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PASQUALE DE VITA: BENZINA, UN PO' DI GREGGIO E TANTI ALTRI COSTI

Un autorevole giornalista economico, esperto del mondo petrolifero, nelle ultime settimane si è posto, e ha posto, la domanda: perché il prezzo del petrolio si è dimezzato e quello della benzina no? E ha seccamente riassunto i dati: il 10 luglio scorso un barile di greggio importato in Italia costava 141 dollari, un litro di benzina 1,52 euro e altrettanto circa un litro di gasolio; tre mesi dopo, il 21 ottobre, un barile di greggio era sceso a 66 dollari, la benzina a 1,27 euro, il gasolio a 1,24 euro. Ossia: il prezzo di quello stesso barile di greggio era sceso di oltre il 50 per cento, ma quello dello stesso litro di benzina del 17 per cento; e del 19 per cento quello del gasolio. Si doveva necessariamente pensare che le compagnie petrolifere, così pronte ad aumentare il prezzo della benzina ad ogni aumento di quello del greggio, non lo sono affatto nel caso inverso.
Poi faticosamente è emersa la spiegazione, deludente per i consumatori ma purtroppo reale. Con una propria inchiesta il giornalista ha chiarito che il mancato tempestivo e corrispondente ribasso ha varie cause: il cambio tra l’euro e il dollaro, e in particolare l’aumento del 16 per cento del valore di quest’ultimo; il costo pressoché fisso della raffinazione, che incide sul prezzo di benzina e gasolio e non certo su quello del greggio; i costi del trasporto dal luogo di estrazione a quello della raffinazione e poi della distribuzione; il prelievo fiscale che in Italia costituisce, tra Iva e accise, la maggior parte del prezzo alla pompa.
E ancora: i costi di stoccaggio e di distribuzione, che prescindono dal prezzo del greggio, i margini destinati alle compagnie petrolifere e ai gestori degli impianti; altri fattori che cambiano ogni giorno. Quindi una serie di voci, di costi rigidi, estranei e fuorvianti per chi non conosce la lunga e complessa catena del petrolio. Solo il prezzo industriale può spiegare il relativo enigma: in tre mesi questo è sceso del 30 per cento per la benzina e del 28 per cento per il gasolio; quindi la parte di prezzo alla pompa destinata alle compagnie è scesa un po’ meno del prezzo del greggio, ma comunque in misura comparabile con questo.
Tre le conclusioni: la prima, il prezzo alla pompa non può coincidere con il costo tal quale del greggio che va poi raffinato con i relativi costi della materia prima; la seconda, i margini delle compagnie non necessariamente aumentano quando il prezzo del greggio diminuisce, essendo agganciati al prezzo internazionale del prodotto raffinato (Platts); la terza, dal momento che questa sfilza di costi è soggetta a qualsiasi verifica, «non stupisce che le compagnie non abbiano modo di barare», ha concluso l’inchiesta del giornalista. Ma ascoltiamo ora, in questa intervista, la spiegazione del super-esperto, Pasquale De Vita, già presidente dell’Agip ed ora dell’UPI, l’Unione Petrolifera Italiana, associazione che rappresenta le aziende operanti nel settore della raffinazione e della distribuzione di prodotti petroliferi.

Domanda. Qual è la situazione nel settore petrolifero dopo la grande crescita e l’improvvisa ricaduta dei prezzi del greggio?
Risposta. Nel nostro settore abbiamo due grandi anomalie. La prima consiste nel fatto che i produttori di materia prima, ossia di petrolio, sono a tutti gli effetti un «cartello» in base al quale ne regolano le immissioni al consumo, il che significa che concordano il prezzo, mentre questo non avviene in maniera così palese e rigida negli altri settori. La seconda anomalia è questa: sul mercato del greggio, che ormai è diventato parallelo a quello finanziario, si sono lanciati operatori finanziari, investitori e speculatori di tutti i tipi, i quali hanno ritenuto che questo in fondo fosse un mercato del tutto simile a quello costituito dalla borsa.

D. Quali conseguenze ha provocato questo fenomeno?
R. Quando, a causa delle incipienti difficoltà economiche, i consumi di carburante hanno cominciato a calare, i futures e in generale tutte quelle sovrastrutture finanziarie di borsa create artificiosamente sul mercato reale della materia prima sono state spazzate via. In un primo momento, mentre la situazione generale andava diventando sempre più difficile, i prezzi dei prodotti petroliferi hanno continuato a salire, ma le nostre previsioni di allora si sono rivelate esatte: quando arriverà una crisi, pensavamo, questo andamento non potrà reggere, allora si verificherà il ripiegamento dei prezzi.

