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GIOVANNI MALAGÒ: PROGETTI CONCRETI, UNICA CONDIZIONE PER AVVIARE LA RIPRESA

Ha tre agende. E le aggiorna di continuo. Una di dimensioni normali, sulla quale Giovanni Malagò annota con scrittura affrettata, quasi un graffito, gli impegni giorno per giorno, con un solo vocabolo, raramente un paio, ed è sul lato sinistro della scrivania. Una grande, in formato protocollo, in cui pianifica incontri, appuntamenti, impegni, promemoria per la settimana. E che cancella ora per ora, con un intreccio di linee fitte, segnate con la biro blu, dal quale traspaiono le aree gialle o rosse che avevano contraddistinto le annotazioni della settimana, forse per importanza o per argomento, della sua attività imprenditoriale, o sportiva, o finanziaria; della vita sociale o affettiva, se significativi o di scarso interesse, fino a farne a fine giornata un disegno spontaneo ma ragionato, quasi un Jean-Michel Basquiat con la biro invece dei pennelli e dei colori, cioè una previsione degli impegni futuri o una custodia della memoria. La seconda agenda è collocata sulla scrivania, davanti alla sua poltroncina.
C’è poi un terzo quadernino, di poche pagine color crema poco più grandi di una carta di credito, sul quale annota segnali e parole con una scrittura meno frettolosa e approssimativa di quella delle agende giornaliera e settimanale, e che subito ripone nella tasca interna della giacca. Tre agende che, insieme, hanno poco a che fare con l’intensa rete di impegni quotidiani di un Malagò iperattivo, con tempi scanditi e rispettati con rigore. Ma significano molto con la sua visione della realtà, e costituiscono il diario interiore più segreto della sua volontà di eliminare, dal proprio intimo, le convenzioni più formali anche se importanti della giornata. Come erano i graffiti tracciati sui muri delle case dei quartieri più popolari di New York, più per nascondersi che per esprimersi, da Basquiat, il pittore haitiano amico di Andy Warhol.
Giovanni Malagò è forse il personaggio dell’alta borghesia romana più noto anche a livello internazionale, descritto per l’amicizia con l’avvocato Giovanni Agnelli, con le più belle donne del cinema e delle famiglie romane, con Luca di Montezemolo conosciuto a Cortina alla fine degli anni 70, disponibile per tutti ma poco conosciuto nella realtà. Rispetta e asseconda impegni, richieste e riti quotidiani della migliore classe sociale romana e internazionale, ma nell’intimo ne rimane estraneo. Come romano, ha molto poco delle abitudini del milieu della capitale dedito abitualmente alla perdita di tempo. Malgrado le apparenze e le descrizioni di giocoso e ammirato «bon vivant» che ne fanno tutti, di romano ha molto poco: è considerato l’ottavo re di Roma ma potrebbe essere svizzero o americano di Washington.
«Non è facile circoscrivere in poche parole quello che sento di essere. Sono una persona che nelle cose vede sicuramente un aspetto più positivo che negativo, perché in genere ho avuto la fortuna e il privilegio di occuparmi di ciò che mi interessa e che in certi casi mi appassiona–premette–. Questo mi consente anche di mettere una carica supplementare di energie, direi anche di entusiasmo, in quello di cui mi occupo. Vengo da una tipica storia di imprenditoria familiare, ed è per me motivo di orgoglio aver contribuito alla continuità delle società fondate da mio padre Vincenzo nel corso degli anni. Società concentrate nel settore dell’automobile, che hanno avuto notevoli evoluzioni e anche momenti di involuzione, dal periodo quasi pionieristico del dopoguerra al primo boom economico con l’auto diventata simbolo della crescita del Paese, fino alle difficoltà che oggi colpiscono il settore. Tanti momenti belli con record di fatturati e di auto immatricolate, e tanti difficili, con poco mercato e tasse molto pesanti nei segmenti auto e nautica di cui ci siamo sempre interessati».
