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FABIO MASSIMO GALLO: RADIOGRAFIA DELLA GIUSTIZIA PER IL PROSSIMO PARLAMENTO

Fabio Massimo Gallo

Romano, laureato alla Sapienza nel luglio 1973, nel febbraio 1976 Fabio Massimo Gallo conseguì l’abilitazione all’esercizio della professione forense; entrato in magistratura dal giugno 1979, è stato giudice nel tribunale penale di Milano dal 1980 al 1982, quindi in servizio fuori ruolo nel ministero della Giustizia dal 1982 al 1984, pretore del Lavoro a Roma fino al dicembre 1993, giudice nel tribunale civile di Roma e componente del Consiglio giudiziario presso la Corte di appello romana per due bienni, dal 1993 al 1997; nel quadriennio 1998-2002 ha fatto parte del Consiglio superiore della magistratura.
Attualmente presidente della I sezione Lavoro del tribunale di Roma, è membro dell’European association labour court judges; autore di numerosi saggi e pubblicazioni, dal 2002 è docente incaricato di diritto del lavoro nella scuola di specializzazione per le professioni legali dell’università Sapienza di Roma. In questa intervista illustra i problemi della giustizia visti da un operatore che da oltre un quarto di secolo si sforza giornalmente per soddisfare quanto più possibile, con i limitati mezzi a disposizione, esigenze e diritti di cittadini e imprese.

Domanda. Quali effetti hanno avuto le leggi emanate negli ultimi anni sul funzionamento dei tribunali civili?
Risposta. Il torrente di interventi legislativi che, a partire dall’inizio degli anni Novanta, ha interessato la giustizia civile, e non solo, non ha prodotto grandi risultati ma ha provocato spesso confusione e disagi. Certamente, il ricorso alle cosiddette sezioni stralcio ha consentito lo smaltimento dell’arretrato anteriore al 1995, affidato alla magistratura onoraria, a scapito però - almeno a detta dell’avvocatura - della qualità delle decisioni. Le varie ed esitanti riforme del processo civile hanno solo di poco conferito una certa speditezza al processo civile ordinario, rimasto assai al di sotto del modello giuslavoristico. Si pensi che la legge n. 353 del 26 novembre 1990, intitolata «Provvedimenti urgenti per il processo civile», ha subito una serie di rinvii e di modifiche per cui è entrata definitivamente in vigore solo dal 30 aprile 1995, con buona pace dell’urgenza. Dal primo gennaio 1993, peraltro, è stata attribuita la provvisoria esecutività a tutte le sentenze civili di primo grado, fino a quel momento riconosciuta solo alle decisioni del giudice del lavoro contenenti condanna a favore del lavoratore.

D. Da che dipende questa situazione?
R. I problemi del processo civile hanno origini lontane, riconducibili all’improvvido intervento legislativo del 1950. Infatti l’impostazione originaria del codice del 1940 considerava la celerità del processo come un interesse pubblico da perseguire anche contro la volontà delle parti, e in tale ottica prevedeva un sistema di preclusioni e decadenze che, per quanto meno drastico dell’attuale rito del lavoro (legge 11 agosto 1973 n. 533) era tuttavia idoneo a contenere i tempi processuali. Tale struttura venne stravolta, per le pressioni della classe forense nel nome del diritto di difesa, dalla legge del 14 luglio 1950 n. 581, che ha dilatato illimitatamente i tempi del processo civile, nel dichiarato intento di attribuire maggiore spazio all’attività difensiva ma con il risultato concreto di consentire agli avvocati di gestire a loro piacimento l’attività processuale e ai magistrati, conseguentemente, di affrontare senza troppi affanni lo svolgimento delle udienze, rinviando sostanzialmente al momento finale lo studio approfondito dei fatti di causa, mai compiutamente acquisiti fino alla precisazione delle conclusioni; salvo fare ricorso all’istituto della riserva per le decisioni da adottare nel corso dell’istruttoria.

D. Non c’è stato alcun miglioramento?
R. La già ricordata legge 353 del 1990, inizialmente concepita con il parametro del processo del lavoro poi via via annacquata già nel corso dei lavori parlamentari e anche successivamente alla promulgazione - con lo sdoppiamento tra udienza di prima comparizione e udienza di prima trattazione introdotto con il decreto legge 432 del 18 ottobre 1995 convertito in legge 534 del 20 dicembre successivo -, ha comunque apportato qualche miglioramento nel processo civile. Il primo marzo 2006 è entrata in vigore la cosiddetta miniriforma della procedura civile, che contiene altre innovazioni destinate, nell’auspicio del legislatore, ad accelerare in qualche modo il processo civile; taluni di questi interventi appaiono quanto mai opportuni, ad esempio il nuovo testo dell’articolo 167 (la comparsa di risposta con la reductio ad unum di tutta la trattazione nella prima udienza), l’articolo 183 (l’attribuzione della stabilità al provvedimento d’urgenza non opposto), l’articolo 669 octies (alcune novità in materia di notificazioni). Occorre però dire che anche le migliori modifiche processuali non possono condurre a un’accelerazione dei procedimenti se il carico di lavoro di ciascun giudice è eccessivo, e se mancano strutture logistiche e personale amministrativo.

