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ARMANDO ZINGALES: IL COMPITO DEI CHIMICI PER LA SALUTE E L'AMBIENTE

Armando Zingales presidente chimici

Regolamentata da un regio decreto del 1928, la professione dei chimici ebbe un momento di grande successo a causa del rapido sviluppo registrato nel secondo dopoguerra dall’industria chimica; il settore conobbe gli anni migliori proprio in coincidenza con il «miracolo economico» italiano fino ai primi anni Sessanta, e anche dopo la «congiuntura» del 1963 con il boom delle produzioni industriali, del petrolio, della plastica, della preparazione degli alimenti con lavorazioni industriali, della diffusione dei concimi nell’agricoltura.
Poi arrivò la crisi, determinata dalla cattiva letteratura diffusa sulla chimica ritenuta responsabile di tutti i mali. Si cominciò ad identificare l’industria chimica con la chimica, dimenticando che comunque quell’industria era stata ed era fonte di lavoro per molti e di benessere per tutti, creando ovviamente anche dei problemi perché non sempre gestita con le adeguate conoscenze e con il rispetto dell’ambiente. Fa il punto sulla situazione e sulle prospettive, non soltanto del settore ma soprattutto della professione del chimico, il presidente del Consiglio nazionale dei chimici prof. Armando Zingales.
Domanda. Ritiene ingiusto il giudizio negativo sulla chimica in generale?
Risposta. Bisogna innanzitutto considerare il fatto che la valutazione del rischio è cambiata nel tempo. La gente ha dimenticato, per esempio, che fino agli anni 60 il para-diclorodifeniltricloroetano, noto come ddt, era ritenuto il migliore strumento per eliminare parassiti pericolosi per la salute oltreché fastidiosi, e che esso ha sottratto milioni di vite umane alla fame evitando che interi raccolti andassero distrutti in seguito agli attacchi degli insetti. Solo più tardi si è scoperto che aveva delle controindicazioni ed era caratterizzato da un’elevata persistenza nell’ambiente e che certi suoi effetti non erano più tollerabili. Ogni prodotto rispecchia e risponde alle esigenze del momento; la società e l’industria devono seguire l’evoluzione della scienza per stabilire come regolarsi.
D. Cosa si intende per chimica?
R. Va distinta la chimica come industria dalla chimica come base della vita, del funzionamento dell’organismo; non esiste nessuna sensazione o emozione che non abbia qualche fattore chimico. Anche gli aromi, le fragranze, i profumi sono prodotti chimici. La chimica è presente ovunque, il suo ruolo è positivo per la nostra esistenza e non va considerata solo come un danno; ovviamente chi ne fa la propria attività deve operare per il bene dell’uomo e il rispetto dell’ambiente. Occorre pertanto diffondere il concetto di una «chimica costruttiva», parlare per esempio dei problemi connessi al fabbisogno futuro di energia, per soddisfare il quale non si può fare a meno di ricorrere a procedimenti chimici o elettrochimici. Tali sono quelli a base di celle a combustibile, in via di perfezionamento per la produzione di energia elettrica necessaria a sostituire i carburanti negli autoveicoli o ad altri scopi. Lo stesso può dirsi in generale per l’impiego dell’idrogeno come fonte di energia in sostituzione dei prodotti petroliferi.
D. Non sono progetti avveniristici?
R. Esistono ormai le condizioni perché molti progetti allo studio o in via di sperimentazione siano attuati. L’ordinamento giuridico nazionale contiene già norme che consentono l’applicazione di pannelli fotovoltaici agli edifici per produrre energia elettrica da immettere nella rete dell’Enel ma anche, in un prossimo futuro, idrogeno da usare come combustibile. Non è fantascienza, esistono possibilità da sviluppare. La Toyota ha già realizzato un’auto elettrica a celle a combustibile, la Bmw e la General Motor vi stanno lavorando; è una novità di cui nel prossimo futuro bisognerà tener conto, la sua realizzazione pratica è soprattutto un problema economico e di interessi di Paesi o multinazionali in grado di indirizzare il mercato mondiale.