Nato nel 1959, conseguite la maturità scientifica e la laurea in Economia e Commercio con il massimo dei voti, ha cominciato a lavorare nell’azienda con il padre all’inizio degli anni 80, appena terminato il liceo scientifico nell’istituto San Giuseppe De Merode di Piazza di Spagna a Roma, creato nel 1850 e retto dai Fratelli delle scuole cristiane. La madre Livia era nipote di Pietro Campilli, ministro delle Finanze e dell’Industria in vari governi De Gasperi, e del governatore della Banca d’Italia Donato Menichella.
Ma invece che con il pedigree familiare, oggi Malagò si presenta con una ventina di incarichi significativi: amministratore delegato del Gruppo Sa.Mo.Car rappresentante i marchi Ferrari e Maserati per Lazio, Campania, Toscana e Sardegna; presidente e amministratore delegato Samofin; consigliere di amministrazione dei cantieri nautici Itama nonché di Unicredit, Auditorium-Parco della Musica di Roma, Tecnimont, Maire-Tecnimont; amministratore delegato e socio al 50 per cento con Lupo Rattazzi di GL Investimenti; advisor per l’Italia di HSBC, prima banca del mondo.
«La nostra azienda è partita da una rappresentanza Ford ed è diventata concessionaria di Ferrari e Maserati, di cui è la partner più antica e la maggiore rappresentante nel mondo. È stata anche per dieci anni la concessionaria che vendeva più auto e moto BMW: solo per essa avevamo più di 300 addetti. Oltre a Rolls-Royce e Bentley abbiamo rappresentato anche marchi di largo consumo come Seat. È la storia di un successo dovuto a mio padre, per 15 anni presidente dell’associazione dei concessionari di auto e cavaliere del lavoro. Io ho cercato di apportare il mio entusiasmo, la mia energia e un po’ di modernità diversificando l’attività con investimenti in settori eterogenei, con risultati talvolta di grande successo, talvolta meno», racconta Giovanni Malagò.
Ha creato una holding con interessi abbastanza variegati, dalle esperienze di semplice rappresentanza alle partecipazioni finanziarie e imprenditoriali in settori come la nautica, polo parallelo a quello delle auto di lusso, in società di ingegneria, nel settore immobiliare, in supermercati, grande distribuzione, progettazione di impianti petrolchimici, infrastrutture, ristorazione. «Conscio delle difficoltà del momento per il Paese e per aziende, credo che quanto è stato fatto negli anni passati consenta ottimismo, e questo è nella mia natura».
Più lungo, ma non meno significativo, è il curriculum dedicato alle attività e agli impegni nel mondo dello sport, aperto nel 1997 dalla presidenza dell’esclusivo Circolo Canottieri Aniene fondato nel 1892, che vanta la medaglia d’oro al merito sportivo. Circolo insignito, primo in Italia, del collare d’oro, la massima onorificenza nel mondo dello sport, e primo come società a squadre nel nuoto, canottaggio, canoa, tennis, con tre medaglie d’oro e una d’argento alle olimpiadi di Pechino. Membro della giunta esecutiva del Coni, Malagò conta altre benemerenze: presidente del comitato promotore e organizzatore dei campionati del mondo di nuoto del 2009, stella d’oro al merito sportivo, vincitore di 15 edizioni della coppa canottieri calcio a 5, presidente di Acquaniene Sportclub, nuovo centro polifunzionale di impianti sportivi con un organico di oltre cento persone, membro dell’accademia olimpica nazionale, cavaliere dell’A.S. Roma Calcio.
Numerosi sono i successi da lui conseguiti nella sua personale pratica sportiva, con vittorie in tre campionati italiani di calcio a 5 con la Roma RCB, in un campionato d’Europa e in quattro Coppe Italia di cui due con il CC Aniene; ha fatto parte della nazionale italiana che ha partecipato al campionato mondiale in Brasile nel 1986. Un curriculum sportivo che gli ha fruttato il titolo di «atleta azzurro d’Italia» e nel 2002 la stella d’oro al merito sportivo. In precedenza aveva presieduto nel 1998 e 1999 il comitato organizzatore dei campionati internazionali d’Italia di tennis, il comitato organizzatore degli europei di pallavolo; ed è membro dell’accademia olimpica nazionale.
Domanda. Per le sue molteplici attività, svolte in vari settori di interesse generale, è un personaggio molto conosciuto. La notorietà la disturba o la soddisfa?
