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ELIO FRANCI (RHS): AEROPORTI, LE TECNOLOGIE CHE ACCELERANO LA RESTITUZIONE DEI BAGAGLI

Elio Franci RHS

Tra le poche aziende italiane che costruiscono sistemi di trasporto bagagli, RHS è anche una delle pochissime, in questo comparto, che riesce ad esportare tecnologia e conoscenze, installando all’estero impianti direttamente per aeroporti di medie dimensioni e fornendo componenti per quelli di dimensioni maggiori. A partire dal 1999 la società romana è guidata da Elio Franci, che ne ha trasformato la connotazione e la struttura. «Oggi siamo in grado di seguire tutte le fasi della realizzazione di un sistema di trasporto dei bagagli–spiega il presidente–; ne curiamo l’ideazione e la progettazione, mentre prima eravamo relegati nel ruolo di terzisti». Pur mantenendo le posizioni in un mercato difficile come quello nazionale, l’obiettivo è incrementare il volume di affari guardando, in modo particolare, ai Paesi emergenti, molti dei quali stanno puntando sugli aeroporti come infrastrutture strategiche per dare impulso alle rispettive economie. È lì che cresce il numero dei passeggeri, e con essi la quantità di bagagli trasportati per via aerea.

Domanda
. RHS ha mutato la propria attività aziendale nel giro di pochi anni. Quali novità lei ha introdotto per rilanciarla?
Risposta. La mia famiglia ha rilevato questa azienda nel 1999. Allora curava solo l’installazione e la manutenzione di prodotti altrui, svolgendo a tutti gli effetti un lavoro da «terzisti». Da quell’anno in poi abbiamo provveduto ad assumere ingegneri e a specializzare i migliori capi-cantiere e capi-squadra che avevamo, sostenendo la loro crescita professionale in un comparto in cui alcuni di loro erano impiegati da oltre dieci anni. Abbiamo quindi cominciato a realizzare nostri prodotti, prima in Italia e poi in altri Paesi. Oggi seguiamo tutte le fasi della realizzazione dei macchinari per i bagagli e siamo in grado di costruire impianti completamente ex novo.

D. Quale vantaggio comporta progettare in proprio nuovi sistemi?
R. Ci permette di essere più competitivi e di poter prendere parte alle gare con idee nostre. Nei fatti, ogni impianto installato è un prototipo da adattare al design di un aeroporto. Un esempio: ci siamo aggiudicati una gara in cui è richiesta la progettazione di un sistema che permetta il trasferimento dei bagagli da un piano all’altro, con un dislivello immediato, sul modello di un ascensore. Nel mercato non esiste un prodotto di questo tipo e stiamo provvedendo a progettarlo. Il valore aggiunto deriva dalla capacità di trovare nuove soluzioni per i problemi di questo comparto.

D. Quali sono i risultati raggiunti dalla sua azienda?
R. In Italia siamo presenti nel 70 per cento degli aeroporti, direttamente come fornitori, o indirettamente come fornitori di società più grandi; abbiamo ottenuto negli ultimi anni considerevoli commesse in vari Stati. Oggi in Italia occupiamo 94 persone e 35, tra cui alcuni ingegneri, in India dove, attraverso una società controllata, curiamo la manutenzione di nostri impianti. Nonostante la congiuntura sfavorevole abbia determinato un calo delle attività dovuto allo slittamento di alcune commesse, quest’anno fattureremo circa 8 milioni di euro, anche se abbiamo in portafoglio ordini per circa 15 milioni di euro. È un risultato dovuto anche alla nostra capacità di entrare in altri mercati dal momento che per molte ragioni quello italiano si sta dimostrando stagnante. Nel 2006 abbiamo avviato i primi contatti commerciali, e, a partire dal 2007, abbiamo vinto le prime commesse all’estero. Nel 2009 circa il 35 per cento del nostro fatturato giungerà dalle commesse eseguite fuori dai nostri confini, con l’obiettivo di superare il 50 per cento nel prossimo anno.

D. Quali sono i vostri più diretti concorrenti?
R. In tutto il mondo esistono circa 20 aziende come la nostra. In Italia, in particolare, sono due le società nostre concorrenti, grandi multinazionali che hanno interessi in molti settori. Qualche volta collaboriamo con esse fornendo macchinari che vengono inseriti nei loro sistemi. In generale sono impegnate nel segmento di mercato superiore al nostro, anche se negli ultimi anni, sia per ragioni finanziarie che progettuali, partecipano a gare anche per commesse più piccole.

