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PASQUALE DE VITA: COME RISPARMIARE SULLA BENZINA

Alla fine il pie’ veloce Achille ha raggiunto la tartaruga. L’ha schiacciata con i calzari e ha proseguito la propria corsa, smentendo le complesse e ormai dimenticate spiegazioni che, un tempo, il professore di Matematica e Fisica dava agli studenti di liceo in base al rapporto tra la velocità dei piedi e quella delle zampe, costituito da un numero infinito. Per quanto enorme possa essere una cifra pensata o scritta, c’è sempre qualcuno che può aggiungere un +1 all’infinito, proprio come sembra accada con il prezzo del greggio nel mercato di New York, dove lo scorso ottobre, ad esempio lunedì 18, alle contrattazioni «after hours» ha raggiunto l’ennesimo record di 55,33 dollari al barile, contenente i 158,97 litri che costituiscono l’unità di misura delle quotazioni. Quel giorno è stata superata la soglia dei 54 dollari che Peter Thiel - capo del Ccm, il fondo Clarium Capital Management che investe prevalentemente nel settore energetico -, ha indicato come avvio di un nuovo rialzo, per lui promettente di cospicui guadagni. Gli esperti si affannavano a spiegare che esso era dovuto alla preoccupazione che la domanda del combustibile da riscaldamento negli Stati Uniti riduca le scorte sotto il livello medio. Ma saliva a 50,30 anche il Brent, che indica i prezzi del greggio dei mari del Nord sulla piazza di Londra, di solito di qualche punto sotto quelli di New York. E anche sui mercati asiatici il greggio raggiungeva i 55 dollari, il 70 per cento in più del prezzo di appena un anno fa. Il petrolio pie’ veloce ha ormai distanziato l’affannato e preoccupato consumatore tartaruga; era partito da una quotazione di poco superiore ai 28 dollari nel maggio 2003, quando gli Stati Uniti hanno dichiarato conclusi gli scontri armati in Iraq. Non fossero mai state dette quelle parole. Perché un anno dopo il barile era a 40 dollari e oggi tra gli analisti c’è chi giura sui 60 dollari entro 12 mesi e i 100 entro il 2010. Una quotazione che fa tremare chi ricorda uno degli ultimi messaggi del micidiale Bin Laden, che annunciava ai propri accoliti la necessità di un greggio a 150 dollari per mettere definitivamente in ginocchio l’economia dei mercati dell’Occidente.
In questa intervista fa il punto della situazione un super-esperto del settore, Pasquale De Vita, con una carriera tutta nel settore dal 1954, quando a 25 anni, appena laureato in Giurisprudenza, entrò nell’Agip di Enrico Mattei, fino a diventarne presidente nel 1984. Oggi è presidente dell’Unione Petrolifera, associazione cui partecipano tutte le società petrolifere più importanti, come Esso, Shell, Total, Agip, Mobil, operanti in Italia nella raffinazione e nella distribuzione, e che aderisce alla Confindustria.
Domanda: Perché questo aumento dei prezzi del carburante?
Risposta: Per capire l’andamento dei costi anche alla pompa, l’argomento petrolio va diviso in due filoni. Il primo è costituito dalla produzione e dalla richiesta da parte del mercato; il secondo dalla struttura della rete di distribuzione in Italia, con l’appendice non insignificante dei carichi fiscali dal momento che quando il fisco ha bisogno di incassare ha due campi sicuri da tassare, benzina e casa. Oggi i prezzi internazionali sono arrivati oltre i 55 dollari.
D. A quanto ammontano sia la domanda internazionale sia la capacità produttiva mondiale?
R. La domanda è aumentata molto più delle previsioni. È arrivata a 82 milioni di barili al giorno, crescendo di qualche milione al giorno rispetto allo scorso anno. La crescita mondiale dei consumi è dovuta principalmente alla Cina, all’India, cioè all’area orientale in rapido sviluppo. Anche gli Stati Uniti hanno aumentato la domanda, soprattutto di benzina, per effetto del boom dell’ultimo periodo. C’è quindi una domanda mondiale in crescita, che facilita l’aumento in salita del prezzo. Nello stesso tempo non c’è una deficienza di offerta, non ci sono carenze di nessun tipo.