Risposta. È dovuta in gran parte al mio impegno nello sport e in tutto ciò che è legato alle attività sportive, che fa parte della mia vita parallelamente al lavoro. Tuttora sono molto coinvolto in questo campo perché è una passione in più rispetto a quella che pongo in qualsiasi attività di cui mi occupo. Ho sempre praticato sport a buoni livelli. Ho cominciato nel 1997 come presidente del comitato organizzatore dei 50 anni della Ferrari 1947-1997, un evento storico contrassegnato da una partecipazione impressionante di pubblico. Ho svolto tutte queste attività nello sport con spirito di volontariato. È un mio modo di interpretare un ruolo in cui credo moltissimo, di civil servant, un contributo a favore della collettività.
D. A che ora comincia la sua giornata?
R. Il primo appuntamento in genere è alle 8,30 ma in alcuni giorni anche prima. Fatico a sopportare le colazioni e le cene di lavoro; per quanto mi sforzi di evitarli, ci sono una serie di impegni ai quali è complicato sottrarsi. Sono un salutista e cerco anche di trovare tempo per la mia vita privata. Sembra quasi che più persone convivano in me. Ciò è possibile per due fattori. Il primo è un’eccellente organizzazione della mia quotidianità e delle persone che mi stanno vicino. Sono le stesse da tanti anni; non dico che viaggio con il pilota automatico ma, se non ci fossero, non riuscirei a svolgere neppure il 50 per cento della mia attività. Il secondo fattore è il mio atteggiamento nei confronti della realtà. Se ci si sveglia la mattina con il sorriso, con la voglia di fare, con il buonumore, al di là dei tanti problemi che vanno affrontati e risolti e che possono togliere la serenità come accade spesso nel mondo professionale, si è già un «passo avanti», tutto sta nell’individuare la soluzione e così si riesce a fare qualcosa di più.
D. Il suo è, quindi, un comportamento naturale?
R. Comportarmi così non è un’imposizione a me stesso, è istintivo. Anche questo è dovuto a due componenti. La prima è che in quello che faccio credo di avere il dono della sintesi, la seconda è che ho un senso assoluto di concretezza; se mi si chiede una cosa rispondo subito se posso o non posso farla. Non ho segreti, parlo con le porte aperte, gioco sempre a carte scoperte, ritengo di essere una persona trasparente, se mi dicono che non possono parlarmi al telefono, penso che qualcosa non vada. Elimino gli orpelli che purtroppo oggi esistono. Mi rendo conto che fanno parte del sistema. Tanta gente li usa moltissimo.
D. Cosa è accaduto nell’organizzazione dei mondiali di nuoto del 2009 di cui era presidente, che ha provocato un’inchiesta della magistratura romana?
R. Mi fa piacere questa domanda. Sono stato rinviato a giudizio e il prossimo 5 aprile si svolgerà il dibattimento non a carico di Giovanni Malagò, ossia della mia persona, ma del legale rappresentante del Circolo Canottieri Aniene, quindi di chi aveva i poteri di firma nel momento in cui la Procura della Repubblica ritiene che sia stato commesso un reato. Un reato legato alla realizzazione di un’opera che, nel giudizio dinanzi alla Corte di Cassazione, è stata riconosciuta assolutamente corretta nei termini autorizzati, e soprattutto che aveva le caratteristiche di natura pubblica, punto che costituiva l’elemento del contendere.
D. In che consiste allora l’accusa?
R. La Cassazione ha dato assolutamente ragione, sotto ogni punto di vista, al Circolo Canottieri Aniene. Il reato contestato, secondo la Procura, riguarda la persona che ha concesso le autorizzazioni, ossia il commissario straordinario nominato dal presidente del Consiglio dell’epoca Silvio Berlusconi, confermato dal successivo presidente Romano Prodi, e di nuovo confermato da Berlusconi tornato alla presidenza del Consiglio dei ministri. Autorizzazioni sulle quali c’era stata la giusta intesa di due amministrazioni comunali romane, quelle dei sindaci Walter Veltroni e Gianni Alemanno e dei rispettivi assessorati. Il commissario straordinario aveva la possibilità di compiere determinate deroghe, tra cui quella di realizzare l’impianto in oggetto. Il giudice ha riconosciuto che questo era pubblico, come doveva essere, mentre il pubblico ministero ha sostenuto che il commissario straordinario non aveva il potere di farlo realizzare, e che io, come legale rappresentante del circolo, non potevo non sapere che il commissario non aveva queste facoltà. Io ritengo che si tratti di un ragionamento assurdo, incomprensibile, perché le massime autorità del Paese avevano concesso quelle autorizzazioni. Vedremo in giudizio chi ha ragione.
