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RENATO ROSSI (SIXTY GROUP): MODA E CREATIVITà, ARTE E CULTURA

RENATO ROSSI (SIXTY GROUP)

È nata come un gioco. È diventata un’azienda tra le più significative e rilevanti nel campo della moda in Italia. Il Gruppo Sixty, con un fatturato nel 2005 di 600 milioni di euro e una previsione per il 2006 di 640 milioni, ha impresso all’abbigliamento italiano una svolta particolare nel segno della creatività e dell’innovazione. Il talento creativo e la visione senza confini della moda espressi dalle collezioni, insieme a una straordinaria capacità di valorizzazione del tessuto produttivo italiano sono valsi ai due creatori di Sixty, Wicky Hassan e Renato Rossi, il premio Pitti Immagine Uomo di quest’anno, una delle manifestazioni più in vista del settore tessile e dell’abbigliamento. Un riconoscimento che nelle edizioni precedenti è stato attribuito ad aziende o a persone protagoniste della moda italiana e internazionale. Renato Rossi, laureato in ingegneria e imprenditore, è l’amministratore delegato del Gruppo e ha portato nell’azienda la concretezza e il pragmatismo della propria formazione universitaria: “Veramente non ho mai svolto la professione per la quale mi sono laureato–sottolinea–. La mia grande passione è la moda, un mondo molto bello e interessante che mi ha sempre affascinato. Siamo quelli che hanno imposto un nuovo modo di affrontare il denim, il tessuto del jeans, e siamo riusciti ad esportarlo nel mondo”.

Con sede a Chieti, Sixty vanta una distribuzione che si allarga in più di 90 Paesi, dall’Europa agli Usa, all’America del Sud, all’Estremo Oriente, con circa 7 mila punti vendita. Attualmente commercializza ben 7 marchi: da Miss Sixty ed Energie, che insieme coprono il 65 per cento della produzione, a Sixty, camiceria vintage da uomo; dal trasgressivo Killah, femminile di killer che si rivolge a un pubblico femminile giovane, a Murphy&Nye, marchio storico del mondo della vela e dell’abbigliamento sportivo internazionale, che tra l’altro ha sponsorizzato il Moro di Venezia della Coppa America; a Refrigwear, capi di abbigliamento con isolamento termico per le esigenze del tempo libero; fino a Richlu, un marchio ancora prodotto nella vecchia fabbrica dell’inizio del secolo scorso a Winnipeg, in Canada, con piuma d’oca locale.

Domanda. Come mai la sede dell’azienda si trova a Chieti?

Risposta. È stata una scelta determinata dalla necessità di essere vicino alle nostre fonti produttive. In quell’area siamo, infatti, in presenza di un indotto avanzato per quel che riguarda il settore denim: esiste un tessuto connettivo di piccole aziende, come lavanderie e stamperie, che rispondevano alle nostre esigenze di ricerca sul prodotto.

D. Fin dall’inizio il Gruppo si è caratterizzato nel mercato italiano soprattutto per l’innovativo trattamento del tradizionale tessuto jeans. Quanto incide la ricerca nelle vostre strategie?

R. Posso dire che la ricerca e l’innovazione sono state le linee guida fin dall’inizio della nostra esperienza. Sono la nostra forza. Ho cominciato quasi per gioco, aprendo nel 1975 un negozio a Roma in Via Cola di Rienzo, nel quartiere Prati, solo di jeans. Era un negozietto, ma in realtà aveva già una carica innovativa in quanto costituiva una novità nel panorama dell’abbigliamento dell’epoca. All’inizio ho curato solo la produzione locale, estendendomi al massimo nell’Italia centrale. Poi il giro di affari si è sviluppato; ed è allora che, nel 1983, ho conosciuto Wicky (Vittorio) Hassan, che aveva appena creato Energie, uno dei negozi di abbigliamento che ha fatto epoca per il proprio carattere sperimentale oltre che innovativo, per il legame con la cultura e con l’arte: mostre e vetrine erano create in modo originale da artisti contemporanei e in breve tempo esso è diventato il punto di riferimento di tutti i giovani, che venivano anche da fuori Roma. All’inizio era solo un rapporto di lavoro tra fornitore e cliente; in seguito, dall’incontro tra lo spirito creativo di Wicky Hassan e le capacità imprenditoriali di Renato Rossi è nata una vera e propria partnership che nel 1989 ha dato vita al Gruppo Sixty.

