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BRUNELLO CUCINELLI: NEI CLASSICI TUTTA LA FILOSOFIA DEL CACHEMIRE

Brunello Cucinelli

Se mai dovesse passare alla storia, si ricorderebbe come l’imprenditore-filosofo, e nel cachemire che produce c’è tutto il suo ragionamento, tutta la sua sensibilità. Brunello Cucinelli nasce da una famiglia «allargata»: una «bella infanzia in una grande casa divisa con un’altra famiglia, 27 persone che vivevano una bella vita». Fino a 15 anni fa «il contadino» a Castel Rigone, in provincia di Perugia, e non ha mai visto i propri genitori litigare. Quando si trasferiscono in città, si sa già che è lui, dei tre fratelli, quello destinato a studiare: nel 1972 si diploma a Perugia come geometra e frequenta il primo biennio della Facoltà di Ingegneria. Ma ama «l’umanità del bar italiano di provincia» che chiude a mezzanotte, e dove fino tardi si discute di filosofia, donne, poesia, matematica.
L’amore per i libri lo porta a leggere Kant, «il primo filosofo che mi ha affascinato», poi scopre Socrate e Aristotele mentre pensa al lavoro da scegliere per la vita. Per esso, invece, si ispira a un moderno, l’esperto di marketing americano Theodore Levitt e al suo «The marketing imagination», dove l’autore afferma che nel futuro i Paesi sviluppati dovranno produrre più cose di grande qualità rispetto ad altri Paesi in crescita. «Così ebbi l’idea di produrre maglie in cachemire da donna, colorate e in lunghezze nuove, perché all’epoca il cachemire era da uomo con colori neutri».
Un innovatore dunque, che però si ispira al passato, ad Alessandro Magno, del quale ricorda che «conquistò un piccolo paese dove il tiranno aveva tagliato il naso a tutti gli uomini», per indicare che la quotidianità non è importante quanto l’obiettivo che ci si prefigge; e che a 17 anni, mentre il futuro imperatore sedeva davanti al mare, al padre critico rispose: «Voglio conoscere i confini del mondo», per affermare quanto conti il ritorno alla normalità e al rispetto dei ruoli. Così come si ispira a San Benedetto; e al presente, citando Barack Obama quando «nel 2007 si presenta alle elezioni dicendo che la prima cosa da fare è incontrare i suoi nemici», e così lo paragona a Cristo e al suo «porgi l’altra guancia». Come pure a Martin Luther King.
Nel 1985 Cucinelli acquista il castello trecentesco di Solomeo, un pittoresco borgo a breve distanza dal capoluogo umbro, e vi trasferisce la sede della piccola impresa di cachemire. Non tarda a comprendere la ricchezza paesaggistico-storico-artistica di cui esso è intriso e dà inizio a una diffusa opera di riqualificazione, in cui prendono forma, oltre al castello, il parco settecentesco di Villa Antinori, Piazza della Pace e il Foro delle Arti. Per dar forma concreta al proprio sogno di umanista e per conferire dignità e umanità al lavoro proprio e dei dipendenti, affresca gli spazi e sposa la causa delle belle arti, tanto da creare anche un teatro che prende il suo nome: un edificio lungo 38 metri per 13 di larghezza e 10 di altezza che può ospitare fino a 230 spettatori, frutto di un progetto avviato nel 2001 e tenuto a battesimo nel 2008 dallo spettacolo «Nel bosco degli spiriti», a cura di Luca Ronconi, Ludovico Einaudi e Cesare Mazzonis.
«Il foro delle arti è il luogo dove vorrei che arte e spiritualità s’incontrassero senza barriere né limiti ideologici». gli spazi aperti e chiusi del foro - cioè il teatro, l’ippodromo, l’accademia, il ginnasio - ripropongono il gusto classico all’attualità dei nostri tempi in un «contributo sentimentale e indipendente il cui principale obiettivo è proteggere tutti quei valori umanistici oggi spesso obliati se non minacciati». Quindi un’accademia, sede formativa di giovani artigiani, quasi una casa-laboratorio immaginata pensando alle confraternite delle arti e dei mestieri del Medioevo, agile struttura didattica dove le tecniche del «fatto a mano» si imparano insieme all’inglese, all’architettura, alla filosofia.
L’impresa umanistica di Solomeo è stata oggetto di studio da parte di università americane e nel 2006 è stato avviato un progetto di studio e di scambio con l’Harvard University per l’inserimento nell’azienda di alcuni studenti con uno stage formativo. Brunello Cucinelli presiede anche, da cinque anni, il Teatro Stabile dell’Umbria, è consigliere della Fondazione Cassa di Risparmio di Perugia, è stato insignito della carica di consigliere di amministrazione del Pitti Immagine e del premio americano «Best of the Best», assegnato alle migliori aziende nel mondo, e ha ricevuto il premio «Imprenditore olivettiano» istituito dall’Associazione Archivio Storico Olivetti di Ivrea.

