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GEN. GIUSEPPE VALOTTO: ESERCITO, SEMPRE PRONTO A SERVIRE LA COLLETTIVITÀ

Giuseppe Valotto, Capo di Stato Maggiore dell’Esercito Italiano

Nominato sottotenente dei carristi dopo aver frequentato l’Accademia Militare di Modena, l’attuale capo di Stato Maggiore dell’Esercito, generale di corpo d’armata Giuseppe Valotto, veneziano, ha percorso una brillante carriera: passando, con incarichi di comando, per le divisioni corazzata «Ariete» e meccanizzate «Folgore» e «Mantova», ha prestato servizio nella stessa Accademia di Modena e si è specializzato nella Scuola di Guerra di Civitavecchia; divenuto ufficiale di Stato Maggiore dell’Esercito, è stato capo ufficio del segretario generale e direttore nazionale degli Armamenti del Ministero della Difesa. Dopo altri alti incarichi, ha comandato la brigata multinazionale Nord a Sarajevo ed è stato vicecomandante del Corpo d’armata di reazione rapida del comando Nato in Europa a Rheindahlen in Germania. Rientrato in Italia, è stato capo dipartimento Impiego del personale nello Stato Maggiore. Ed ancora: comandante delle Forze KFOR in Kosovo, presidente del Centro alti studi per la Difesa in Roma e comandante del Comando operativo di vertice interforze in Roma. Dal 17 settembre scorso è capo di Stato Maggiore dell’Esercito. È insignito di numerose decorazioni. Laureato in Scienze Strategiche, parla fluentemente l’inglese e ha un’ottima conoscenza del francese.

Domanda. Può illustrare quali sono attualmente la consistenza, l’efficienza e il coordinamento dell’Esercito con le altre Forze Armate?
Risposta. Nell’ultimo decennio l’Esercito è stato al centro di profonde trasformazioni, la più rilevante delle quali è stata la sospensione, nel 2005, della leva obbligatoria per l’adozione del modello professionale, che ha comportato la drastica riduzione del personale effettivo. Oggi l’Esercito ha una forza di circa 110 mila unità tra uomini e donne, prontamente impiegabili in relazione ai molteplici impegni richiesti dall’attuale scenario internazionale ai quali la Forza Armata è chiamata a rispondere. La progressiva e costante riduzione di risorse finanziarie destinate alla Difesa ha accelerato la razionalizzazione della struttura, che oggi deve puntare necessariamente sulla qualità più che sulla quantità, anche se uno strumento militare così composto comporta paradossalmente oneri finanziari più elevati.

D. Per quale motivo?
R. Perché alla crescita della spesa per il personale, relativa a stipendi e indennità, si è affiancata la necessità di mantenere ad adeguati livelli quella per la formazione e per l’addestramento degli uomini, per la manutenzione dei mezzi e delle infrastrutture necessarie al funzionamento della Forza Armata, nonché i fondi destinati all’investimento, indispensabili per il mantenimento dell’efficienza e per l’ammodernamento di mezzi e materiali. Nelle voci destinate all’investimento è rilevante quella per ricerca e sviluppo, diretta ad assicurare ai nostri militari la disponibilità di strumenti aggiornati e adeguati ai mutevoli compiti che sono chiamati ad assolvere.

D. Cosa è stato fatto in tal senso?
R. Mantenendo una visione uomo-centrica che riconosce il ruolo preminente della componente umana nell’assolvimento dei compiti istituzionali dell’Esercito, i progetti si sono concentrati sull’accrescimento dell’efficienza e della sicurezza del soldato sul campo d’operazione. La trasformazione cui si è sottoposto ha reso lo strumento militare snello, orientato ai risultati, multidisciplinare ed efficace, vista la necessità di rispondere, in tempi brevi, a una molteplicità di impegni in campo nazionale e internazionale. In questo mutato contesto è divenuto imprescindibile il coordinamento con le altre Forze Armate. La pianificazione degli interventi militari avviene in un’ottica interforze, con un’unica gestione attraverso un apposito comando. Il successo nelle operazioni militari diventa frutto di una collaborazione tra tutte le componenti della Difesa, che devono concorrere per il raggiungimento dello scopo comune.

D. Com’è cambiato il ruolo dell’Esercito in questi anni?
R. L’avvio della professionalizzazione ha automaticamente comportato una progressiva rivitalizzazione del suo ruolo. Da un lato, la sospensione della leva obbligatoria e l’introduzione del servizio militare femminile hanno dato nuova visibilità ad esso, alimentando il rapporto ormai consolidato su basi di reciproca fiducia; dall’altro, il crescente coinvolgimento in impegni internazionali e in territorio nazionale ha confermato il ruolo della Forza Armata quale strumento al servizio del Paese, del cittadino e della società, in una molteplicità di interventi che vanno dalle operazioni di sostegno alla pace e di tutela degli interessi nazionali in campo internazionale, al ruolo di supporto e di collaborazione con le Forze di Polizia e di Protezione Civile. Contemporaneamente, nel suo processo di avvicinamento verso la società civile la Forza Armata si è proposta come istituzione «educational», in grado di mettere a disposizione, soprattutto dei giovani, le proprie capacità educative e formative. Attraverso intese con altre istituzioni nazionali e locali l’Esercito è diventato il partner istituzionale per una serie di progetti destinati ai giovani nell’ambito scolastico, dell’orientamento e del collocamento professionale.