D. I giudici sono sufficienti?
R. Quanto al carico di lavoro, e al di là di facili battute sul rendimento dei singoli magistrati, si deve rilevare che l’organico della magistratura ordinaria è tutt’altro che insufficiente, almeno sulla carta, prevedendo, per effetto dell’aumento stabilito dalla legge n. 48 del 13 febbraio 2001, un organico complessivo di 10.109 unità, e in particolare 9.463 posti in organico per gli uffici giudiziari, di cui 7.059 giudicanti e 2.404 requirenti; tuttavia, i magistrati in servizio, in base ai dati aggiornati al 7 febbraio scorso, sono in tutto 9.156 con 953 vacanze complessive, 939 delle quali negli uffici giudiziari, pari al 9,92 per cento. E questo a causa principalmente del mancato espletamento dei concorsi per l’accesso in magistratura, situazione venuta a formarsi nelle precedenti legislature e non migliorata con l’attuale, per cui si sommano quasi 20 anni di lungaggini ascrivibili unicamente ai Governi che si sono succeduti in tale periodo: spetta infatti al ministro della Giustizia bandire ed organizzare i concorsi per uditore giudiziario.

D. Qual è la situazione dei concorsi?
R. Dal 1989 ad oggi ne sono stati espletati solo 12; l’ultima immissione in servizio, intervenuta all’esito del concorso bandito il 12 marzo 2002, si è avuta con il decreto ministeriale del 19 ottobre 2004 - per 385 unità, attualmente in tirocinio senza funzioni giurisdizionali -, mentre si sono svolte nel febbraio 2006 le prove scritte del concorso bandito il 28 febbraio 2004 e si prevede per dopo l’estate la cosiddetta preselezione per il concorso bandito il 23 marzo 2004; nessun concorso è stato bandito negli anni 1996, 1999, 2001 e 2003. Vi è poi il gravissimo problema dell’eccessiva dispersione di personale a causa del numero degli uffici giudiziari.

D. Quanti sono complessivamente?
R. In Italia esistono 164 tribunali, di cui 29 con un organico pari o inferiore a 10 magistrati, situazione che li rende sostanzialmente inidonei a funzionare; ma nessun Governo e nessuna maggioranza parlamentare, dalla fine della guerra a oggi, ha avuto il coraggio di rivedere le circoscrizioni giudiziarie, per non sopprimere uffici o sezioni distaccate ingiustificate sul piano razionale, ma tenute in vita per esigenze localistiche e quindi per ragioni elettorali: solo in Piemonte operano ben 17 tribunali, 7 dei quali con meno di 10 giudici in organico; la situazione non ha bisogno di commenti. Esiste, inoltre, la questione delle sedi distaccate di tribunale, uffici privi di magistrato titolare ma che assorbono personale e costi di gestione, e nei quali il giudice si reca, di solito settimanalmente, dal tribunale principale. Emblematica è la situazione del tribunale di Perugia, che ha ben 5 sezioni distaccate, tutte ravvicinatissime, Assisi, Città di Castello, Foligno, Gubbio e Todi, in una regione con una soddisfacente viabilità che non giustifica un tale dispendio di energie finanziarie e lavorative.

D. I magistrati non protestano?
R. L’Associazione nazionale magistrati segnala da decenni che un obiettivo indifferibile - ma cionondimeno esso appare in concreto irrealizzabile -, è la revisione delle circoscrizioni giudiziarie, da non intendersi come «desertificazione del territorio» ma come ridistribuzione dell’organico della magistratura in modo più razionale ed efficiente; vi sono infatti zone del Paese in cui la presenza del palazzo di giustizia riveste un significato e un’importanza che trascendono la mera dimensione numerica degli affari. Merita di essere ricordata la singolare vicenda del tribunale di Giugliano in Campania, istituito con il decreto legislativo n. 491 del 1999 dichiaratamente per decongestionare il tribunale di Napoli, ma mai realizzato per problemi finanziari: esiste un tribunale fantasma, con un organico tabellare, ovviamente del tutto vacante, di 18 unità compreso il presidente e relativa procura della Repubblica, con un organico, parimenti solo tabellare, di otto unità compreso il procuratore, nonché con tre sezioni distaccate a Pozzuoli, Marano di Napoli e Casoria, tuttora facenti capo al tribunale di Napoli ancorché attribuite, sulla carta, all’inesistente tribunale di Giugliano.

