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CESARE CATANANTI: POLICLINICO GEMELLI, UN IMPEGNO PER L’ECCELLENZA

Casare Catananti

Inaugurato nel luglio del 1964, il Policlinico Universitario «Agostino Gemelli» di Roma è la struttura sanitaria della facoltà di Medicina e Chirurgia dell’università Cattolica del Sacro Cuore. Inserito nel servizio sanitario nazionale come ospedale di rilievo di alta specializzazione, svolge la triplice funzione della didattica, della ricerca e dell’assistenza. Dotato di 1.900 posti letto, sorge su un’area di 37 ettari che nel 1934 furono donati a Papa Pio XI dall’Istituto Toniolo per erigere appunto la facoltà di Medicina e Chirurgia. Da due anni direttore del nosocomio è il prof. Cesare Catananti, che in precedenza aveva ricoperto per oltre 13 anni il ruolo di direttore sanitario. Di origini calabresi, si è laureato in Medicina nell’università Sapienza di Roma, poi nella Cattolica; si è specializzato in Cardiologia e successivamente in Igiene e, nella stessa Cattolica, insegna Storia della medicina. È autore di oltre duecento pubblicazioni tra le quali, in particolare, il «Trattato di igiene e tecnica ospedaliera» edito da Pensiero Scientifico, e «Medicina: valori e interessi (dichiarati e nascosti)», edito da Vita e Pensiero.
Domanda. A 45 anni dalla fondazione, che cosa rappresenta il Policlinico Gemelli oggi?
Risposta. È un centro di eccellenza che negli anni si è guadagnato una riconosciuta leadership nel campo della ricerca, della didattica e dell'assistenza. In particolare, per la capacità di attrazione di pazienti da fuori Regione, è al primo posto in Italia tra gli ospedali per acuti, il 20 per cento. Nel campo strettamente assistenziale svolge una grande mole di lavoro. Nel 2007 ha registrato oltre 100 mila ricoveri di cui 30 mila in day hospital, 73 mila prestazioni di pronto soccorso, circa 9 milioni di prestazioni da servizi e ambulatori.
D. Quali sono le aree specialistiche di eccellenza?
R. In quanto Policlinico universitario, esso copre tutto il ventaglio delle competenze specialistiche. Quello che è importante è riuscire a trovare il giusto punto di equilibrio tra le esigenze proprie di una struttura del genere, puntate verso le alte specialità, e quelle di una struttura assistenziale inserita nel Servizio sanitario nazionale e nella programmazione regionale, che deve soddisfare anche le esigenze specialistiche di base.
D. Come si conciliano le strategie assistenziali con quelle accademiche?
R. Al Gemelli questo avviene con una certa facilità proprio perché è un policlinico universitario gestito direttamente dall’università e, nel caso nostro, dall’università Cattolica del Sacro Cuore. Con un confronto continuo tra vertice accademico e amministrativo e nella condivisione comune dell’impegno per l’eccellenza, si riesce abbastanza bene a programmare e realizzare le scelte ottimali. Scelte, peraltro, il cui indirizzo è dato dai trends della medicina. Il progressivo invecchiamento della popolazione, con i connessi problemi clinico-sociali, l’ampliarsi delle malattie cronico degenerative, con le patologie neoplastiche e cardiovascolari che continueranno ad essere le principali cause di morte, costituiscono le coordinate di ordine demografico ed epidemiologico da cui non si può prescindere. Ma, accanto alle alte specialità, sono convinto che un Policlinico universitario debba aprirsi anche a nuove vocazioni. Faccio riferimento alle cure palliative e a tutte quelle attività di carattere residenziale e semiresidenziale orientate alla tutela di alcune fragilità. D’altra parte rientra proprio nei compiti di una Facoltà di Medicina formare studenti e specialisti che vorranno e dovranno occuparsi di queste nuove «epidemie».
D. Le difficoltà economiche della Regione Lazio e, più in generale, quelle della Sanità italiana, quali problemi hanno creato al Gemelli e come li state affrontando?
R. Non c’è ombra di dubbio che la situazione economica generale del Paese sia di una certa gravità, e quella specifica del settore sanitario è particolarmente complessa. C’è però una questione di fondo che è opportuno chiarire e che, a cascata, genera una serie di problemi. Mi riferisco, in particolare, alla sottostima del fabbisogno finanziario e quindi ai conseguenti enormi interessi debitori che si vanno a creare generando uno scenario in cui la questione finanziaria diventa predominante e condiziona qualsiasi razionale programmazione. Si concretizza, in altre parole, una «deriva finanziaria» che coinvolge sia il livello centrale sia quello regionale e delle singole aziende sanitarie, e che porta ad individuare come obiettivo fondamentale quello di contenere i costi per raggiungere un utopico pareggio di bilancio.
D. Come uscire da questa situazione?
