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MARIO TASSONE: CONTRO LA MAFIA OCCORRE ANZITUTTO LA PARTECIPAZIONE DEI CITTADINI

Mario Tassone

Varato dal Consiglio dei ministri il 3 giugno scorso e approvato nei successivi 60 giorni dal Parlamento, il decreto legislativo definito «codice antimafia» è diretto a riordinare e rendere più incisive le varie norme sulla lotta alla mafia e alla criminalità organizzata. Composto da 5 libri e da 132 articoli, contiene anche alcune norme del codice penale come l’articolo 416 bis, che viene esteso alle associazioni di tipo mafioso straniere e ai fenomeni malavitosi della ‘ndrangheta calabrese. Il nuovo «codice» riguarda in particolare i tre reati tipici delle organizzazioni mafiose, cioè l’associazione per delinquere di tipo mafioso, lo scambio elettorale politico-mafioso e l’assistenza agli associati. Inoltre le aggravanti e le diminuenti di mafia; le misure di sicurezza e la confisca obbligatoria sia degli strumenti e dei proventi dei reati mafiosi, sia dei beni dei quali il mafioso non può giustificare la provenienza. Illustra l’attività svolta in questa legislatura e in corso dalla commissione parlamentare bicamerale permanente di inchiesta sul fenomeno della mafia e sulle altre associazioni criminali l’onorevole Mario Tassone dell’UDC, già viceministro al ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti nel secondo e terzo Governo Berlusconi, componente oggi di tale commissione.
Domanda. In cosa è consistito il lavoro della commissione antimafia in questi ultimi anni?
Risposta. Attraverso una ricognizione dei fatti la commissione ha lavorato soprattutto per individuare strumenti idonei per la lotta alla criminalità organizzata. Ha cercato di evitare narrazioni accademiche e di avere una visione più completa e reale del fenomeno mafioso criminale, sempre più minaccioso, prepotente e invasivo che si sta manifestando non solo in Italia ma anche all’estero attraverso grandi collegamenti internazionali. Anche grazie alla commissione antimafia, alcune iniziative hanno raggiunto gli obiettivi e hanno dato forza e capacità agli investigatori, magistrati e Forze di Polizia, e alcuni risultati sono stati ottenuti. Un dato significativo è costituito dall’indagine che stiamo conducendo in questo momento sul periodo delle stragi, anche in base al sospetto di una trattativa svoltasi all’epoca al di fuori e contro gli organi istituzionali; questa indagine, in corso di approfondimento, delinea uno scenario non rasserenante né rassicurante; ritengo che in questo la commissione antimafia stia svolgendo un ottimo lavoro e mi auguro che, per quanto riguarda questo e tanti altri temi, non ci si limiti semplicemente a consegnare alla Presidenza della Camera o del Senato le conclusioni, ma emergano anche proposte per un’azione sempre più adeguata su una vicenda e una situazione non più tollerabili in un Paese civile.
D. E per quanto riguarda le infiltrazioni nelle istituzioni?
R. La commissione antimafia ha acquisito molti dati riguardanti il codice di autoregolamentazione per le candidature. Anche se è stato approvato nelle passate legislature e reiterato in questa attuale, tale codice non è cogente ma costituisce soltanto un invito ai partiti politici a non candidare alle elezioni persone soggette ad inchieste legate all’articolo 416 bis del codice penale, riguardante le associazioni di tipo mafioso ovvero le organizzazioni criminali. Dal riscontro che abbiamo compiuto, è emerso che il risultato di quella normativa non è esaltante; contro ogni previsione, sono mancate forse sia la presenza di strutture periferiche del Governo sia la consapevolezza dell’importanza di questo codice. Avremmo voluto sottoporre all’attenzione della commissione più elementi e valutazioni, ma i candidati «impresentabili» sarebbero rimasti solo 40 e potremmo stare relativamente tranquilli; ma a me pare che il fenomeno sia molto più esteso e sconfortante, per cui il problema di approfondire l’indagine rimane. Già il fatto di averla avviata è fondamentale: è un messaggio autorevole ai politici, poi sta ai partiti adeguarvisi per evitare situazioni pesanti e incertezze soprattutto per il futuro.
D. La commissione Antimafia è impegnata anche su altri aspetti?
R. Certamente. Ma è consapevole che ogni azione di contrasto alla criminalità organizzata non può essere produttiva se ad essa non corrisponde una crescente presa di coscienza da parte dei cittadini, se non si sensibilizza l’opinione pubblica, se non si diffonde una cultura della famiglia, della scuola, del volontariato come fattori di una crescita civile. Un’altra condizione indispensabile consiste nel non sentirsi appagati dal raggiungimento di obiettivi nella lotta contro la grande criminalità, perché esistono reati nella sfera della microcriminalità, mini e media microcriminalità come l’estorsione e l’usura, sui quali si sviluppa poi quella grande. Nella regione calabrese, ad esempio, si assiste a una serie di attentati contro amministratori regionali, provinciali, comunali, sindaci e imprenditori; questo rivela l’esistenza di una padronanza del territorio da parte di alcune organizzazioni e la necessità di combatterle; se si accetta questa situazione, se non si prende coscienza, se non si interviene per smantellare il fenomeno, anche la lotta alla grande organizzazione criminale rischia di essere vanificata, di risultare sterile.