D. Siete impegnati in altri Paesi?
R. Abbiamo stipulato contratti in India, Spagna, Grecia, Canada. In particolare in Spagna abbiamo lavorato ai sistemi di trasporto bagagli degli aeroporti di Vigo, Almeria, Castellon, Girona e di Fuerteventura, nelle Canarie. Sono approdi di medie dimensioni, alcuni dei quali con voli internazionali. In India abbiamo curato gli aeroporti di città che forse dicono poco a molti occidentali, ma che hanno tutte una popolazione superiore ai 5 milioni di abitanti, come Varanasi, Chandigarh o Dehradun. In Canadà abbiamo installato gli impianti del Toronto City Airport, uno scalo fondamentale per gli uomini d’affari del Nord-America. Inoltre abbiamo promosso contatti commerciali in altri Paesi assai promettenti: Turchia, Cina, Malaysia, Argentina, Kossovo, Brasile. Per una società delle nostre dimensioni è un impegno che comporta una certa fatica, ma che stiamo affrontando da soli, senza alcun sostegno, eccetto quello fornitoci dalla camera di commercio di Roma, e dall’Unione delle camere di commercio del Lazio.

D. Quali aiuti occorrono alle imprese che esportano prodotti e tecnologie?
R. L’Italia deve imparare a fare sistema. L’esempio classico in questo settore è Aéroport de Paris, una società francese partecipata dallo Stato, che ha il compito di promuovere le aziende del settore e che ha dato vita a una società di ingegneria capace di progettare il 70 per cento degli aeroporti nel mondo. Nelle fiere chi è interessato a costruire un aeroporto può trovare, in un unico stand, tutte le aziende francesi che producono impianti necessari a costruire l’intero scalo aeroportuale: Alstom, Alcatel, Radar, Alsteff ecc., che rappresentano la filiera, e Paris Aéroport come società capo-filiera per la progettazione. Queste società si presentano, poi, unite ai Governi, per acquisire le commesse «chiavi in mano». Nello stesso modo, tedeschi, inglesi, canadesi, turchi, americani, greci - con cui noi ci confrontiamo nel mercato - , si sono organizzati. In Italia, non esiste nulla di simile ed è strano che nel settore delle infrastrutture non vi sia una strategia nazionale. In questo comparto il confronto è tra Paesi, e il nostro non ha ancora sviluppato un’organizzazione che permetta alle aziende che contribuiscono alla realizzazione di un aeroporto di muoversi in modo coerente e compatto senza sprecare risorse.

D. Quali problemi provoca ciò?
R. Le società di consulenza che progettano gli aeroporti, su incarico dei vari Governi, scelgono chi può lavorare e chi no in un aeroporto, stilando una lista di fornitori. L’impresa che realizzerà l’aeroporto è vincolata ad acquistare solo materiale approvato dal consulente. In base a questa consuetudine è capitato anche a noi di essere esclusi da una gara. In Marocco, ad esempio, avevamo vinto una gara con il prezzo migliore ma poiché la società consulente dell’ente aeroportuale marocchino è Paris Aéroport siamo stati estromessi, a vantaggio di una società francese concorrente. Debbo sottolineare che la società di gestione aeroportuale spagnola ha certificato alcuni nostri prodotti come i migliori d’Europa, con standard di livello superiore a quelli africani. Ma la debolezza del nostro Paese rende faticosa l’affermazione dei nostri prodotti. Al momento stiamo cercando di giungere a un accordo con grandi società di progettazione internazionali, individuandone una con cui stipulare un’intesa per non rimanere spiazzati nel momento in cui si progetta un aeroporto. L’obiettivo è essere sullo stesso piano dei concorrenti esteri.

D. Quale effetto sta avendo la crisi economica sul comparto?
R. La congiuntura negativa ha colpito in modo particolare il sistema aeroportuale determinando uno slittamento degli investimenti per diversi anni. In India, ad esempio, RHS ha acquisito alcuni ordini nel 2008 che ci è stato chiesto di eseguire con un anno di ritardo. Lo Stato ha bloccato tutti gli investimenti nel sistema aeroportuale per il 2009, fermando in particolare gli ampliamenti e tutte quelle spese ritenute non prioritarie, perché non ha liquidità per saldare i conti. Questo Paese avrebbe dovuto investire nel solo comparto del trasporto bagagli, applicando ad esso anche i sistemi di sicurezza collegati alla scansione delle valige, 3 miliardi di dollari tra il 2006 e il 2012. C’è chi ritiene che la crisi stia finendo, noi ce lo auguriamo. Il settore delle infrastrutture dovrebbe essere il primo a ripartire, soprattutto quelle legate al sistema aeroportuale, per collegare i Paesi con il resto del mondo. Il blocco di questi investimenti, ostacola l’interscambio e quindi la capacità di ripresa.