D. Fino a quando si dovrà attendere allora?
R. Finché non ci saranno le condizioni. Quando si saranno consumati oltre metà dei giacimenti petroliferi, il che si pensa possa avvenire entro i prossimi quarant’anni, la progressiva riduzione delle scorte ne farà aumentare i prezzi; a quel punto non si potrà prescindere dai progressi nel frattempo compiuti dalla «chimica positiva», non solo nella produzione di energia da fonti pulite ma anche nella gestione di tutto il ciclo della vita dei prodotti, «dalla culla alla tomba» come si dice in termini tecnici, cioè da quando si avvia la fabbricazione di un prodotto fino a quando si deve smaltirlo. Anche il problema dello smaltimento dei rifiuti con minor consumo energetico e del rispetto dell’ambiente esige l’ausilio della chimica.
D. La chimica può trasformare in un vantaggio economico lo smaltimento dei rifiuti?
R. Faccio l’esempio di una società per azioni di cui sono vicepresidente, che svolge servizi municipali per la mia città e che ha rifiuti da smaltire. Abbiamo installato un sistema completo di smaltimento che produce compost, combustibili con cui alimentare la centrale elettrica, vapore attraverso il procedimento di valorizzazione termica, e infine elettricità. Da una parte «terriccio» utile per l’agricoltura, dall’altra un prodotto equivalente al carbone di alta qualità. In tal modo si riduce il quantitativo di carbone importato per produrre energia elettrica. Tutto quello che resta viene bruciato con recupero di energia. Ma questo processo è attuato ormai da molte aziende in Italia. Ed oltre alla chimica, bisogna considerare la biochimica basata sull’impiego di batteri, enzimi e altro per facilitare le reazioni chimiche. Senza la chimica positiva la qualità della vita sarebbe rapidamente destinata a deperire.
D. Qual è e quale sarà allora il compito specifico del chimico?
R. Intanto fare in modo che le attività produttive nelle quali interviene la chimica siano sostenibili non solo nel senso comune del termine, ma nel senso tecnico: che consentano la conservazione delle risorse, un loro minor consumo, il ricorso a fonti di energia rinnovabili, per mantenere un equilibrio globale nel pianeta. Non dobbiamo dimenticare che esistono ancora Paesi che non desiderano limitare i propri consumi; l’Italia invece ha aderito a vari protocolli internazionali, per cui abbiamo l’obbligo civile, morale, deontologico di lavorare in questa direzione.
D. Qual è il compito che il chimico deve svolgere oggi?
R. Migliorare la qualità della vita, garantire al cittadino la sicurezza personale anche nei confronti delle malattie, svolgere una serie di attività nel campo della sanità: farmacie, analisi chimico-cliniche, Agenzie regionali per l’ambiente, controlli per la sicurezza sul lavoro, tossicologia, antidoping. Senza i chimici non ci sarebbe l’azione antidoping; anzi sono stati loro a sollecitare determinati controlli indicando addirittura le modalità per smascherare il doping. Senza la chimica non c’è qualità della vita. Questo è oggi il compito dei chimici. Esistono norme severe nel settore e sono previste pesanti sanzioni per la loro violazione. I consulenti chimici servono anche per indicare alle aziende come possano dotarsi, con il minor costo possibile, delle strutture necessarie per non inquinare acqua, aria e suolo.
D. Ritiene la gestione dei depuratori corretta?
R. Solitamente viene affidata ad aziende private sulla base di gare di appalto. Nell’ambito di queste bisognerebbe garantire la professionalità di chi esegue i controlli da attuare secondo le leggi dello Stato e la buona tecnica. Ma questo non sempre avviene. Comuni ed Asl dovrebbero essere dotati di chimici anche come consulenti esterni. Purtroppo si deve fare conti con lobbies che ottengono paradossali risultati: c’è ad esempio una legge che affida le analisi per il controllo delle acque potabili di rete al laboratorio dello stesso acquedotto e, se questo non è in grado di farlo, al laboratorio di un altro acquedotto. Nella realtà molte di queste analisi vengono fatte anche da privati perché le aziende interessate non hanno diponibilità e perché non tutte le analisi sono di controllo, vi sono anche quelle di routine, ma non esiste una stretta regolamentazione.
D. È consapevole la categoria della delicatezza dei suoi compiti?
R. Non solo consapevolezza, ma anche una grande serietà perché si assumono delle responsabilità. E lo attesta il riconoscimento di organizzazioni come Federgasacqua, associazione delle aziende che gestiscono gli acquedotti, la quale avverte i propri iscritti che occorrono i chimici nei loro laboratori. Collaboriamo anche con l’Antitrust perché un’attività di controllo svolta da laboratori indipendenti, accreditati in base a sistemi di qualità certificata, costituisce una garanzia per il cittadino. Spesso il Consiglio nazionale dei chimici viene interpellato da quelle associazioni di consumatori e di ambientalisti che cercano di documentarsi seriamente sui procedimenti usati dalle industrie, perché si sono rese conto che non ci può essere salvaguardia della salute dei cittadini e dell’ambiente se non attraverso il ricorso a chi ha competenza in materia. È passato il periodo in cui i chimici erano considerati al servizio degli inquinatori, con il compito di trovare il modo di nascondere le irregolarità delle aziende, il che nella realtà non è mai avvenuto perché il chimico deve rispondere alla deontologia professionale.