D. Si sente tranquillo pertanto?
R. Personalmente sono quasi orgoglioso di rappresentare il Circolo Aniene che ha realizzato una struttura destinata al pubblico totalmente autofinanziata, senza il contributo pubblico di un euro, aperta alla gente per fare sport, quindi dedicata anche a una funzione sociale. Questa è l’unica accusa che mi è stata rivolta. Non sono stato coinvolto minimamente in quanto presidente del comitato organizzatore. L’inchiesta, che riguarda la struttura dell’Aniene ed altre 27 opere realizzate, tocca tutti i loro rappresentanti, coinvolti nello stesso dibattimento nell’ambito di un procedimento giudiziario molto più vasto, relativo agli appalti per il G8, per i mondiali di nuoto, la Protezione Civile ed altro. Opere con le quali, come presidente dei mondiali di nuoto, non ho mai avuto a che fare perché non ho costruito neppure un mattone, non ne avevo né le deleghe né statutariamente mi competeva. Mi sono occupato solo della parte organizzativa nel senso sportivo cioè dei giudici, degli atleti, dei loro trasporti e di tutti gli altri aspetti di un’organizzazione così complessa.
D. Quindi che cosa la lega, di fatto, a quella inchiesta?
R. L’unica attinenza con il procedimento giudiziario in corso è costituita dalle strutture realizzate, di cui cinque riconosciute pubbliche, sulle quali la Cassazione mi ha dato ragione; e questo era oggettivamente il vero elemento del contendere. Il resto è costituito dalla «responsabilità oggettiva» e quindi dalla «soggettività del reato». Come se un cittadino, desideroso di costruirsi una casa, acquistasse un terreno per il quale il Comune ha concesso il permesso di costruire come previsto dal piano regolatore, stipulasse dal notaio l’atto di acquisto, contraesse un mutuo, edificasse la casa, andasse a viverci, assumesse personale, e dopo tre anni sentisse qualcuno dire: «Dovevi sapere che il Comune non poteva rilasciare quel permesso, che il notaio non poteva redigere il rogito, che la banca non poteva concedere il mutuo». Questo è, oggi, il reato contestatomi. Può sembrare assurdo ma è così.
D. Che pensa della situazione economica del Paese? In qualità di imprenditore come la definisce?
R. Ritengo che occorra qualcosa di diverso e di preciso. Il presidente degli industriali Emma Marcegaglia è molto chiara, serve uno scatto di reni, servono oggettivamente politiche mirate quando esistono i problemi del mancato investimento dei capitali stranieri, del Sud, del gap infrastrutturale, del fisco da riformare, del precariato, della disoccupazione. Si risolvono solo se si fa veramente qualcosa di diverso. E per farlo si deve essere politicamente solidi ed elaborare progetti concreti che non mi sembra siano all’ordine del giorno. Se aspettiamo che arrivino venti da fuori a portare via i problemi, siamo degli incoscienti. Bisogna mettere mano a queste vicende, e per farlo bisogna avere una situazione politicamente più serena rispetto a quella attuale, che ci consenta una diversa capacità di affrontare le nostre difficoltà, che oggi di fatto non c’è. Chi governa, chiunque esso sia, o si mette in condizione di farlo o è preferibile che faccia altro.
D. Ritiene che Luca di Montezemolo entrerà in politica?
R. Ogni volta che parlo con lui di questo argomento, lo sconsiglio caldamente di compiere questa scelta. Al punto attuale mi sembra che non esistano le condizioni perché lo faccia. Ma è normale che, in quanto autorevole componente della società, si senta di esprimere un’opinione in materia. Non approvo che ogni sua considerazione sia interpretata in modo strumentale dalla società o dal Governo. È un atteggiamento non solo insopportabile, ma ridicolo.

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