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GITTE THUNE ANDERSEN: I COLORI E LA MUSICA NEI MIEI PAESAGGI

Gitte Thune Andersen vive e lavora in una bella abitazione nei pressi di Piazza Barberini con vista sui tetti di Roma, la città che in qualche modo ne ha cambiato l’esistenza e di conseguenza la pittura. Ai colori tenui in celeste o in azzurro del passato seguono oggi, quasi contrapponendosi, i colori accesi della sua nuova vita. Se è vero che ogni persona vive più esistenze, la Andersen ne ha vissute molte attraverso i viaggi che hanno contrassegnato la sua vita pur mantenendo, con intatta costanza, quello che un critico d’arte ha definito lo «spirito nordico», cioè «quel reverenziale e attonito stupore di fronte all’insondabile mistero della natura, desideroso di andare oltre l’apparenza immediata per scoprire l’eterno». I colori della natura e la dimensione musicale sono due elementi inscindibili nelle sue opere. L’ultima mostra dell’artista, svoltasi nella romana Galleria Monogramma di Via Margutta, ha un titolo che riassume in modo emblematico la poetica di quest’artista: «Passione dei colori della musica».
Danese di nascita, l’Andersen ha lasciato presto il proprio Paese per vivere in Inghilterra, Stati Uniti, Russia, Egitto e Giappone, prima di approdare definitivamente in Italia. Ha studiato pittura e disegno a Copenaghen e poi in Inghilterra a Cambridge con Geoff Savidge e a Londra con David Pressland. A Mosca, ha lavorato per tre anni con un gruppo di artisti «en plein air», diretto dal professore Ivan Sokolov. Ha insegnato per tre anni Storia dell’arte all’American University del Cairo, ha tenuto numerose conferenze a New York ed è stata critica d’arte per il Japan Times. Le sue opere sono nelle collezioni di musei e di privati di molti Paesi: Stati Uniti, Argentina, Cile, Danimarca, Inghilterra, Francia, Italia, Giappone, Spagna, Russia e Svizzera.

Domanda. Come si è avvicinata all’arte e alla pittura in particolare?
Risposta. Ho cominciato quando ero bambina. Mia madre scriveva poesie, dipingeva e componeva musica per il piano. Era una donna speciale che amava molto l’arte e la cultura. Fu lei ad incoraggiarmi verso questa strada. Ho poi ampliato la mia sensibilità artistica nel corso di numerosi soggiorni all’estero, acquisendo interesse in particolare per le arti visive e per la musica.

D. I suoi quadri hanno come tema ricorrente il paesaggio. Qual è il rapporto tra la sua pittura e la natura?
R. La natura mi fornisce una grande ispirazione, perché contiene in sé il senso dell’infinito. Adoro il mare, specialmente all’orizzonte, perché si può immaginare qualcosa che non ha fine, così come le onde e i colori che cambiano in continuazione, con le nuvole o con il sole. E questo vale per le montagne perché, oltre a quelle che vediamo, ve ne sono altre e poi ancora altre. Sulla mia parete è appesa una stampa giapponese sulla quale è scritto un brano di letteratura e vi sono figure umane e un paesaggio: se non ci fossero le figure si vedrebbe solo un paesaggio, e immediatamente ci si troverebbe trasportati in un altro mondo. L’essenza del paesaggio si trova, prima di tutto, nella possibilità di essere coinvolti, attraverso i colori e la musicalità delle forme, nella vita interna del quadro.

D. I suoi paesaggi sono sempre in qualche modo indefiniti. Per quale motivo?
R. Sì, sono sempre astratti. Non si può dire se rappresentano la Sicilia o la Danimarca. Prevale l’espressività del colore, la musica interna. Per me è importante trasmettere sensazioni attraverso la cromaticità e la musicalità dei miei quadri. Compongo con i quadri la mia musica.

D. Che rapporto c’è tra la dimensione musicale e la sua pittura?
R. La musica è un tema ricorrente. L’infinità del mare o l’eternità delle montagne sono, per me, ricche di risonanze musicali. Preludi e poemi sinfonici emergono dall’azzurro del mare, a volte con dolcezza, altre volte con la violenza della tempesta. Quando io sento la musica vedo forme e colori, quando vedo forme sento musica. In ogni quadro sono presenti tante piccole sfumature e ogni forma ha la propria vita interna e la propria musica; nelle mie composizioni non può esistere una cosa senza l’altra. Kandisky ha scritto un saggio molto profondo, «Concerning the spiritual in Art», nel quale sottolinea la vita interna dei quadri che, come ogni forma, contengono musica; è un tema che ha influenzato numerosi pittori.

D. Quale musica l’ha accompagnata in passato?
R. In una mostra di 36 opere in Giappone ho associato ad esse le musiche di Beethoven, Brahms, Mendelsson, ossia gli autori che allora prediligevo. Era un modo per dare alle persone la possibilità di vivere una singolare emozione suscitata da forme d’arte diverse ma così legate, come la pittura e la musica. Quando si osserva, ognuno vive un’esperienza, e un quadro darà una sensazione o un’emozione che è del tutto personale. La musica aiuta ad entrare dentro quel quadro.