D. Quali sono stati i primi passi e quale ruolo hanno avuto la ricerca e l’innovazione nella vostra azienda?

R. Abbiamo cominciato in maniera artigianale, sartoriale, a livello direi quasi del «fatto in casa», apportando però già innovazioni nel modello dei jeans e nel denim, tessuto principale della nostra attività di ricerca, che più di altri permette interventi innovativi. In un mondo in cui il denim ormai spadroneggia abbiamo puntato sulla sperimentazione, fondamentale per l’identità del Gruppo, con lo scopo di portare avanti uno degli impegni assunti dalle origini: ricerca e innovazione continua. Nuovi tessuti, lavaggi, trattamenti e interventi, assieme a nuovi tagli e design. Era un progetto che doveva essere di nicchia, ma ben presto ha acquisito nuovi spazi, tanto che la distribuzione dall’Italia si è allargata all’estero.

D. Quali sono i passi successivi?

R. Abbiamo commercializzato prima Energie: nato come insegna di un negozio di abbigliamento, si è trasformato presto in un marchio di collezione, rivolto a un pubblico maschile attento a costruire un proprio stile, comunicando un preciso modo di essere. Nel 1990 è nata la linea Sixty, come camiceria da uomo; e infine, nel 1991, Miss Sixty, rivolta al pubblico femminile, che è stata una vera e propria rivoluzione: in quel periodo infatti il jeans era unisex, ma noi siamo stati i primi a creare una linea specifica esclusivamente da donna, con caratteristiche, tessuti e forme femminili. Siamo stati i primi ad usare i tessuti elasticizzati e a ottenere effetti particolari dallo stretch.

D. Avete avuto subito successo?

R. All’inizio abbiamo incontrato un po’ di difficoltà nel farci comprendere dal mercato, ma in seguito il successo è stato travolgente, perché abbiamo risposto a una domanda latente del pubblico femminile. Siamo stati i primi a cavalcare questo cambiamento del costume. Oltre al mercato locale, abbiamo ottenuto subito una buona risposta in Francia, in Inghilterra e perfino in Germania, dove la domanda sembrava più difficile e con esigenze specifiche legate alle taglie. Ora Miss Sixty rappresenta il 35 per cento dell’intera produzione di Sixty Group ed Energie il 30 per cento. Con i nostri marchi ci rivolgiamo a un pubblico che ama giocare con i propri capi, definendo di volta in volta il proprio look e il proprio stile.

D. Come è distribuita la vostra produzione tra il mercato interno e quello estero?

R. In Italia commercializziamo il 29 per cento; il restante 71 per cento all’estero, in Europa, in America, in Estremo Oriente, fino alle isole Hawaii. Il mercato americano è in forte crescita. La Cina per noi è già una realtà e vi siamo presenti con una trentina tra negozi e punti vendita; contiamo su un’ulteriore espansione della distribuzione mano a mano che si allarga il mercato cinese: a Hong Kong siamo già presenti da 5-6 anni, nella Cina interna da tre anni. Siamo soddisfatti, perché in questo Paese siamo nella fascia alta del mercato.

D. E negli altri Paesi emergenti?

R. In India stiamo appena cominciando. Abbiamo aperto in questi giorni il primo negozio a Bombay, in partnership con una società indiana. Anche lì abbiamo un progetto ambizioso. Nostri punti vendita sono inoltre in Giappone, a Taiwan. In Russia siamo presenti come partner in varie città come a Mosca, e a San Pietroburgo, inoltre in Ucraina. Ma per il momento sempre con partner locali, il che naturalmente comporta qualche difficoltà sia per l’individuazione dei soggetti interessati che per la gestione del punto vendita.

D. Quali sono le principali difficoltà che incontrate nell’aprire nuovi negozi all’estero?

R. Indubbiamente non è facile aprire un’attività commerciale all’estero. Ovunque esistono barriere più o meno velate. Barriere che siamo abituati a superare da soli. Se ci fosse un po’ più di appoggio concreto sarebbe meglio, anche se mi rendo conto che non è semplice. Mi riferisco in particolar modo ai rapporti con le istituzioni. Anche nel corso della cerimonia a palazzo Pitti per la 70esima edizione della Mostra, durante la quale il ministro del Commercio internazionale Emma Bonino ci ha conferito il premio come migliore azienda nell’innovazione, è emerso che in Italia ci si muove in maniera frammentata tra le varie istituzioni, mentre gli altri Stati si muovono in massa. È necessario, insomma, fare fronte comune. Qualcosa comunque sta cambiando: il ministro Bonino mi sembra molto determinata.

D. Dall’abbigliamento il Gruppo si è allargato ad altri articoli, come le scarpe, i profumi, le borse, i gioielli, gli occhiali. In base a quale strategia?