D. Ma come spiega allora il fatto che, mentre si è ridotto e in misura anche notevole il prezzo del petrolio all’origine, un’analoga riduzione non si è registrata nei prezzi di vendita alla cosiddetta «colonnina»?
R. In realtà la riduzione dei prezzi alla «colonnina» c’è stata ed è stata consistente, in linea con la flessione delle quotazioni dei prodotti raffinati scambiati a livello internazionale. I numeri sono lì a dimostrarlo. La crisi da noi prevista è arrivata non dal petrolio, bensì dalla finanza. Se fosse stata determinata dall’andamento reale del mercato petrolifero, avrebbe certamente travolto l’economia; invece a travolgere quest’ultima è stata la finanza ed anche il greggio ne ha subito le conseguenze. Per questo il suo prezzo è calato e le speculazioni su di esso per il momento sono scomparse, anche se ne permangono alcune perché c’è chi guadagna sul greggio anche quando il suo consumo e comunque il prezzo scendono. Ma non si tratta di speculazioni così massicce come quelle compiute fino a qualche tempo fa.

D. Chi sono precisamente gli speculatori?
R. Esistono operatori indipendenti che acquistano greggio direttamente dai Paesi produttori; non si tratta di grandi quantità, e non è neppure escluso che dietro questi operatori si nascondano alcuni di questi stessi Paesi; comunque la speculazione è sempre esistita in ogni campo e non c’è da meravigliarsene tanto. Specula chi ha grandi somme di denaro ma, appunto per questo, è facile individuarlo. Occorre tener conto che gli operatori non petroliferi negli ultimi anni hanno realizzato nel mercato petrolifero compravendite per un importo finanziario cinque volte superiore ai capitali che nella stessa attività impiegavano prima. Si sapeva che prima o poi questa speculazione sarebbe finita perché si sarebbe giunti al punto in cui per l’economia non sarebbe stato più possibile sopportarne le conseguenze, ossia il crescente aumento del prezzo dei prodotti energetici. Non si è verificato esattamente questo solo perché sono intervenute altre cause a bloccare il fenomeno. Questo è accaduto e sta tuttora accadendo.

D. Ma quali sono state in particolare queste altre cause?
R. Un po’ perché spinta dalla situazione reale, un po’ perché spaventata dalle disastrose previsioni che vengono fatte, a un certo punto la massa dei consumatori rallenta il consumo di beni e servizi, riduce gli acquisti. Considerata la minore richiesta, gli operatori del settore petrolifero cominciano a ridurre le scorte sovrabbondanti, perché è inutile e costoso mantenere riserve adeguate a una domanda che non c’è più; cala il quantitativo totale di greggio chiesto ai produttori, conseguentemente cala il prezzo e si estrae meno greggio. Si assiste anche a un altro fenomeno: visto che da lungo tempo i Paesi consumatori stanno aumentando le scorte, i Paesi produttori cominciano a ridurre la produzione.

D. A quanto ammontano solitamente tali scorte e di quanto è diminuito il consumo dei vari prodotti petroliferi?
R. Vi sono due tipi di scorte. Il primo comprende quelle operative, che sono necessarie alle aziende per la loro attività commerciale, ossia per la vendita; il secondo tipo comprende quelle che la legge impone agli operatori di tenere obbligatoriamente, al di sotto delle quali non si può scendere (pari a circa 90 giorni di consumo); il consumo di queste può essere autorizzato soltanto con un decreto legislativo del Ministero dello Sviluppo economico. Quanto ai consumi attuali in Italia, riferendomi a quelli più appariscenti che sono costituiti dalla benzina e dal gasolio, la prima ha perso molto, il secondo meno; sommando i due prodotti però la riduzione è stata del 2 per cento. Si tratta di un calo consistente se si scindono i due prodotti: i consumi di benzina sono diminuiti infatti del di oltre il 7 per cento, quelli del gasolio sono aumentati in misura marginale; il 2 per cento costituisce la media, ma va ricordato che le quantità consumate di benzina e di gasolio sono molto diverse.
D. Quanto ne risentono le aziende operanti nel settore e, più in generale tutto il mondo che dipende direttamente dal petrolio, in primo luogo il trasporto delle merci? Hanno ottenuto provvidenze dal Governo o da altri enti?
R. Molti operatori risentono della situazione che si è determinata; hanno avuto alcune agevolazioni ma inadeguate. Quanto al settore del trasporto vanno distinti i due comparti del grande e del piccolo trasporto; il primo parte da tutta Italia e si riversa in Europa; il piccolo serve i mercati locali. È ricorrente l’osservazione che i prezzi dei prodotti agricoli crescono notevolmente a causa del trasporto, ossia dei carburanti; ma a un conto dettagliato di tutte le voci del trasporto, a cominciare dal gasolio, si scopre che l’aumento è esiguo. Occorre chiedersi a chi va, invece che al produttore, il consistente aumento dei prezzi che si riscontra al mercato. E perché quando il prezzo del petrolio è crollato, riducendosi di un terzo, i prezzi di tutti gli altri prodotti non sono scesi altrettanto, anzi sono rimasti gli stessi?