D. RHS ha avviato le proprie attività con i due aeroporti romani. Come stanno reagendo alla crisi?
R. Fiumicino e Ciampino registrano un traffico pari a 37 milioni di passeggeri, il primo 32, il secondo 5 milioni. Secondo le stime, però, gli aeroporti di Roma potrebbero avere potenzialmente 70 milioni di passeggeri, in arrivo o in partenza dalla Capitale. L’augurio è che la realizzazione della quarta pista e il raddoppio dell’aeroporto di Fiumicino si facciano, perché anche qui il confronto è tra i diversi «sistemi Paese» nei quali gli aeroporti sono essenziali per la crescita dell’intero Paese. Se si fa un confronto, negli ultimi quattro anni il solo aeroporto di Madrid ha investito 5 miliardi di euro per il nuovo sistema aeroportuale. Nel solo trasporto bagagli lo scalo spagnolo ha investito negli ultimi anni 500 milioni di euro. Nello stesso periodo tutti gli aeroporti italiani hanno investito 70 milioni di euro. Un gap enorme. Un amico, esperto sia di ferrovie che di aerei, tempo fa mi disse: «Se avessero investito negli aeroporti regionali anziché nell’alta velocità, oggi avremmo collegamenti molto efficienti a livello nazionale, avendo speso di meno».

D. Come si spiega questa difficoltà degli aeroporti italiani ad investire?
R. Il problema ruota intorno alla diatriba sull’aggiornamento delle tariffe relative ai servizi per l’aereo e per i passeggeri, ferme dal 2001. Gli aeroporti evidenziano questo problema per giustificare la mancanza di investimenti. È necessario trovare una soluzione a questa vicenda, sbloccando l’empasse. Ci auguriamo che dalla crescita tariffaria vi sia, come conseguenza, un piano di investimenti. Debbo sottolineare che, per ogni milione di passeggeri trasportato, il settore aeroportuale crea circa mille posti di lavoro, compreso l’indotto.

D. Come hanno influito le vicissitudini di Alitalia sullo sviluppo degli aeroporti italiani?
R. Hanno oggettivamente bloccato gli investimenti nel settore. A quanto si sa, la società non ha saldato i debiti con vari aeroporti, determinando il loro ribaltamento sugli scali, in particolare su quelli più piccoli serviti dalla sola Alitalia.

D. Qual è, a suo avviso, il segmento del sistema aeroportuale più dinamico?
R. Gli aeroporti sotto i 20 milioni di passeggeri rappresentano la parte di mercato che sta crescendo di più, sia in termini di utenti che di investimenti. Accade per due motivi: le compagnie low cost preferiscono atterrare negli aeroporti più piccoli e, più in generale, manifestano, a livello di direzione, una maggiore volontà di crescita. È evidente che dove cresce di più il numero di passeggeri si presentano maggiori opportunità anche per noi. In Europa questo settore appare molto promettente, ma anche in altri Paesi è in rapidissima ascesa.

D. Qual è la commessa più ricca conquistata di recente da RHS?
R. È quella relativa all’aeroporto dell’isola di Fuerteventura nelle Canarie; l’appalto complessivo corrisponde alla cifra di 30 milioni di euro, aggiudicato ad una società danese cui forniamo componenti per oltre 5 milioni di euro.

D. Quale strategia seguirete per il prossimo futuro?
R. La nostra strategia è puntare in particolare su aeroporti con un numero di passeggeri inferiore ai 10 milioni. In ogni caso saremo presenti negli aeroporti con oltre 20 milioni di passeggeri, dove le grandi aziende hanno comunque bisogno di noi. L’obiettivo è accrescere di oltre il 50 per cento la quota di fatturato proveniente da commesse estere, continuando ad investire il 7-8 per cento del fatturato in ricerca e sviluppo. Senza innovazione non si può competere, e non avremmo avuto apprezzamenti a livello internazionale se non avessimo speso risorse per nuovi prodotti.

Tags: Roma Fiumicino FCO alitalia viaggi aeroporti Ottobre 2009

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