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EDWARD DE BONO: l’importanza di un nuovo modo di pensare

Edward De Bono

Edward De Bono è l’inventore del «pensiero laterale» e leader indiscusso di uno dei campi che si apprestano a diventare fondamentali nel prossimo futuro: il pensiero creativo e costruttivo. Ha scritto 67 libri tradotti in 37 lingue ed è stato invitato a partecipare a conferenze sull’argomento in 57 Paesi. Molti dei suoi scritti sono diventati libri di testo obbligatori nelle scuole di vari Paesi, oppure vengono applicati nell’insegnamento di discipline scolastiche. Edward de Bono è infatti il fondatore della World Academy of New Thinking, i cui membri sostengono l’esigenza e l’importanza di un nuovo modo di pensare, un «new thinking» che favorisca nuove percezioni e concepisca idee creative e concetti freschi, trovando soluzioni alternative applicabili in ogni campo del vivere.

Nel 1972 De Bono ha fondato il Cognitive Research, organizzazione no-profit finalizzata all’insegnamento dello sviluppo della capacità di pensiero creativo nelle scuole; nel 1988 è stato insignito, a Madrid, del premio First Capire Prize per il suo significativo contributo all’umanità, e nel 2003 del Telecom Italia Prize for Leadership on Business and Economic Thinking. Attualmente, Edward de Bono è presidente del Council of Young Enterprise Europe, un’associazione impegnata nella realizzazione di «mini-business» che coinvolge più di un milione e mezzo di giovani in età scolare provenienti da Europa, Russia e Israele.

In Italia è rappresentato in esclusiva da Promostudio International Consultants, da anni riferimento nella cultura d’impresa internazionale. Con l’intervento di propri consulenti o dello stesso Edward de Bono, possono essere realizzati progetti ad hoc e interventi formativi che mirano a sviluppare cultura aziendale e skill creative da utilizzare nell’affrontare i problemi e a creare un contatto proattivo verso le realtà interne ed esterne dell’organizzazione, anche mediante metodologie e strumenti di gestione dell’innovazione e del cambiamento per stimolare creatività e propositività dei dipendenti in un’ottica di aumento della produttività. Nell’intervista che segue Edward de Bono illustra la propria teoria del «pensiero laterale» ovvero del pensiero creativo e costruttivo, un campo che si avvia a diventare fondamentale nel prossimo futuro.

Domanda. Quando ha cominciato ad occuparsi di creatività e come è giunto ad elaborare i metodi del pensiero creativo?
Risposta. Medicina e psicologia costituiscono il mio background. Come medico, mi sono occupato di complicati sistemi quali gli apparati ghiandolare, renale, respiratorio ecc. Ho sviluppato idee sui «sistemi di informazione auto-organizzati» - i self organising information systems - e ho cominciato ad applicare i medesimi principi ai funzionamenti delle reti neuronali del cervello. Questo è stato l’inizio del mio lavoro sulla creatività. Si tratta di qualcosa di molto diverso dalle «descrizioni» filosofiche o psicologiche prive di una base sistematica.

d. Può spiegare i concetti che si ritrovano alla base delle tecniche del «pensiero laterale» e dei «sei cappelli per pensare»?
R. Il «pensiero laterale» ha a che fare con cambiamenti di schemi all’interno di un sistema asimmetrico precostituito. Esistono varie tecniche come la sfida o challenge, l’estrazione del concetto o concept extraction, la provocazione o provocation, l’accesso casuale o random entry ecc.; ogni tecnica può essere imparata e usata liberamente. La tecnica dei «sei cappelli per pensare» è un metodo per fare pensiero parallelo, quindi è molto diverso dalla tradizionale discussione che prevede due opposti a confronto.

D. Lei spesso critica il metodo dialettico che è alla base di incontri e riunioni: alla forma dialettica contrappone il «pensiero parallelo». Può spiegare le principali differenze fra pensiero dialettico e pensiero parallelo?
R. Nel pensiero parallelo si pensa e si guarda contemporaneamente nella stessa direzione. La direzione e la natura del pensiero sono determinate dal colore del cappello che si sta utilizzando; questo significa che ciascuno contribuisce all’esplorazione dell’argomento. Il meeting richiede circa un quinto o anche un decimo del tempo impiegato in una discussione «tradizionale». Durante l’incontro, ogni cervello dà il meglio di sé.