D. E i casi di inquinamento riferiti dai giornali?
R. Se qualcuno negli anni passati si è comportato male, non è questa la prassi; vi sono stati imprenditori che hanno violato le leggi sull’inquinamento, ma questo non riguarda la categoria dei chimici, che non possono considerarsi responsabili a prescindere da tutto. Si è assistito a casi di interramento di fusti di rifiuti, ma questa non è la regola, è la distorsione dello smaltimento corretto. Tutta la politica degli ordini è diretta a migliorare la qualità della vita.
D. Quanti sono i chimici in Italia?
R. Oggi gli iscritti all’albo sono 10 mila ma un segnale negativo è il fatto che l’età media sta crescendo: quella dei maschi è di 50 anni, delle donne di 39. Questo perché negli ultimi anni pochi giovani si sono iscritti ai relativi corsi di laurea sia per la pesantezza di questi sia per la cattiva pubblicità fatta al settore. In questo momento non c’è un sufficiente numero di laureati per sostituire quelli che vanno in pensione. Solo negli ultimi tempi questa laurea sta riguadagnando terreno perché si sta comprendendo che offre interessanti prospettive di lavoro utile sia al benessere della società sia allo sviluppo sostenibile.
D. Quali sono le prospettive di lavoro per un laureato?
R. Mediamente trova lavoro entro 6-8 mesi e inoltre può svolgere la libera professione; le laureate impiegano più tempo. I maschi sono preferiti negli impianti di produzione per motivi storici; le donne lo sono nei laboratori di analisi perché più attente e precise. Primo tra i Consigli nazionali dei professionisti, quello dei chimici ha creato una commissione per le pari opportunità composta solo di donne e incaricata di individuare i problemi della condizione femminile nella professione.
D. In quali aziende c’è possibilità di lavoro?
R. Le grandi industrie chimiche stanno rapidamente diminuendo. C’è ancora spazio in quelle chimico-farmaceutiche, nei comparti della produzione, del commercio e della ricerca; vi è la possibilità di svolgere attività libero-professionale per medie e piccole industrie in materia di sicurezza, igiene, lavoro, inquinamento, disinquinamento, depurazione e altro. Il Nord-Est, che registra uno sviluppo economico notevole, offre ad esempio occupazione in piccole imprese che non svolgono attività di ricerca ma chiedono ai giovani chimici di migliorare i loro prodotti. In sostanza, mentre in passato soprattutto in alcune zone del Paese il chimico era solo un lavoratore dipendente, oggi svolge di più l’attività libero-professionale. Anche perché, tranne alcune aziende - ex Eni-Montedison, Caffaro e altre -, la grande chimica di base italiana è stata smantellata e quello che resta è finito in mani straniere.
D. Chi svolge allora la ricerca?
R. In generale viene svolta in altri Paesi. Solo in qualche caso è rimasta in Italia: ad esempio i centri di ricerca dell’ex Miralanza e della Glaxo. Questo comporta una conseguenza: man mano che i Paesi emergenti produttori di materie prime acquisiranno le tecnologie, potranno svolgere le lavorazioni in loco e, a causa dei loro minori costi di manodopera e di trasporto delle stesse materie prime, offriranno prodotti finiti a prezzi inferiori. Pensiamo al minor costo del carburante se le petroliere, invece di trasportare greggio, trasportassero benzina già raffinata.
D. Com’è organizzata la categoria?
R. L’albo dei chimici è diviso in due sezioni: i triennali e i quinquennali, ma i primi sono pochi. La differenza tra le due sottocategorie consiste soprattutto nella capacità progettuale per la costruzione di impianti, nella possibilità di ideare e convalidare tecniche analitiche, nell’assunzione di responsabilità di strutture complesse. Quanto alla diffusione territoriale, Piemonte, Lombardia e Veneto hanno un numero elevato di chimici ma anche in Toscana e in Campania la presenza è ragguardevole; ovviamente prevale ove sono o erano dislocati gli impianti.

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