R. Alle scarpe teniamo molto, stanno diventando una divisione importante. Curiamo direttamente, dal design allo sviluppo sino alla produzione, una linea di calzature che comprende il prodotto elegante, quello sportivo, il casual, in versioni diverse per materiali, lavorazioni e stili. Per quel che riguarda gli altri accessori, abbiamo concesso alcune licenze e abbiamo scelto partner per avere prodotti in sintonia con il marchio e che aiutassero a rafforzarne l’identità. E così la linea di occhiali da sole e da vista viene prodotta da Marcolin, le borse da Principe e da Coccinelle, i gioielli da Morellato, i profumi da Lancaster. Tutte linee aderenti alle caratteristiche dei nostri prodotti. Abbiamo firmato accordi su prodotti che qualificano il marchio e con aziende che, più che la quantità, garantissero il livello di qualità del prodotto. Perché siamo certi che la quantità viene poi comunque.

D. A quale fascia d’età sono diretti i vostri prodotti?

R. Secondo me, non si può più parlare di fasce d’età. Nel senso che le cosiddette fasce d’età non esistono più. È chiaro che i nostri jeans si rivolgono a un nucleo di consumatrici che va dai 20 ai 30 anni, ma vengono indossati in ogni età. Penso che in realtà oggi si possa parlare più di stili di vita e di momenti particolari, che di fasce d’età.

D. Intendete lanciarvi anche voi nel mondo del lusso?

R. Qualche anno fa decidemmo di fare questo passaggio. Ma non vogliamo essere presuntuosi. Possiamo parlare di lusso accessibile, di fascia medio alta, di un prodotto con contenuti, che possa essere miscelato con il lusso. Per affrontare mercati competitivi come l’America o la Cina dovevamo scegliere una posizione o verso l’alto o verso il basso: abbiamo scelto di porci verso la fascia alta, in quanto è la scelta più proficua a lungo termine, sotto tutti gli aspetti.

D. Questo vale anche per l’Italia?

R. Certamente in Italia, in quanto Sixty è una marca locale, la percezione è diversa che negli Usa o in Cina: ma basta andare nei nostri negozi in Via Montenapoleone a Milano, o in Via Roma a Firenze, o in Via Cola di Rienzo a Roma, per percepire lo stile del negozio, il messaggio della marca. Il Gruppo Sixty ha sempre curato con molta attenzione i propri punti vendita, che sono progettati e concepiti in ogni minimo dettaglio, in modo da caratterizzarsi e diventare immediatamente riconoscibili. Nel caso di Miss Sixty ad esempio, gli spazi fanno riferimento a citazioni artistiche, cinematografiche e musicali degli anni 60 e 70. Forme, colori, luci e piccoli particolari sono studiati per dare massimo risalto al prodotto.

D. È fondata la voce di una quotazione in Borsa entro il prossimo anno?

R. C’è sempre un grande interesse per la quotazione in Borsa. In linea generale pensiamo l’azienda debba essere quotabile: la Borsa, cioè, deve costituire un’opportunità per consolidare l’azienda, darle un profilo più internazionale e una gestione più managerializzata. E noi ci stiamo preparando per questo. Ma per il momento vogliamo andare ancora un po’ avanti da soli: dopo, penso che compiremo questo passo.

D. Quindi per il momento vi autofinanziate. Quali sono i prossimi obiettivi?

R. La nostra ambizione come Gruppo, anche per la particolare attenzione del mio socio Hassan, è rivolta verso la cultura, l’arte. A settembre abbiamo sfilato con la collezione Miss Sixty nel museo Guggenheim di New York; il design è sempre al centro della nostra attenzione, sia nel piccolo che nel grande. Abbiamo, inoltre, appena inaugurato un albergo di nuova generazione a Riccione, nel quale ogni stanza è diversa ed è decorata da un giovane artista. Abbiamo intenzione di continuare su questa strada, creando una catena di alberghi dalle stesse caratteristiche, grazie anche alla passione del mio socio per l’arte moderna.

D. Quali sono i programmi finanziari per il futuro?

R. Proseguire nella crescita di ogni marchio con una distribuzione capillare ma differenziata nel mercato, perché ogni marchio è unico e ha bisogno di un’attenzione particolare. Puntiamo inoltre al consolidamento dei mercati tradizionali come l’Europa occidentale, insieme ai nuovi mercati come l’Europa dell’Est, il Medio e l’Estremo Oriente. Vogliamo anche rinforzare la posizione nei mercati di prestigio come gli Usa, dove abbiamo ben 475 punti vendita e 21 negozi, e siamo passati da un fatturato di 34 milioni di dollari del 2004 ai 40 milioni del 2005, e ne prevediamo 50 per il 2006. Nell’immediato futuro abbiamo in calendario l’apertura di una trentina di negozi in tutto il mondo, di cui 6 solo negli Stati Uniti. In India, apriamo in questo mese a New Delhi e per l’anno prossimo è previsto un nuovo negozio a Mumbai. Per questo stiamo investendo importi finanziari rilevanti in ricerca, sviluppo, nuove tecnologie, software e marketing.

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