D. Quali sarebbero le conseguenze?
R. Ne derivano una serie di problemi. Per esempio il ruolo della DNA, Direzione Nazionale Antimafia, e della DIA, Direzione Investigativa Antimafia. Ho sempre sostenuto l’inadeguatezza della prima, che dovrebbe essere riformata così come anche la Dia, per assicurare un coordinamento tra le Forze di Polizia. Nella realtà questo è assente, esistono sigle e organizzazioni interforze inadeguate, il più delle volte semplici nicchie per sistemare alcune posizioni. Bisogna rivedere tutto centralmente e localmente, stabilire un efficiente coordinamento tra le Forze di Polizia, Carabinieri, Guardia di Finanza e Corpo Forestale. Apparentemente esso non manca, lo vedo nella mia regione calabrese. C’è molto rispetto, ma non una grande capacità di organizzazione, di indirizzo e soprattutto d’intesa, che dovrebbe essere istituzionalizzata. Mi domando se è più tollerabile in questo momento che le Forze di Polizia siano distribuite nel modo attuale, con una stazione di carabinieri in ogni piccolo comune, con i Commissariati di Polizia così svincolati tra loro.
D. Che cosa suggerisce allora?
R. Per giungere a ottimi risultati bisogna riorganizzare, riadattare, razionalizzare tutto, per quanto riguarda sia il personale sia ovviamente i mezzi. È diffusa la convinzione che, al di là dell’impegno e del grande sforzo di Polizia, Guardia di Finanza, Carabinieri e Corpo Forestale dello Stato, manca una visione organica, coerente, che deve essere raggiunta e recuperata attraverso riforme incisive. Occorre soprattutto riformare la legge 121 del 1981 conosciuta come «riforma della Polizia di Stato», che non è stata mai attuata nella pienezza secondo lo spirito e la volontà del legislatore. Ritengo inoltre che la lotta alla criminalità organizzata non deve riguardare solamente i professionisti dell’Antimafia. Molta gente opera in questo campo, ha una specifica formazione culturale ma avverte limitazioni e difficoltà che ne ostacolano la lotta alla criminalità organizzata. Esiste in proposito un’interessante relazione del presidente della commissione antimafia Beppe Pisanu; ma io mi sono permesso di dire che bisogna andare oltre quella relazione, con iniziative legislative continue e concrete. Abbiamo un’ottima normativa antimafia, ma bisogna continuamente adeguarla perché non si raggiunge mai la massima efficienza.
D. Come opera la magistratura?
R. Siamo d’accordo con il mondo della giustizia. Ascoltiamo procuratori della Repubblica che invitano il Parlamento a varare nuove leggi; ma esiste anche l’altra faccia della medaglia, nel senso che un analogo invito andrebbe rivolto ai magistrati giudicanti affinché giudichino realisticamente e irroghino pene effettive, non presunte. Un esempio. Abbiamo predisposto la normativa sull’Agenzia dei beni confiscati alla criminalità organizzata e dato grande spazio a questa proposta; ci siamo battuti ma credo che qualcosa non stia funzionando come dovrebbe. Lo stesso sul diritto di propaganda elettorale per quanti sono sottoposti a sorveglianza speciale. Ritengo che da parte della magistratura non ci sia altro da fare che prendere atto di tale normativa e perseguire queste fattispecie di reato. Se si varano le norme, bisogna poi essere in grado di applicarle. Esistono poi tutti gli altri aspetti riguardanti la sicurezza; in tale campo abbiamo espresso ovviamente voto favorevole e alcune proposte sono andate in porto, altre no. Approvato dal Consiglio dei ministri lo scorso giugno, il codice antimafia è contenuto nel decreto legislativo dello scorso luglio.
D. Qual è in definitiva il «bollettino di guerra» alla mafia?
R. Il problema vero riguarda l’esistenza di una volontà e di una politica complessiva per battere la criminalità organizzata. Parlo non solo della famiglia mafiosa, ma anche dei vari soggetti che si annidano nelle Regioni, nei Comuni, nelle Province e in altri enti perpetuando le violenze sui cittadini con azioni delittuose nei settori ove hanno da guadagnare. Penso alla mia regione ma anche all’Abruzzo, e non c’è nessuna differenza tra costoro e i mafiosi, perché sono entrambi delinquenti. Alcuni problemi sul tappeto attengono alla Commissione Antimafia, altri esigono un’azione comune. Ho sottoposto alla commissione il quesito se sia ancora possibile accettare e far convivere commissione speciali e Procure ordinarie; il confine è molto labile, a volte per mantenere la competenza su un caso non lo si qualifica mafioso. Ciò conferma la necessità di un coordinamento da realizzare in un quadro complessivo. La lotta alla criminalità organizzata deve costituire innanzitutto un fenomeno culturale; non possiamo lottare le «famiglie mafiose» dimenticando poi l’esistenza di «colletti bianchi» che forniscono il supporto e la logistica a tali «famiglie». Recentemente in aula ho prospettato l’esigenza di un raccordo e di una collaborazione anche tra la commissione sui rifiuti e quella antimafia, perché la prima ha dei limiti di azione nelle indagini e perché esistono responsabilità criminali e mafiose in materia di rifiuti. Occorre proporre una soluzione conclusiva. Ma mi sono stancato di vedere stampare relazioni che poi in Parlamento nessuno legge.

Tags: DNA - Direzione nazionale antimafia contrasto alla mafia codice penale Settembre 2011

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