Domanda
. Perché il cachemire?
Risposta. Perché volevo fare qualcosa di grandissima qualità, un prodotto che durasse nel tempo di cui si è certi della provenienza: viene dalla Mongolia, da pastori che ne producono 200 grammi all’anno e, per questo, difficilmente viene scartato da un armadio. Il pullover di cachemire non si butta, si eredita: ho l’idea del ragazzo che lo riceve dal padre, e vi mette le toppe per poterlo riutilizzare. Anch’io, spesso, indosso ancora il mio primo pullover.

D. Come iniziò la sua attività?
R. Andai a vendere i primi prodotti in Trentino Alto Adige perché avevo letto in alcune riviste che erano dei grandi pagatori - l’alto Veneto, Bressanone, Brunico, Bolzano -; l’anno dopo puntai sulla Germania per lo stesso motivo. Non avevo mezzi e, dal momento che nei primi anni 80 le banche finanziavano l’export e, in presenza di una commessa, anticipavano fino all’80 per cento a condizione che il cliente fosse serio, mi rivolsi subito all’estero. I tedeschi sono seri, appunto, ed io ho messo nell’impresa la loro cultura dell’organizzazione e la precisione nelle consegne.

D. La sua idea fu anche quella di fare, per la prima volta, del cachemire per donna. Come l’ebbe?
R. Allora era più facile che una donna mettesse il pullover del marito. Sotto il profilo industriale fui molto innovativo, tanto che l’Espresso mise la mia azienda tra le prime dieci che avevano innovato con qualcosa di importante. Infatti, quando comprai i primi quattro fili di cachemire e andai in tintoria per farli tingere d’arancio, il tintore mi disse che ero matto.

D. Perché ha inserito tanto umanesimo e classicismo all’interno della sua attività imprenditoriale?
R. Perché avevo sempre avuto un sogno: rendere il lavoro dell’uomo più umano sin da quando mio padre, operaio, tornava a casa e si chiedeva ad alta voce perché venisse offeso ogni giorno dal suo datore di lavoro, che peraltro non conosceva affatto. Questo non mi andava bene e, avendo un animo rivoluzionario, volevo migliorare l’umanità, l’avevo appreso dagli insegnamenti di Kant, Schopenhauer, Socrate, Sant’Agostino, San Francesco e, soprattutto, da San Benedetto. Così, dopo un paio d’anni in un sottoscala, decisi di fare una microfabbrica e comprai un terreno. Il proprietario me lo vendette anche lui dicendomi che «ero matto», e mi fece firmare delle cambiali; era il 1985 e mi appoggiò perché vide che il mio progetto aveva un’anima. Nonostante avesse già promesso il terreno a qualcun altro, per un progetto di costruzione di appartamenti, io lo convinsi dicendogli che avrei messo dei cipressi e costruito un teatro e una biblioteca dove saremmo potuti venire anche dopo tanti anni.

D. Come si concilia un’attività lavorativa materiale con l’umanesimo?
R. Se da una parte ho cercato di fare impresa, dall’altra ho sempre voluto alleviare la durezza del lavoro. Una scelta di vita l’ho fatta sin da ragazzino quando, pur essendo contadino, non mi mancava nulla: così decisi di dividere il profitto dando prima all’azienda - della quale io mi sento custode, non proprietario - e di investire nell’umanizzazione per dare la possibilità ai dipendenti di venire a lavorare con uno spirito migliore, fra gli affreschi e per fini più elevati, oltre a quelli di lucro comunque presenti.