D. Qual è il rapporto tra l’Esercito e le imprese nazionali operanti nel comparto militare?
R. Quello che tra Esercito e Industria militare era stato, nel passato, un necessario connubio, è diventato indispensabile per l’operatività di entrambi i settori. Da un lato l’obbligatorietà di un ammodernamento continuo dei mezzi, degli strumenti e degli equipaggiamenti usati dai militari qualifica l’industria per la Difesa quale partner privilegiato dell’Esercito nello sviluppo e nella realizzazione dei progetti di ricerca; dall’altro lato, il ruolo di una moderna industria della Difesa diventa quello di naturale interlocutore per l’Esercito nel momento in cui nuove esigenze tecnologiche emergono, soprattutto per garantire ai militari elevati livelli di sicurezza e di protezione nello svolgimento dei propri compiti. Il costante rapporto tra Esercito e imprese operanti nel comparto militare garantisce anche uno scambio continuo di informazioni tra il mondo civile e quello militare sulle innovazioni tecnologiche disponibili. Quanto sviluppato e prodotto in uno dei due ambiti viene facilmente trasmesso e adattato all’altro, in relazione alle esigenze.

D. Può fare un esempio?
R. La realizzazione del progetto congiunto Forza NEC, network enabled capabilities. Nel perseguire la visione uomo-centrica, Forza NEC ha come obiettivo principale la riduzione dei tempi di comunicazione e trasmissione di informazioni nell’ambito delle operazioni militari inserendo lo stesso soldato, con il suo determinante apporto, all’interno dello stesso processo decisionale. In questo modo il soldato operante sul campo ha la possibilità di essere costantemente in contatto con il centro decisionale avendo accesso, in tempo reale, a tutte le informazioni di cui ha bisogno e trasmettendo, sempre in tempo reale, quelle che egli ha l’opportunità di raccogliere. Tale tempestività nella trasmissione delle informazioni accresce la sicurezza individuale, non più demandata al solo equipaggiamento, consentendo di agire prima che le minacce si materializzino e accelerando i processi dei decision makers in tutti i livelli.

D. In quali missioni è impegnato l’Esercito, all’estero e in Italia?
R. Insieme alle altre Forze Armate italiane è impegnato in vari fronti, in operazioni dirette alla stabilizzazione, alla pacificazione e al ripristino della legalità in diverse aree di crisi. L’impiego fuori area, ossia fuori dai confini nazionali, in operazioni condotte sotto l’egida dell’Onu, della Nato e dell’Unione Europea, coinvolge circa 6.900 militari dell’Esercito. Esse vanno dall’assistenza addestrativa e tecnico-militare in Paesi come Albania, Iraq, Malta, a missioni come osservatori dell’Onu in Sahara occidentale, Medio Oriente e al confine tra India e Pakistan. Le missioni di sostegno alla pace in Afghanistan, Bosnia, Kosovo, Libano, Sudan assorbono il maggior numero di militari e di risorse. Determinante è il peso che, grazie all’Esercito, l’Italia ha avuto e continua ad avere nelle operazioni internazionali, quale concreto contributore all’attuazione della politica dell’Alleanza Atlantica e dell’Unione Europea. Contemporaneamente a quelli dislocati in diverse parti del mondo, circa 5.300 militari dell’Esercito sono impegnati nel territorio nazionale nel quadro delle operazioni «Strade sicure» e «Strade pulite». Va ricordato anche il tempestivo ed eccellente intervento degli uomini dell’Esercito in occasione del terremoto in Abruzzo, dello scorso aprile, in collaborazione con le strutture di protezione civile, nonché il determinante contributo in uomini e mezzi per la corretta gestione e per garantire le misure di sicurezza al prestigioso meeting del G8 svoltosi in luglio all’Aquila, senza dimenticare il contributo dell’Esercito nella recente alluvione di Messina.

D. Quale contributo dà l’Esercito alla ricostruzione dei Paesi in cui sono i militari italiani?
R. È impegnato in una serie di iniziative dirette a favorire il processo di pacificazione e stabilizzazione. Poniamo attenzione alla ricostruzione del tessuto istituzionale e sociale di quelle aree. In tale ottica i militari svolgono attività di assistenza tecnico-militare, di formazione e di addestramento delle locali Forze Armate e di Polizia. Sul piano più direttamente orientato alla ricostruzione e al ristabilimento del tessuto sociale, sono impegnati in attività strategiche di cooperazione civile-militare per una soluzione duratura delle situazioni di crisi, come la realizzazione, in collaborazione con le autorità locali e con altre organizzazioni, di progetti in favore delle popolazioni colpite.