D. L’offerta è ancora sufficiente?
R. Certamente, anche se ci siamo avvicinati molto alla soglia di produzione attuale rispetto allo scorso anno, mentre in passato esisteva una riserva produttiva di alcuni milioni di barili al giorno. Situazioni critiche si sono avute anche in passato, sia pure con caratteristiche diverse, e non hanno portato a questo parossismo dei prezzi. Questa impennata è dovuta a una causa in parte fisiologica, l’aumento della domanda, in parte non fisiologica ma che sta a cavallo tra l’emozione e la speculazione nei mercati internazionali. Per un lungo periodo abbiamo avuto il greggio a buon mercato: dal 1985 al 2000 la quotazione media è stata di circa 18 dollari al barile, un prezzo abbastanza basso e conveniente, fenomeno che ha favorito per diversi anni l’espansione economica. Adesso tutto questo fa parte del passato e non possiamo aspettarci un ritorno a quei livelli, anche se si dovesse attenuare la drammatica situazione attuale. Si pensa che il prezzo medio ragionevole dovrebbe aggirarsi sui 30-35 dollari al barile. Sarebbe comunque più basso, in valore reale, di quello in vigore durante le crisi della fine degli anni 70, quando il greggio era giunto ai 40 dollari di allora, livello superiore ai 78 dollari di oggi. I prezzi bassi di pochi anni fa sono da considerarsi superati, oggi purtroppo tutto dipende da una situazione internazionale molto critica, di cui non è facile vedere la soluzione.
D. Attentati e situazione irachena, conflitti interni in Nigeria, nell’Arabia Saudita e nella Guinea equatoriale, scioperi nel Venezuela, terrorismo in Russia e crisi della Yokos, la maggiore compagnia petrolifera. Quali le prospettive?
R. In Russia sono sorte rapidamente grandi concentrazioni, per cui qualche assestamento è necessario, ma non si è interrotta la produzione. Una forte tensione politico-militare esiste in quasi tutte le aree produttive; in parte è la causa e in parte l’effetto della crisi del mercato petrolifero. Ma c’è un rovescio: i Paesi produttori hanno utilizzato anche a fini politici la prima crisi petrolifera degli anni 70, per aumentare il prezzo e per essere più influenti nelle politiche mondiali. Poiché aveva rapporti con Israele, l’Olanda fu sanzionata e non le inviarono più il greggio. Era il periodo dello shock petrolifero, delle domeniche a piedi. Aumentò molto il prezzo, ma la reazione del mondo industrializzato fu la riduzione dei consumi senza mettere in crisi l’economia. Si attinse alla grande fonte alternativa di energia che è il risparmio nei consumi. Si cominciarono a eliminare gli sprechi facilitati dal basso costo. Fu abbassata la temperatura nelle case, si indossò un doppio pullover. La crisi impressionò molto la gente, si registrò una spinta verso le tecnologie che consentì di ridurre drasticamente i consumi. Un’auto che allora con un litro di benzina percorreva 9 o 10 chilometri, oggi può percorrerne 15 o 16. Fu stimolata la ricerca per migliorare i rendimenti e ridurre i consumi. Nella produzione dell’energia elettrica il rendimento si aggirava sul 30 per cento, oggi è del 60 per cento. C’è stato un impegno generale per sviluppare le tecnologie e abbattere i consumi. Inoltre si è andati a cercare il greggio anche dove era poco conveniente a causa degli alti costi di estrazione. Oggi si estrae nel Mare del Nord, nel Caspio, nel Kazakistan, in zone più lontane, a profondità maggiori. L’Opec, l’organizzazione che riunisce i Paesi esportatori, in occasione dell’ultimo incontro ha osservato che «è finito il greggio facile», a basso costo, come quello dell’Arabia Saudita dove basta fare un buco per trovarlo. Adesso si va anche in zone soggette a sei mesi di ghiaccio e sei di caldo torrido, lontane dai posti di consumo, con necessità di lunghi trasferimenti del prodotto, di oleodotti, di cisterne, di mezzi costosi. Il greggio doveva crescere di costo, questo è certo, ma non a questi livelli.