R. La risposta non può che essere articolata e riguarda le scelte di fondo. Innanzitutto occorre adeguare i finanziamenti alle reali esigenze e, se si vuole riconfermare come spero il ruolo del Servizio sanitario nazionale, vanno eliminati tutti gli equivoci che sono sorti intorno all’idea di mercato, di competizione, avendo ben chiaro in mente che il prodotto finale dell’«azienda» ospedale è la cura di una persona. Un prodotto la cui «bontà», oltre a non essere facilmente standardizzabile, non è nemmeno del tutto riconducibile ad elementi misurabili.
D. Che cosa comporta questo?
R. Sono in molti, ormai, a dire in maniera esplicita, e in controtendenza con quanto sostenuto in passato, che non solo è illusorio, ma è addirittura pericoloso pensare che alcuni indicatori quantitativi possano sintetizzare in maniera esaustiva la complessa dinamica dell’assistenza sanitaria. Come si fa, infatti, a misurare oggettivamente le percezioni dei singoli, il risultato positivo di un sorriso, di uno sguardo empatico, di una parola di conforto che tanto ruolo hanno sul decorso della malattia? L’attenzione ai costi deve essere mantenuta alta, perché le occasioni di spreco sono veramente infinite. E spendere di più non è certo garanzia di cure appropriate. È chiaro, però, che se tale situazione diventa, come sta diventando, cronica, a risentirne è la programmazione a medio e lungo termine con il rischio concreto, come già più volte detto, di rimanere schiavi dell’aziendalismo deteriore.
D. E per quanto riguarda in particolare il Gemelli?
R. Il Gemelli vive, in particolare, la difficoltà specifica della Regione Lazio. Una Regione soggetta al piano di rientro del deficit, che deve affrontare l’oneroso compito di razionalizzare un settore che, da vari decenni, ha avuto un’espansione poco governata. La stessa presenza a Roma di cinque policlinici universitari è una risorsa ma nello stesso tempo un costo che la Regione non può affrontare da sola. Un policlinico universitario rappresenta la sede istituzionale del sapere scientifico, della medicina più specialistica e tecnologizzata, delle cure più avanzate, della formazione dei professionisti sanitari. E tutto questo costa. E oggi non c’è città in Italia che abbia simile concentrazione di eccellenze universitarie, senza contare gli istituti di ricovero e cura a carattere scientifico, che sono altre risorse per i pazienti ma anche altri costi per la Regione. Nella ripartizione regionale del fondo sanitario non si può prescindere da questi semplici dati di fatto. Come non si può prescindere da una reale valutazione dei diversi gradi di efficienza di ogni realtà.
D. L’assistenza al Gemelli costa più che in altre analoghe strutture ospedaliere?
R. Tutt’altro. Il confronto con ospedali di analoga complessità fa emergere, in modo inequivocabile, che il Gemelli ha i costi più bassi e gli indicatori di risultato più elevati. Frutto questo di una gestione che negli anni è sempre stata quanto mai attenta ed oculata.
D. Ma come avviene in concreto il finanziamento del Policlinico Gemelli?
R. In base a un protocollo d’intesa tra Università e Regione Lazio, ogni anno viene concordato con quest’ultima un piano di attività e il relativo finanziamento. Ma se il bilancio economico è sano, purtroppo però le risorse finanziarie arrivano dalla Regione in tempi estremamente lunghi, e questo genera rilevanti oneri finanziari. Con la Regione, che riconosce la serietà e l’impegno della nostra Istituzione, è comunque in atto un dialogo aperto e costruttivo.
D. Com’è la sua giornata?
R. Dai ritmi frenetici, incontri, riunioni, appuntamenti esterni. Ma, per chi ricopre certe funzioni sono ritmi che vanno accettati.
D. E l’impegno più oneroso?
R. In modo immediato mi viene dire «mediare i conflitti». Conflitti che, in un’organizzazione così complessa com’è quella di un Policlinico universitario, così pieno di professionisti, sono all’ordine del giorno.
D. Tra i tanti obiettivi che lei ha, quali sono i prioritari?
R. Certamente quello di non disperdere quanto di buono è stato fatto in precedenza, e quindi di impegnarsi per consolidare quegli standards di qualità e di efficienza che sino ad oggi si sono raggiunti. Si tratta, poi, di essere capaci di immaginare e realizzare tutte quelle innovazioni utili allo scopo.
D. Un obiettivo che le sta in particolare a cuore?
R. Riuscire a creare un ambiente di lavoro che sia il più gratificante possibile. Un clima che non solo esalti le professionalità, ma che consenta proprio a tutti di riuscire a dare il meglio di sé, con incalcolabili benefici per i pazienti che, con fiducia, si rivolgono a noi.

Tags: ssn ospedali Policlinico A. Gemelli Regione Lazio strutture sanitarie Cattolica università medici

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