D. Quali sono le più comuni resistenze all’introduzione della creatività nelle organizzazioni? Qual è il maggior nemico della creatività?
R. Le persone amano la continuità e non i rischi che il cambiamento può comportare. Inoltre esiste l’autocompiacimento, perciò molte organizzazioni ritengono di funzionare così bene da non aver alcun bisogno della creatività.

D. Il titolo di un suo libro è «Serious creativity», un concetto che contrappone a «crazytivity». Quali sono le principali differenze fra questi due tipi di creatività?
R. Essere diversi solo per il gusto di essere diversi è «crazytivity» ovvero pazzia, non creatività. «Serious creativity», ovvero creatività consapevole, significa utilizzare gli strumenti formali del pensiero laterale piuttosto che oziare nella speranza che ci vengano miracolosamente nuove idee.

D. Probabilmente anche l’Unione Europea potrebbe trarre vantaggi dall’uso delle tecniche creative, così come i Governi dei vari Paesi europei. In quale modo e verso quali obiettivi le istituzioni e la politica in generale potrebbero utilizzare il pensiero creativo?
R. L’Europa non può competere con la Cina e l’India sui costi di produzione. In questi Paesi, la qualità del prodotto si sta rapidamente avvicinando a quella europea. L’unica speranza per l’Europa è di competere sulla base del valore aggiunto e dell’innovazione. Questo richiede creatività. In futuro non ci sarà nulla di più importante.

D. Lei pensa che i politici siano veramente interessati alle nuove idee o si preoccupino soprattutto di difendere le vecchie idee alla base dell’ideologia cui sono legati?
R. I politici non sono assolutamente interessati alle nuove idee perché all’interno di una democrazia queste comportano sempre un alto rischio di perdita di voti, anche se l’idea innovativa in ultimo si rivela vincente.

D. Può illustrare altri esempi di utilizzo delle tecniche creative al di fuori del mondo degli affari? Per esempio in campo giuridico, militare, nelle attività no profit?
R. C’è un crescente interesse nel mio lavoro da parte del mondo dello sport: cricket, formula 1, football australiano. Quando si deve fornire un risultato, allora c’è anche interesse nella creatività. Difendersi verbalmente, come si fa in politica, non è abbastanza.

D. Parliamo della pubblica istruzione. Dalle scuole elementari all’università, che cosa ritiene che non funzioni nel sistema educativo di oggi? Che cosa dovrebbe essere completato o modificato?
R. È essenziale che «il pensare» diventi una disciplina scolastica specifica sia nelle scuole sia nelle università, a ogni livello. Nelle scuole dove già si utilizzano i miei metodi i miglioramenti sono stati notevoli ed evidenti agli esami nazionali. In Venezuela il mio lavoro è materia scolastica obbligatoria in tutte le scuole.

D. Spesso è invitato a forum aventi per tema il mondo dell’economia. Quale opinione si è fatto dell’attuale situazione economica mondiale e in particolare del fenomeno della globalizzazione?
R. È necessario gettare uno sguardo di «serious creativity» al mondo economico. Lasciare che le cose procedano solo sulla base del libero mercato non è sufficiente. A questo proposito, c’è bisogno di un gruppo che ragioni in maniera creativa.

D. Uno dei suoi libri è dedicato ai conflitti e al modo di risolverli con creatività. Quali sono le basi per introdurre la creatività nella gestione dei conflitti?
R. Nei conflitti si cerca di «dare un giudizio» sul modo di procedere: chi ha ragione e chi ha torto. Invece è necessario «progettare» un modo di procedere. Abbiamo bisogno di un progetto, non di discussioni in stile giuridico.

D. Quali sono le principali differenze, in positivo o in negativo, da Lei riscontrate nel concetto italiano della creatività rispetto ad altri Paesi?
R. Gli italiani fanno spesso confusione tra stile e creatività ma le due cose sono molto diverse. In Italia chiunque abbia un’idea nuova ricerca l’approvazione del proprio gruppo, e questo rende impossibile creare grandi idee. Se fosse rimasto in Italia, Guglielmo Marconi non sarebbe riuscito certamente a svolgere il proprio eccellente lavoro.

D. Un’ultima domanda: in Italia che cosa possono fare, in pratica, gli individui e le organizzazioni intenzionate ad apprendere le tecniche del «pensiero laterale»?
R. Esiste una rete worldwide di 1.200 trainer, tutti abilitati all’insegnamento dei miei metodi. Anche in Italia vi sono validi trainers che possono essere invitati a insegnare i metodi del «pensiero laterale» e dei «sei cappelli per pensare» all’interno di aziende, di compagnie e di organizzazioni.

Tags: anno 2005

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