D. Si stanno esaurendo i giacimenti?
R. Non esiste questo problema, i giacimenti sono in grado di assicurare la fornitura ancora per quasi 40 anni. L’Aie, Agenzia Internazionale dell’Energia, prevede tuttavia una fortissima crescita dei consumi. Dagli 82 milioni di barili attuali si calcola che nel 2030 si salirà a 120 milioni a causa della motorizzazione e dell’industrializzazione di Paesi con alta intensità di popolazione come la Cina e l’India. Il peso del petrolio comunque rimarrà a quell’anno ancora elevato - 37 per cento - nella copertura energetica mondiale. Il problema degli approvvigionamenti energetici sarà acuito dalle crescenti esigenze di tutela ambientale ma, finché non si troverà una soluzione alternativa, il greggio sarà la fonte più flessibile esistente.
D. Qual è la fonte più promettente?
R. Come fonte il gas, ma si punta molto come «vettore energetico» sull’idrogeno, sul quale si stanno investendo enormi risorse. Tra gli Stati Uniti e l’Europa è stata raggiunta un’intesa in base alla quale ciascuna area perseguirà soluzioni diverse per il suo sviluppo. Ma sembra certo che ci vorranno almeno 20 anni per farlo decollare, gli stessi promotori indicano questo periodo. Non è difficile produrre l’idrogeno, è difficile invece utilizzarlo; esige alte pressioni ed è infiammabile, caratteristiche che suscitano alcune perplessità. Ebbi un’esperienza in proposito nella raffineria di Milazzo nella quale occorreva installare un impianto per produrlo; la popolazione insorse, gli ambientalisti gridavano «Volete mettere una bomba a Milazzo», in un’assemblea nella sala del Consiglio comunale tutti si scagliavano contro. Spiegai che l’impianto si chiamava Idrogeno 2 perché nella raffineria funzionava da 25 anni un altro impianto, Idrogeno 1, ma nessuno aveva mai protestato. Intervenne uno degli ambientalisti dicendo: «Forse il futuro è l’idrogeno». Per averlo nelle auto, però, si prevede che occorrano 20 anni di ricerche. Nel frattempo bisogna puntare sia al risparmio, sia allo sviluppo delle fonti alternative: energia eolica, solare, da biomasse, idroelettrica dove è ancora possibile. Ma soprattutto è importante migliorare il rendimento del greggio, perché per i prossimi 20-30 anni rimarrà la principale fonte energetica.
D. Come evitare che il cittadino medio subisca la continua crescita del prezzo?
R. Si sente spesso ripetere che quando il prezzo del greggio cresce, sale subito anche quello alla pompa, mentre quando il primo diminuisce, il secondo scende lentamente. Abbiamo spiegato tante volte che questa disparità non esiste, come dimostrano i dati dell’osservatorio del Ministero delle Attività produttive.
D. Quali sono i fattori che influiscono maggiormente sul prezzo?
R. Il 75 per cento sono costituiti da tasse. Quando il prezzo del greggio ha un incremento del 50 per cento, di fatto questo incide solo sul 20 per cento del prezzo finale, ossia sulla parte rappresentata dal costo della materia prima. Anche l’euro indirettamente è una delle cause dell’aumento del greggio, che si paga in dollari. I Paesi del Medio Oriente spendono circa il 40 per cento dei loro dollari nell’area dell’euro; essendo l’euro sopravvalutato rispetto al dollaro, devono pagare più dollari per ottenere gli stessi quantitativi; per recuperare la differenza tra le due valute, pretendono più dollari per barile. Come si vede, le componenti che influiscono sull’aumento dei prezzi dei prodotti petroliferi sono molte.
D. Il prezzo, in precedenza amministrato in Italia, è stato liberalizzato più di 10 anni fa, ma non c’è stato un vantaggio. C’è un cartello tra le società petrolifere? Non è dovuta intervenire anche l’Autorità per la tutela della concorrenza?
