PIER UGO CALZOLARI: OCCORRE PIÙ RICERCA, PER LA RIPRESA DELLA CULTURA E DELL’ECONOMIA
Reduce dalla costituzione dell’Aquis - Associazione per la qualità delle università italiane -, il prof. Pier Ugo Calzolari, rettore dell’università di Bologna, aggiunge un esempio ai motivi che l’hanno indotto, insieme ai rettori di altri 10 atenei di «serie A» come sono stati definiti, ad assumere l’iniziativa che ha portato un po’ di scompiglio nel settore: il silenzio nel quale è passata l’assegnazione del prestigioso Premio Cartesio - sorta di Nobel europeo - a due ricercatori bolognesi. Silenzio che conferma, a suo parere, il disinteresse che autorità, mezzi di informazione e intero Paese hanno verso la ricerca scientifica, unico settore in grado di sottrarre l’Italia non solo al crescente degrado culturale ma anche alla stagnazione economica dalla quale non riesce a uscire. Delineando il quadro estremamente preoccupante dello stato della ricerca e della cultura in generale, il prof. Calzolari annuncia, in questa intervista a Specchio Economico, un programma di azioni dirette ad assicurare i finanziamenti necessari alle strutture universitarie, assoluta trasparenza del loro operato e soluzioni per i loro problemi ed esigenze. Ingegnere elettronico, Calzolari è professore di Elettronica applicata nella facoltà di Ingegneria dell’università di Bologna.
Domanda. In un Paese che non è tranquillo, neanche l’università può esserlo, mentre dovrebbe costituire un’isola dorata in cui si studia. Ma purtroppo non è così. Perché negli ultimi decenni si è giunti a questa situazione?
Risposta. Premetto un esempio. Qualche settimana fa abbiamo festeggiato due nostri ricercatori. Uno appartenente proprio dell’università di Bologna, l’altro considerato un nostro «figlio» perché si è laureato ed ha lavorato da noi e attualmente lavora nel Consiglio Nazionale delle Ricerche. Li abbiamo festeggiati perché hanno vinto il premio Cartesio, la più alta onorificenza europea per un progetto scientifico; possiamo ritenerla l’equivalente del Nobel in ambito europeo. Il conferimento di questo Premio a due ricercatori di Bologna è stato un evento straordinario che testimonia la qualità e la validità della ricerca scientifica del nostro Paese, raggiunte per di più malgrado la scarsezza dei mezzi. Ebbene, il fatto è passato nel totale disinteresse delle forze politiche e del Paese. Cerchiamo di ricordare chi, nella recente campagna elettorale, ha parlato di ricerca, che è l’unica speranza di questo Paese: nessuno.
D. Forse perché vi sono problemi più urgenti?
R. Sappiamo bene che esiste la necessità di risolvere problemi più urgenti, per esempio quelli di tante famiglie il cui stipendio non giunge alla quarta settimana del mese. Ma non dobbiamo dimenticare che il futuro del Paese si costruisce esclusivamente sui risultati dell’istruzione superiore e della ricerca scientifica. Non esistono altre risorse, per cui è amaro in questo momento lavorare in una Università dove si assiste da una parte ai successi da essa conquistati in campo internazionale, dall’altra al disinteresse di tutti nel proprio Paese. A proposito delle nostre università di che si legge e si parla? Di qualche concorso truccato, ma di concorsi se ne fanno migliaia all’anno; di qualche episodio odioso, mentre il sistema è piuttosto sano anche se registra un certo numero di acciacchi.
D. Condivide l’opinione che il relativo benessere economico diffusosi negli ultimi decenni determini il disinteresse dalle famiglie e faccia ritenere superflue l’istruzione e la ricerca? E che i mezzi di comunicazione - giornali, radio, televisioni ecc. -, anziché fornire modelli validi inseguono in prevalenza altri temi, negativi per l’istruzione e la ricerca?
R. È un fatto che eventi come quelli che ho appena citato sono ignorati da giornali e tv; in qualunque altro Paese la notizia della vincita del premio Cartesio avrebbe riempito i giornali di servizi e interviste ai due ricercatori, avrebbe stimolato la curiosità per le ricerche eccezionali che si stanno compiendo nei nostri laboratori, come quelle sui motori molecolari, ossia su scoperte incredibili.
D. In realtà i giornali oggi ignorano quanto avviene dentro le fabbriche; nessuno conosce i processi produttivi, eppure si ottengono risultati eccezionali. Tutti possiedono uno o più telefonini che svolgono servizi mirabolanti, ma nessuno sa come funzionano e come si fabbricano. C’è da pensare che quando legiferano, neanche i politici sappiano cosa è la ricerca? Visitano qualche volta gli istituti, i laboratori, le università?