D. Negli ultimi anni il tribunale civile di Roma è stato oggetto di vari interventi strutturali. Sono stati sufficienti?
R. L’edilizia giudiziaria è assolutamente deficitaria in tutto il Paese, e Roma non fa eccezione; mancando una sede unitaria, gli uffici giudiziari, limitandoci al settore civile, sono distribuiti in molteplici sedi: in via Teulada il giudice di pace, in viale Giulio Cesare e in Via Lepanto il tribunale civile e del lavoro, in via Antonio Varisco e in via Romeo Romei la Corte d’appello civile e lavoro in due diversi immobili non adiacenti, in piazza Cavour la Corte di cassazione. Oltre a creare enormi disagi alla classe forense, tale situazione provoca ritardi nella movimentazione dei fascicoli, impedisce una razionale utilizzazione del personale - l’applicazione da un ufficio a un altro suscita sovente reazioni e lamentele, comportando un mutamento anche della sede lavorativa -, e di riflesso allo svolgimento delle udienze.

D. Gli ambienti interni sono adeguati?
R. La situazione del tribunale di Roma, e dell’area Lavoro in particolare, è caratterizzata da macroscopica carenza di spazi con la conseguenza che i giudici dispongono di un’aula per due - è rarissima la disponibilità di un’aula per un singolo magistrato -, le cancellerie soffocano sotto migliaia di fascicoli, con intuibili disagi per il personale e gli utenti, gli avvocati non hanno a disposizione spazi di attesa, il pubblico si ammassa lungo gli angusti corridoi di edifici costruiti tra il XIX e il XX secolo, destinati a caserme e quindi concepiti con tutt’altro criterio. È quasi commovente vedere ancora incisi sul marmo dei davanzali, con la punta della baionetta, nomi, città d’origine e date di soldati che hanno prestato il servizio militare in questi stabili nel 1898 o nel 1906. I vecchi immobili che ospitano il tribunale civile e il tribunale del lavoro, costruiti su terreno ricco di falde acquifere tendente a slittare verso il vicino Tevere, e realizzati con tecniche ottocentesche, hanno poi subito l’azione destabilizzante del passaggio della metropolitana, con la conseguenza che è a rischio la stessa statica, come confermato da recenti chiusure per lavori di restauro e consolidamento, effettuati però solo al momento delle manifestazioni di pericolo e non in modo preventivo e radicale.

D. Il trasferimento della giurisdizione di alcuni circondari a tribunali vicini ha alleviato la situazione?
R. La sottrazione di frange di territori al tribunale di Roma è stata operata con il decreto legislativo n. 491 del 1999, la cosiddetta legge sui tribunali metropolitani che ha istituito il tribunale di Tivoli, peraltro già esistente quanto a strutture, come sezione distaccata del tribunale di Roma, e ha attribuito al tribunale di Velletri comuni quali Frascati e Pomezia, e a quello di Civitavecchia la sezione distaccata di Bracciano e la zona di Fiumicino. Il provvedimento ha avuto un sia pur limitato effetto deflattivo, ma occorre sottolineare che è stato accompagnato da una proporzionale riduzione dell’organico complessivo del Tribunale di Roma; e che, per quanto riguarda le controversie di lavoro, la riduzione territoriale è coincisa cronologicamente con l’attribuzione al giudice del lavoro della giurisdizione sulle controversie del pubblico impiego, che per la loro complessità, prima ancora che per il loro numero - meno del 10 per cento dell’intero contenzioso - hanno sostanzialmente vanificato i risultati positivi della riduzione del circondario.

D. Quante cause ha la sua sezione?
R. Al 31 dicembre scorso le pendenze complessive delle sezioni Lavoro del tribunale di Roma ammontavano a 34.388 processi, mentre nel 2005 sono state depositate complessivamente 23.429 sentenze, oltre a 7.152 decreti ingiuntivi e 461 provvedimenti d’urgenza; nello stesso periodo sono state definite con altre modalità - conciliazione, cancellazione, estinzione, riunione - 11.784 cause, e sono state tenute 4.740 udienze. I tempi di fissazione della prima udienza si aggirano sui sei mesi dalla data di deposito del ricorso, riservando comunque tempi più rapidi alle cause concernenti licenziamenti, e più lunghi alle domande meno urgenti, quali i pagamenti di differenze retributive. Occorre dare atto che, grazie alle scelte del Consiglio superiore della magistratura, sono attualmente in servizio 55 giudici su 59, oltre a 4 presidenti di sezione, mentre 10 anni or sono è stato raggiunto il minimo storico dell’allora pretura Lavoro, con 35 presenze effettive su un organico previsto di 63 magistrati, oltre il dirigente, e con una situazione insostenibile per i giudicanti e per gli avvocati.