R. Si è parlato di un cartello, ma è stato chiarito che esso non esisteva e una sentenza del Consiglio di Stato ci ha dato ragione. L’Autorità invece ci ha condannato in prima istanza, giudizio che però è stato annullato successivamente. La concorrenza tra le società distributrici c’è ed è reale. Bisogna comunque rivolgere un invito ai consumatori: al mercato, il prezzo dei pomodori o dell’insalata si guarda in un banco poi in un altro, e si cerca quello in cui il prodotto della stessa qualità costa di meno. Perché non si fa lo stesso con la benzina? Cercando fra le diverse forme di servizio - erogazione self service, sconti, promozione e altro -, si trovano differenze fra un distributore e l’altro fino a 4 o 5 centesimi al litro, pari a 80 o 100 lire. Invece gli automobilisti non se ne accorgono, non notano le differenze anche se ogni impianto espone per legge i prezzi bene in vista. Il cartello di cui si è parlato non esiste. Sui petrolieri si ripetono tanti luoghi comuni, non solo in Italia ma in tutto il mondo, difficilmente eliminabili. Suggeriamo alle associazioni dei consumatori di spiegare ai propri iscritti come si può risparmiare, di abituarli a cercare dove spendere di meno, di informarsi sui distributori che praticano prezzi differenziati e offerte convenienti, di essere più attivi e meno abitudinari.
D. Non ha influito negativamente l’introduzione dei centesimi di euro? Non era più avvertibile la differenza di prezzo quando si pagava in lire?
R. È proprio così. Purtroppo la differenza in centesimi non viene considerata. Gli unici a valutarla forse sono i giovani che, disponendo di poco denaro, hanno imparato ad apprezzare i centesimi. Quando chiedo agli amici qual è il prezzo della benzina, i giovani rispondono quasi sempre con esattezza e sanno anche dove costa di meno, mentre pochi adulti lo sanno.
D. La rete di distribuzione con troppi impianti e non sempre ben situati contribuisce al caro-benzina?
R. Gli impianti in Italia sono oggi 23 mila; abbiamo la rete più numerosa e meno razionalizzata d’Europa, che vende meno volumi per impianto e comunque solo carburanti, mentre in altri Paesi si vendono tanti prodotti. Quindi è la rete più costosa di tutte. Per superare tale situazione, sul piano normativo sono stati compiuti dei passi avanti, ed altri occorrerà compierne per avvicinarsi ai modelli di rete europea. Alcuni decenni fa gli impianti erano 40 mila, ora ammontano a 13 mila. Ancora di recente il numero è stato ridotto di 2.500 unità con un accordo tra le società approvato dall’Antitrust, ma si tratta di un numero ancora elevato. Però occorre attenzione: il numero dipende anche dal tipo di servizio che si vuole offrire all’utente.
D. In che senso?
R. In Francia gli impianti sono di meno, ma per trovarli si deve fare una caccia al tesoro, percorrere vari chilometri. Anche se la benzina costa di meno, l’automobilista spesso può spendere di più se calcola anche il consumo necessario per la strada che deve percorrere in più. In Italia molti Comuni sono situati in zone montane, è difficile pensare che gli abitanti possano percorrere 50 chilometri per scendere a valle a fare rifornimento. Molti impianti devono essere mantenuti proprio per la situazione orografica del Paese, e devono limitarsi a distribuire solo carburante, senza l’apporto finanziario derivante dalle strutture di vendita di merci non petrolifere. Le società che hanno tentato di chiuderli si sono trovate dinanzi a una rivolta di sindaci che hanno annunciato l’apertura di impianti a gestione comunale. Così li hanno dovuti mantenere aperti. Sulle autostrade la situazione è più vicina a quella esistente in Europa, con piazzali di parcheggio, bar, rivendite di giornali, di magliette, giubbotti, giocattoli, alimentari, sigarette e altro.

Tags: oil&gas Pasquale De Vita anno 2004

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