R. In Italia esiste un consistente numero di università che devono combattere duramente per mantenersi all’altezza degli standard europei. Ma qual è l’attenzione ad esse riservata dal Paese? Lo scorso dicembre, nel dibattito sulla legge finanziaria 2008, i fondi per le università sono stati decurtati per sopperire alle necessità, certo indiscutibili e legittime, degli autotrasportatori. Nel bilancio dello Stato occorreva stanziare una somma per soddisfare le richieste, degli autotrasportatori, ma dove si va a tagliare? Sull’Università, sui fondi destinati ad alimentare le possibilità di uscire dallo stato di prostrazione in cui si trova il Paese, e che è fonte di amarezze e malcontento.
D. Nonostante l’esistenza di due ministeri, dell’Istruzione e dell’Università e Ricerca scientifica, si assiste al disinteresse verso la cultura e al diffondersi di un semi-analfabetismo generalizzato. La classe politica non se ne accorge o non sente il bisogno di arrestare il degrado?
R. Non esistono solo le responsabilità delle forze politiche: è tutto il Paese che ha questo atteggiamento, che spende ingenti risorse per sostenere squadre sportive di tutti i tipi. Tranne pochissime eccezioni, nessuno ha ben chiara la necessità di sviluppare la ricerca, di sostenere le università che lo meritano, e che tentano disperatamente di mantenere i conti in ordine, di raggiungere un livello di efficienza nella ricerca scientifica riconosciuto all’estero, un elevato grado di internazionalizzazione. La nostra università ospita 7 mila studenti stranieri, di cui 4.500 iscritti nei corsi regolari, 1.600 derivanti dal programma europeo Erasmus, un migliaio chiamati dai nostri programmi; in pratica gli studenti stranieri costituiscono una piccola università all’interno della grande università di Bologna, il cui grado di internazionalizzazione è quindi, altissimo: e questo è uno dei requisiti più validi nelle valutazioni e offre una migliore immagine del Paese.
D. Quali sono le vostre esigenze?
R. Con questi risultati ci aspetteremmo che anche i privati ci aiutassero. Riceviamo continue richieste da parte di studenti cinesi di frequentare le nostre università. Insieme ad alcuni imprenditori e ad amministrazioni pubbliche locali abbiamo costruito un collegio in Cina. Ci aspetteremmo lasciti o donazioni ma non avviene nulla. Abbiamo ottenuto qualche beneficio dall’attribuzione del 5 per mille in occasione della dichiarazione dei redditi ma, pur avendo registrato più donatori di qualsiasi altro ateneo del Paese, si tratta di somme esigue rispetto alle dimensioni del nostro bilancio. 600-700 mila euro sono cifre modeste. Sono insensibili non solo le forze politiche ma anche gli strumenti di informazione che danno risalto ad avvenimenti effimeri e a cronache scandalistiche alimentando il disinteresse verso gli argomenti essenziali.
D. Nonostante difficoltà e scarse risorse, l’attività della vostra università è di livello superiore. Nella società esiste qualcuno che crede ancora a determinati valori, che vuole per i figli un futuro migliore, o si fanno travolgere tutti da argomenti di semplice evasione?
R. In Italia le istituzioni pubbliche non si sono sviluppate come nei Paesi anglosassoni dove si sono costituite comunità locali che si autogovernano e hanno costruito le loro scuole e le loro università; da noi sono state sempre considerate a servizio della gente ma finanziate dallo Stato; pagando le tasse si ritiene di adempiere a tutto. Per cui non si capisce perché si debba aiutare l’università. Ma da tempo le entrate fiscali non riescono a soddisfare tutti i bisogni di una società sempre più sofisticata e complessa come quella occidentale. In altri Paesi questo si è compreso, da noi ancora no, rimane la contrapposizione tra popolo e istituzioni, nella quale ci arrovelliamo a danno del futuro del Paese.
D. Ritiene che possa crearsi qualche iniziativa come avete fatto voi con la costituzione dell’Aquis? Non sarà di esempio per altre università per risvegliare valori sopiti e riportare l’attenzione verso certi temi?
R. Speriamo che l’iniziativa, che è assolutamente minoritaria e non è contro qualcuno ma va a vantaggio di tutti, richiami l’attenzione su alcuni problemi fondamentali e sulle possibili soluzioni; a tal fine avanzeremo proposte concrete per riformare l’università, aumentarne la trasparenza, renderne i servizi più efficienti e vicini alle esigenze del Paese. Non possiamo abbandonarci alla sfiducia, altrimenti Paesi come la Spagna e il Portogallo ci supereranno rapidamente in tutti i settori perché dedicano grande attenzione all’istruzione superiore.