D. Quali le cause dei lunghi tempi?
R. Dando per scontato che la rapidità di risposta del servizio giustizia rappresenti un bene primario per l’intera società, e che in particolare le cause di lavoro debbano essere decise nel più breve tempo possibile nell’interesse di tutte le parti processuali, ritengo che, oltre alle carenze logistiche sopra evidenziate, una prima, rilevante fonte di disservizio della quale non si parla mai abbastanza, ma che è tristemente conosciuta dalla classe forense, sia rappresentata dalle disfunzioni del sistema delle notificazioni, che cagiona numerosi rinvii e quindi ritardi nel settore sia civile che penale. Inoltre non si può tacere che negli ultimi 15 o 16 anni l’ordinamento giudiziario - che non si identifica affatto con lo status dei magistrati ma rappresenta l’insieme delle norme che regolano il funzionamento degli uffici giudiziari -, ha subito un’autentica valanga di interventi legislativi, sul piano processuale e sostanziale, nel settore civile e in quello penale, nonché nell’assetto degli uffici giudiziari.

D. Come li giudica?
R. Interventi spesso contraddittori e di breve durata: si pensi alla riforma del codice di procedura penale del 1989, ripetutamente modificata anche per interventi della Corte costituzionale; all’istituzione, sempre nel 1989, delle procure presso le preture, che sono scomparse dopo meno di vent’anni, con la loro soppressione per effetto del decreto legislativo n. 51 del 19 febbraio 1998 che istituiva il giudice unico di primo grado, ossia attribuiva tutte le competenze di primo grado ai tribunali. Il tribunale diventava così giudice unico di primo grado, concetto da non confondere con quello di giudice monocratico, relativo alla sola composizione dell’organo giudicante. Nel civile abbiamo già ricordato l’annosa vicenda della legge 353 del 1990, entrata in vigore per parti separate tra il 1993 e il 1995, subito modificata dalla legge 534 del 1995, e oggetto di un successivo stillicidio di interventi culminati nella miniriforma già ricordata, anche questa caratterizzata da un iter a dir poco travagliato: essa infatti prende le mosse dalla legge n. 80 del 14 maggio 2005 e doveva entrare in vigore il primo gennaio 2006 ma è slittata al primo marzo perché modificata prima ancora di entrare in vigore e differita con la legge 28 dicembre 2005 n. 263 e con il decreto legislativo n. 271 del 30 dicembre 2005. Anche la tecnica legislativa degli ultimi due decenni non brilla per chiarezza, poiché norme giuridiche sostanziali e processuali vengono disseminate nei più disparati provvedimenti legislativi, apparentemente destinati a tutt’altro fine e contenuto, quali leggi finanziarie o decreti «milleproroghe», complicando enormemente il lavoro degli avvocati e dei magistrati.

D. Che cosa dovrebbe fare il nuovo parlamento eletto nelle consultazioni del prossimo 9 aprile?
R. Forse è giunto il momento di arginare questa incessante attività legislativa emergenziale, peraltro disorganica e spesso contraddittoria, e di lasciare sedimentare la situazione consentendo a tutti gli operatori del diritto di acquisire finalmente una certezza operativa che manca da venti anni; poi si potrà fare il punto, e valutare il da farsi. Comunque, appare fondamentale potenziare gli organici del personale degli uffici giudiziari, realizzare una seria politica di edilizia giudiziaria per approntare locali adeguati per lo svolgimento delle udienze e per il lavoro di cancelleria, istituire l’Ufficio del giudice per ottimizzarne il lavoro, procedere alla revisione delle circoscrizioni giudiziarie. Si tratta di interventi a lunga scadenza, ai quali comunque occorre mettere mano al più presto se si vuole dar vita a una concreta politica giudiziaria, e non solo a una serie di interventi legislativi che, ove pure fossero quanto di meglio sul piano teorico, si infrangerebbero inesorabilmente contro gli ostacoli della quotidianità giudiziaria.

Tags: lavoro Lazio Roma avvocatura Ministero della Giustizia Corte di cassazione giustizia magistratura Fabio Massimo Gallo anno 2006

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