D. E qual’è oggi la musica che l’accompagna?
R. Amo particolarmente Richard Strauss. Due anni fa ho assistito a una bellissima edizione della Salomè: la musica e le parole costituivano una serigrafia stupenda e maestosa. E, ancora, amo Shostakovich, Prokofiev e un compositore inglese poco noto in Italia, Edward Elgar.

D. Quale influenza ha avuto la cultura danese sulla sua pittura?
R. La mia cultura di origine ha avuto in me un grande rilievo e l’ha tuttora, perché penso che le impressioni ricevute da bambina rimangono in qualche modo indelebili. È anche vero che ho lasciato molto presto la Danimarca e per 30 anni ho vissuto all’estero. Dopo tanto tempo posso dire che l’atteggiamento verso la natura rimane lo stesso, ma i miei quadri di oggi sono molto diversi da quelli che dipingevo in giovinezza, nei quali prevalevano i colori pastello, grigi e azzurri, tipici del mare o della terra danese. È anche segno di un cambiamento della mia personalità, oggi sicuramente più libera rispetto a ieri, quando l’educazione e la vita che conducevo imponevano un maggior controllo di sentimenti e di emozioni.

D. Lei ha viaggiato molto facendo del viaggio un tratto distintivo del suo iter artistico. Quale influenza hanno avuto le culture dei posti che ha conosciuto?
R. Hanno lasciato tutte un segno nella mia persona e quindi nella mia pittura. L’Egitto, ad esempio, dove resiste un’antica cultura e una lunga storia. Il deserto è un posto incredibile. Molte persone pensano che il deserto sia morto, ma non è vero: è così pieno di vita e di colori. Quando il sole sorge la sabbia diventa rosa, fornendo un mondo di luci e di sensazioni che sfugge a chi non ha vissuto notti e giorni in un posto del genere. In Giappone ho appreso tanto dalle persone; lo zen fa parte del loro modo di essere ed è una filosofia di vita, più che una religione. Mi colpì in particolare l’atteggiamento che notai in una mostra denominata «Le quattro stagioni», che presentai in quel Paese: i visitatori restavano ore immersi praticamente nei miei quadri; e capitava che tornassero il giorno dopo per guardarli di nuovo. È stata un’esperienza indimenticabile. I giapponesi hanno un rapporto molto bello con l’arte e la natura.

D. Ricorda qualche altra esperienza in particolare?
R. A Mosca ho lavorato per tre anni con un gruppo di pittori «en plein air», che prediligevano la pittura all’aria aperta. Avevamo anche un piccolo studio perché, a causa delle condizioni climatiche, era possibile dipingere all’esterno solo d’estate. Un giorno è venuta la polizia segreta e ha chiuso lo studio sequestrando tutti i quadri e i materiali, perché la nostra attività era stata ritenuta «contro lo Stato». Fu una fatto veramente scioccante: a un artista non dovrebbe capitare di essere perseguitato per il lavoro che fa.

D. Vive ormai da molti anni in Italia. Come è cambiata la sua pittura?
R. Con l’arrivo in questo Paese è diventata molto diversa. Le persone che conoscevano prima la mia pittura sono rimaste sorprese dall’ultima mostra, perché hanno trovato cambiato il mio «vocabolario dei colori»: oggi i miei dipinti hanno colori più forti, ed è una cosa che ha a che fare con la vita che conduco e con il grande amore che ho trovato qui.

D. Dove ama dipingere?
R. Ho la terrazza e uno spazio riservato nella mia casa, dove posso lavorare ascoltando buona musica. Ma dipingo ovunque. Quando sono in viaggio, ad esempio, ho sempre con me dei piccoli «sketch books» su cui con acquerelli appunto disegni e colori che forse un anno o cinque anni dopo ricostruiscono la memoria di quel momento.

D. Cos’è la pittura per lei?
R. È il modo per esprimere i sentimenti più intimi. La musica o la pittura possono raccontare, infatti, tutto quello che le parole non riescono a cogliere.

D. Chi è in sostanza la Gitte Thune Andersen pittrice?
R. Una persona semplice che cerca, attraverso il colore e la musica, di esprimere le emozioni.

D. Quali sono i quadri più rappresentativi della «Gitte» del passato e quelli del presente?
R. Se dovessi pensare alla mia vita passata, sicuramente un quadro simile a «Winter dreams», le musica della Symfony n. 1 Opus 13 di Tchaikowsky, nel quale prevalgono colori tenui, piuttosto freddi. «Also sprach Zarathustra» di Richard Strauss segna invece, nelle differenze, la mia nuova vita, nella quale i colori sono più accesi e il tratto è più libero. Ecco, diciamo che oggi sono una persona più libera rispetto a prima.

Tags: arte maggio 2009

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