D. Si insiste sulle difficoltà di inserimento dei giovani nel mondo del lavoro ma non si collegano quasi mai al livello di preparazione dei laureati. Le imprese hanno bisogno di laureati qualificati e di ricercatori, e non ne trovano se debbono formarseli con master post-laurea. Si assiste ad afflussi massicci verso facoltà come Scienza delle Comunicazioni, che offrono sbocchi molto limitati. Chi avverte studenti e famiglie che le mode sono spesso negative?
R. Il 90 per cento dei laureati della nostra università a tre anni di distanza hanno trovato un’occupazione; è un dato trascurabile rispetto alla massa ma indica che l’università frequentata è una credenziale in più. Quanto all’immediato impiego dei laureati, sarebbe difficile e sbagliato scegliere la facoltà in base alle momentanee necessità dell’industria o della Pubblica Amministrazione. I profili professionali vanno organizzati in modo sufficientemente adeguato in modo da adattarsi a molte situazioni. Inoltre le caratteristiche del lavoro di questi tempi obbligano a rispondere alle specifiche esigenze che il laureato, una volta assunto, deve soddisfare, e a tal fine il master diventa necessario. All’estero la specializzazione si acquista con esso e ormai anche in Italia sono ben avviati; nella nostra università ne abbiamo circa 90, per la metà con risultati molto soddisfacenti. Sono organizzati d’intesa con le imprese; lo scorso mese il gruppo Unicredit ce ne ha chiesto uno sul «retail banking», attività principale del Gruppo bancario, che lo finanzia totalmente. È aperto a tutti perché la banca ritiene di poter individuare con maggiore precisione, attraverso di esso, i requisiti di alta professionalità che le interessano. Il nostro compito è quello di fornire una preparazione versatile e di aiutare il sistema produttivo e le Pubbliche Amministrazioni a costruire profili professionali con procedimenti concordati, il che è possibile solo con i master.
D. Ad opera dei mezzi di comunicazione attuali e soprattutto della televisione si assiste alla diffusione di una cultura superficiale e spesso per le aziende medie e piccole è difficile trovare persone qualificate. Qual è il livello di preparazione degli studenti che si iscrivono all’università?
R. Trent’anni fa era diffuso il concetto di comunità educante; oggi, se si guarda la realtà, si deve concludere che ci troviamo di fronte a una comunità diseducante rispetto alla quale la scuola è «nuda», povera di strumenti, perché è venuto meno quello fondamentale costituito dal rispetto. Le famiglie non perdono occasione per rifiutare ogni valutazione scolastica negativa dei propri figli; i professori di scuola media e superiore sono intimiditi dal loro atteggiamento aggressivo. La scuola fa quello che può, a mio giudizio è ancora di buon profilo ma è difficile spiegare ai giovani la profondità del pensiero di un Platone o di un Aristotele, o della poesia di un Omero. Ossia la centralità di principi che costituiscono il nostro essere, il nostro divenire, la nostra identità, quando poi in famiglia sentono sconcezze e in televisione vedono solo indecenze, e la totale assenza di ogni riferimento alla cultura. Siamo immersi, in particolare in Italia, in una comunità diseducante con punte di asprezza e di volgarità che non si notano altrove. In nessun altro Paese la tv dedica la totalità del proprio tempo ad argomenti che nulla hanno a che fare con la cultura. La scuola è isolata, accerchiata, minacciata. L’università ha le spalle un po’ più larghe e non ha il compito dell’istruzione di base, però vediamo questa situazione con amarezza, perché è venuto meno il rispetto per una scuola che invece lo merita. È un processo che si avvolge su se stesso, in un degrado crescente. Oggi ricordare in certi ambienti l’importanza della poesia di Shakespeare suscita solo un riso idiota.
D. Cosa potrebbe farsi per arrestare questo processo?
R. Cominciare a rileggere i discorsi che fece in Parlamento Giosuè Carducci in difesa della cultura; sono di un’attualità straordinaria, di fronte ad essi quello che sta accadendo oggi è gravissimo, è una discesa nell’Averno della diseducazione e del disprezzo della cultura.
D. La vostra iniziativa di costituire l’Aquis è stata riportata dai giornali. Quindi, nonostante il conformismo, gli interessi dei mezzi di comunicazione, la loro tendenza ad allettare i lettori con argomenti di evasione, lo spazio a certe iniziative si dà. Non è opportuno insistere su questo?
R. Lo spazio all’iniziativa probabilmente è stato dato in relazione a una presunta azione di rottura da noi compiuta nei riguardi della Crui, la Conferenza dei rettori delle università italiane, intenzione del tutto assente nella nostra iniziativa. Comunque abbiamo fissato un calendario di lavoro per mettere a punto e presentare al più presto proposte concrete per il finanziamento delle università, la trasparenza del loro operato, la soluzione di vari problemi.
Tags: Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca Bologna ricerca università Giugno 2008