D. Com’è organizzata l’azienda e in che modo essa rispecchia il suo ideale umanistico?
R. Abbiamo 500 dipendenti che lavorano nelle due fabbriche, oltre a circa mille collaboratori esterni nei dintorni di Perugia. Sono due le sedi in cui opera oggi la mia impresa: la prima, nell’antico borgo, è costituita da 8 case, un castello, una chiesa, una villa; la seconda, alle porte del piccolo paese, è una nuova struttura industriale circondata da parco e frutteto. Ho sempre sognato di poter lavorare in uno splendido luogo, nello spirito di rendere il lavoro più «umano», credendo nell’uomo e nel fatto che ciascuno abbia un proprio quoziente di creatività di diversa identità e natura. Qui nessuno timbra il cartellino, però tutti entrano puntuali, lavoriamo dalle 8 di mattina alle 6 di sera e cerchiamo di curare la mente, l’anima e il corpo con una ricerca costante: l’informazione porta a fare qualcosa che hanno fatto gli altri. Io ho fatto il cachemire, ma che ne sapevo del cachemire?

D. C’è altro oltre al cachemire?
R. Dobbiamo tornare ad avere stima per il nostro mestiere. Non posso dedicarmi ad altro, io faccio solo industria e non finanza o politica. Siamo voluti entrare troppo nel lavoro altrui, oggi dobbiamo tornare ad occuparci delle nostre attività.

D. Come sta andando l’attività?
R. Il Gruppo ha chiuso il 2008 con un giro d’affari pari a 144,47 milioni di euro, in progresso del 19,73 per cento rispetto ai 120,67 dell’anno precedente, con un utile di 8,08 milioni, in aumento del 22,61 per cento rispetto all’anno 2007. Per l’anno in corso si ipotizza una crescita intorno a 159 milioni di euro, con un incremento pari al 10 per cento circa. Facciamo circa 800 mila capi all’anno esclusivamente prodotti in Italia, esportiamo in tutti i Paesi, come Stati Uniti, Europa, Giappone, Russia, con una quota pari al 63,7 per cento del fatturato complessivo, abbiamo mille negozi nel mondo che comprano i nostri prodotti per i propri clienti e 35 negozi solo per il nostro marchio, ubicati nelle principali città - da Milano a New York, a Londra, Mosca, Parigi - di cui il 30 per cento di nostra proprietà, il restante 70 lasciato in franchising.

D. Avete appena aperto una nuova boutique a Roma, nella cornice di Piazza di Spagna. Come la descrive?
R. La nostra è una strategia da grandi metropoli o da località esclusive quali Capri, Porto Cervo, Saint Tropez. Erano tre anni che cercavamo a Roma un luogo adatto per noi. Per arredare i nostri negozi utilizziamo sempre il nostro marchio, dalla lampada alle cornici foderate di cachemire, pur non volendo irrompere nel settore dell’arredamento, una cosa nobile ma anche molto difficile. Abbiamo realizzato queste sei nuove vetrine a Roma insieme alla famiglia Sermoneta, in una boutique che si sviluppa su una superficie di circa 200 metri quadrati, distribuita in due piani con una piccola terrazza: un contenitore neutro, realizzato con materiali naturali dalle tinte chiare.

D. Quale cachemire è migliore?
R. Il cachemire è come il brillante: il pelo deve essere lungo 38-40 milllimetri, deve essere pulito e quindi impurito e deve essere molto fine, quindi intorno a 14-15 micron. All’asta ne misuri la lunghezza, la pulizia e la finezza, come il diamante. Noi compriamo dalla Cina tutto quello che è bianco, dalla Mongolia tutto il cachemire «brown», marrone. Fino a circa trent’anni fa erano ancora gli schiavi a bollire il cachemire, pelo per pelo.

D. Come investite nella ricerca e in quale settore in particolare?
R. Credo nella ricerca e per questo investo molto. Io stesso vado in giro per il mondo, in Giappone ad esempio, e sto tre giorni per strada ad osservare. La Cucinelli sostiene anche la cultura e l’educazione: abbiamo ideato il Festival Villa Solomei, interveniamo a favore di rassegne quali Umbria Jazz, il Festival dei Due Mondi di Spoleto, la Sagra Musicale Umbra, nonché a favore dell’università di Perugia, e siamo parte di una convenzione per l’attivazione di un corso in Etica di impresa nella facoltà di Economia e Commercio.

D. Qual è l’etica della sua impresa?
R. Pongo i valori umani al primo posto: così tutti ci sentiamo responsabili del nostro lavoro senza che sia penalizzata l’individualità di ciascuno, ma ne siano valorizzate la libertà e la creatività.

Tags: imprese Giosetta Ciuffa Umbria imprenditoria arti e mestieri export industria tessile Ottobre 2009

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