D. Che cosa riguardano?
R. I progetti, che coinvolgono una serie di professionalità in uniforme molto diversificate, prevedono la creazione o ristrutturazione di pozzi, ponti, scuole, infermerie, ospedali ecc., l’assistenza sanitaria e veterinaria, la scolarizzazione e l’educazione, l’integrazione multiculturale. I fattori per la riuscita sono la capacità di acquisire in tempi brevi il consenso della popolazione locale e la possibilità di far valutare i risultati dai destinatari, donne, uomini, ragazze e ragazzi. La cooperazione civile-militare richiede flessibilità, adattabilità, capacità comunicative, tecnico-operative, linguistiche e interculturali, campi nei quali il soldato italiano eccelle per la facilità con la quale instaura un dialogo costruttivo e leale con qualsiasi componente della popolazione.

D. Come si sviluppano i rapporti con gli Eserciti di altri Paesi?
R. Lungo varie direttrici. Innanzitutto attraverso rapporti bilaterali o multilaterali che consentono il confronto e lo scambio di informazioni su problemi comuni. Su un piano più formale, la Forza Armata contribuisce a iniziative politico-militari in sinergia con altri Paesi europei, quali l’European union battlegroups; la Multinational land force - con Slovenia e Ungheria - per l’assolvimento delle missioni previste dall’Unione Europea; il comando Eurofor con sede a Firenze a composizione italiana, francese, spagnola e portoghese. Nell’ambito della Nato il contributo dell’Esercito avviene prevalentemente attraverso gli uomini impiegati nelle missioni internazionali, ma anche con la partecipazione a strutture e comandi dell’Alleanza Atlantica, come il Nato rapid deployable corps Italy dislocato in Italia; il Multinational cimic group, presso Motta di Livenza, nato nel 2002 e alimentato con personale di Grecia, Italia, Portogallo, Romania e Ungheria; il 1° e il 2° multinational chemical, biological, radiological, nuclear defence battalion, rispettivamente a guida ceca e tedesca.

D. Quali rapporti avete con la stampa nei teatri operativi?
R. Quando mi avviai alla carriera militare, la nostra prima reazione all’intervento della stampa era la chiusura: nessuno poteva parlare. Poi la mia generazione cominciò ad aprirsi. Un giorno, da comandante di battaglione, ricevetti la visita del rappresentante di un partito; mi chiesi perché a un gruppo di rotariani potevo mostrare la mia caserma, a lui no. Durante un G8 ho illustrato a un giornalista il funzionamento di quell’organismo, e molte persone mi hanno detto: «Lo sa che abbiamo capito cosa state facendo?». Oggi il mondo militare è estremamente aperto, non abbiamo nulla da nascondere. Spesso in Afghanistan ho consentito ai giornalisti di partecipare ad operazioni non particolarmente rischiose, ma mentre noi diffondiamo notizie solo dopo averle verificate, spesso la stampa non aspetta la conferma e va incontro a smentite.

D. Perché i soldati italiani sono più graditi di altri?
R. Perché sono più aperti, più portati al dialogo, hanno capacità e facilità di comunicazione, anche con le persone umili. È un aspetto del nostro carattere; i nostri contatti con la popolazione locale riescono sempre positivi, anche nelle aree più difficili. Sono stato tre volte comandante di operazioni all’estero e ho constatato che la gente si affeziona a noi anche se la nostra presenza, pur finalizzata al raggiungimento della pace, in realtà viene imposta. E questo avviene anche con popolazioni che non concedono facilmente l’amicizia.

D. Il servizio di leva insegnava molto ai giovani. Non ritiene che adesso a questi possa mancare qualcosa?
R. Le Forze Armate debbono molto alla leva, ma la società è cambiata, i giovani viaggiano, c’è internet, parte delle funzioni sociali svolte dalle Forze Armate sono venute meno, mentre occorrono professionalità, efficienza, capacità operativa negli elementi che dobbiamo inviare all’estero. C’è stata una rivoluzione culturale. Le Forze Armate italiane sono diventate uno dei nostri migliori strumenti di politica estera, ma non facciamo solo questo: siamo intervenuti per l’emergenza-rifiuti a Napoli e a Palermo, abbiamo garantito la sicurezza al G8 all’Aquila, abbiamo spalato la neve a Milano. Siamo uno strumento che, quando la società ha bisogno, risponde egregiamente. Siamo una struttura completa, autosufficiente e molto utile, e abbiamo un ottimo rapporto con la Protezione civile che, nel momento della massima emergenza, deve rivolgersi a noi e noi rispondiamo.

Tags: Ministero della Difesa forze armate Esercito Italiano Difesa capo di stato maggiore novembre 2009

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