D
. Può dare lei una risposta a questo interrogativo del quale le masse dei consumatori non riescono ad avere una spiegazione? Sono state ridotte le imposte sui carburanti?

R. Quando il prezzo del greggio ha cominciato a scendere, si è sentito parlare di un’imminente riduzione della tassazione su di essi. Ma invece delle accise, a scendere sui prodotti petroliferi è stato il silenzio. Si è assistito all’adozione da parte del Governo di provvedimenti riguardanti vari campi come retribuzioni, attività commerciali o imprenditoriali ecc.; sono stati apportati alcuni ritocchi ma nulla è stato fatto nel campo petrolifero. In qualche altro Paese è stata ritoccata l’Iva su alcuni prodotti, ed è probabile che anche in Italia possa verificarsi qualche intervento. Negli anni passati sarebbe stato più facile ridurre le imposte sui carburanti, dati i crescenti consumi; al momento però è più difficile, appunto perché i consumi si sono ridotti e il gettito fiscale nel complesso è già diminuito, a danno del fisco ma non a vantaggio dei consumatori.

D. Il settore petrolifero non ha avuto altre facilitazioni, ad esempio nell’attività commerciale svolta dai gestori di impianti? A che punto è il progetto di ridurre il numero degli impianti aumentandone le competenze e contenendone i costi?
R. Una parte delle nostre proposte è stata accolta anche in conseguenza delle norme europee che hanno liberalizzato la costruzione di alcuni impianti. Ma noi riteniamo che quanto concesso risolverà molto poco, perché con le nuove norme sorgeranno tanti altri piccoli impianti che ridurranno i volumi venduti dai grandi e costringeranno il settore a praticare costi di distribuzione ancora alti; purtroppo questo è il risultato che si è voluto. Noi eravamo disposti a realizzare accorpamenti, ma la proposta ha avuto poca fortuna. Competenti in materia sono le Regioni le quali qualcosa hanno fatto, ma in controtendenza, rendendo possibile una proliferazione di piccoli impianti che non aiuta a contenere i costi e quindi i prezzi. Siamo assistendo a un consistente aumento di piccole strutture. Dovremmo auspicare che l’aumento dei costi e la riduzione delle vendite inducano i gestori ad abbandonare gli impianti inadeguati, ma soluzioni di questo genere mi sembrano ininfluenti.

D. Quali risultati ottengono le vendite di carburanti attraverso la grande distribuzione?
R. Hanno guadagnato alcuni punti, ma aumentano lentamente perché, a parte il fatto che si tratta di un numero di rivendite abbastanza limitato, non sono ubicate nelle migliori posizioni e condizioni, non hanno le comodità che si trovano altrove. Inoltre si sta verificando un’inversione di tendenza. La spiegazione è questa: per ottenere condizioni migliori, e ciò riguarda tutti i prodotti commercializzati meno che la benzina, gli ipermercati hanno costituito grandi centrali di acquisto che riforniscono le varie strutture commerciali associate; questo sistema però ostacola, se non sopprime del tutto, il ricorso di queste ultime al mercato libero. Un negoziante che potrebbe comprare nel mercato libero si trova invece il prezzo bloccato dal contratto d’acquisto. Quindi è in atto un movimento a favore dei piccoli che vorrebbero recuperare questa possibilità, anche perché dove sono realizzate iniziative di centri commerciali aventi alle spalle una grande organizzazione per gli acquisti, i piccoli, che non hanno più avuto la possibilità di comprare le merci liberamente sul mercato, sono scomparsi. Il mercato viene fatto dal centro d’acquisto, che è molto più forte nei confronti del consumatore e forse non presenta tutti quei vantaggi di cui si sente parlare.

Tags: oil&gas Pasquale De Vita Gennaio 2009

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