questo: l’esempio viene sempre dall’alto. Viviamo in un Paese in cui tutti i partiti che si sono succeduti non hanno mai posto attenzione ai valori culturali italiani - tanto che il ministero dei Beni culturali in 5 anni ha perso il 30 per cento dei fondi -; e non hanno mai bloccato la cementificazione che, come è stato ben detto da Salvatore Settis in «Paesaggio, costituzione, cemento», è fino a 10 volte più alta di quella in ogni altro Paese europeo; è allora difficile che i giovani nascano con delle idee diverse, ma vedo anche che, quando noi parliamo del nostro impegno, otteniamo da loro una risposta molto viva. Evidentemente c’è bisogno di un esempio.
D. Cosa fa specificamente il FAI per sensibilizzare i giovani?
R. Per raggiungere questo fondamentale obiettivo, da oltre 15 anni ha avviato un programma di proposte didattiche per le scuole, convinto che sensibilizzare i giovani nei confronti del patrimonio culturale e ambientale sia il primo decisivo passo per diffondere una cultura di rispetto e di tutela delle bellezze uniche del nostro Paese. In quest’ottica il settore scuola educazione della fondazione propone alle scuole dell’infanzia, primaria e secondaria di I e II grado attività formative improntate ai principi della «pedagogia della scoperta» e del «fare scuola nel territorio»: dalle visite scolastiche e dai laboratori didattici nei beni della fondazione ai concorsi nazionali, dall’attività degli apprendisti ciceroni che parlano ai visitatori dei beni in occasione di eventi quali la Giornata FAI di Primavera, ai progetti di educazione ambientale realizzati a livello sia nazionale sia locale.
D. È viva la polemica sui «graffitari», da alcuni considerati vandali da altri artisti di strada; è inefficace l’ordinanza romana antiwriter in vigore dal febbraio 2010, che punisce chi imbratta edifici pubblici e privati con una sanzione fino a 500 euro e col ripristino dello stato dei luoghi. Nel 2011 il Campidoglio ha accertate solo una decina di violazioni. Come giudica tutto ciò?
R. Sono del parere che le multe siano da infliggere, e che siano salate. È necessario anche educare, a partire dalle scuole. Ma le maestre non possono neppure proibire agli alunni di portare il telefonino in classe perché i genitori le contestano. È difficile che da scuole in cui il principio di autorità è stato a tal punto messo in discussione escano studenti che rispondono in maniera positiva alle ordinanze di questo tipo. Va rivisto il concetto di educazione civica sui beni pubblici. La scuola è un patrimonio comune il cui obiettivo è l’apprendimento proprio e degli altri. Ammettendo il telefonino all’interno delle classi si è rallentata l’attività scolastica, ma questo non è considerato un problema; ne consegue che nessuno si preoccupi nemmeno delle gesta di chi rovina il patrimonio collettivo. Pertanto tutto dipende da una ripresa dell’educazione civica sin dalle scuole.
D. Tod’s, nella persona di Diego Della Valle, si è impegnata tempo fa a finanziare la realizzazione di interventi sul Colosseo mettendo a disposizione 25 milioni di euro. Il Paese ha una buona considerazione del paesaggio e dell’ambiente ma, data la crisi economica, i privati difficilmente riescono a intervenire. A maggior ragione come possono aiutare una fondazione?
R. Il problema consiste nel fatto che non sono favoriti dal fisco. È necessario favorire l’investimento privato con un regime fiscale diverso anche per le persone fisiche, perché adesso è penalizzante; è necessario consentire di creare fondazioni come la nostra in maniera più semplice. Infine va protetto il paesaggio, che è un valore culturale: è inutile restaurare un bene se il patrimonio paesaggistico intorno è distrutto. Il FAI si mantiene con le donazioni sia dei privati sia delle aziende e delle istituzioni. Diego Della Valle ha seguito un metodo diverso, stringendo un accordo con lo Stato per sponsorizzare il restauro del Colosseo, operazione peraltro molto contestata da un sindacato. Personalmente la ritengo un’iniziativa molto positiva per evitare che il Colosseo cada a pezzi come è accaduto a Pompei.
D. Qual è la giusta via, secondo lei, per i piani regolatori?
R. Bisogna eliminare le cause del conflitto fra Stato, Regioni e Comuni, perché in Italia questi ultimi guadagnano sugli oneri di urbanizzazione e hanno interesse a stimolare la cementificazione. Il primo obiettivo è mettere ordine tra i tre livelli decisionali che ora sono in contrapposizione. Quindi ridare alle Sovrintendenze la possibilità di controllare il territorio, mentre adesso non hanno più nemmeno i soldi per comprare la carta per le stampanti; restituire ai ministeri i compiti di tutela che spettano loro; far rispettare le leggi sulla tutela e sulla pianificazione del territorio; evitare i condoni.
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